Malattie cardiovascolari e tumori: attenti a quei due!
di Laura Gatto
16 Marzo 2021

Le malattie cardiovascolari e i tumori rappresentano le principali cause di morte nei paesi Occidentali. I progressi che sono stati fatti nella diagnosi precoce e nel trattamento di entrambe le patologie ha sicuramente determinato una riduzione della mortalità, ma anche un incremento della percentuale di soggetti in cui esse coesistono. Tale coesistenza è promossa non solo da fattori di rischio comuni (età avanzata, obesità, tabagismo), ma anche dal fatto che chemioterapia, immunoterapia e radioterapia possono favorire ed accelerare il processo di aterosclerosi.

Sono ormai molte le evidenze che suggeriscono come pazienti con storia di cancro e trattati con angioplastica coronarica (PCI) presentino un outcome peggiore, con una più elevata incidenza di recidive ischemiche e di complicanze emorragiche [1]. Infatti le neoplasie spesso si associano ad uno stato di ipercoagulabità e di maggiore attivazione ed aggregazione piastrinica ed in alcune casistiche sono risultate un predittore indipendente di trombosi dello stent [2]. Inoltre, in questi pazienti, la trombocitopenia indotta da alcuni chemioterapici può favorire il sanguinamento, cosi come la localizzazione di alcuni tipi di neoplasie come ad esempio quelle di pertinenza del tratto gastro-intestinale [3].

Precedenti studi hanno riportato che nella popolazione oncologica il rischio intra-ospedaliero di recidive ischemiche e di complicanze emorragiche post-PCI varia in modo significativo in base al tipo di tumore ed alla presenza di metastasi [4], non ci sono invece dati di follow-up a breve ed a medio termine che sarebbero molto utili per decidere la migliore strategia antitrombotica da adottare in questo gruppo di pazienti ad alto rischio. Sull’ultimo numero dell’European Heart Journal Kwok e coll. hanno pubblicato un’interessante analisi condotta con lo scopo di affrontare queste delicata tematica [5].

Gli autori hanno impiegato il Nationwide Readmission Database (NRD), un database americano anonimizzato pubblicamente consultabile in cui vengono raccolti i dati riguardanti le re-ospedalizzazioni dei pazienti paganti o assicurati. In questo caso sono state prese in considerazione le nuove ammissioni entro i primi 90 giorni da un precedente ricovero per angioplastica coronarica nel periodo compreso tra il 2010 ed il 2014. Un totale di 1933324 pazienti sono stati individuati, distinti in base all’anamnesi di neoplasia (assente, pregressa o attiva) ed alla presenza di metastasi. E’ stato poi valutato il comportamento di quattro differenti tumori – colon, polmone, mammella, prostata- che sono quelli più frequentemente diagnosticati nella popolazione sottoposta a PCI. I pazienti con neoplasia attiva hanno rappresentato il 2.7% della popolazione, quelli con storia di pregresso tumore il 6.8%. I soggetti affetti da cancro sono risultati più anziani: mentre nei pazienti non oncologici l’età media è stata di 64 anni, in quelli con neoplasie attive è stata superiore ai 70 anni (addirittura 74 anni nei pazienti con neoplasia prostatica). A parte i pazienti con tumore di genere (prostata e mammella), il sesso maschile è risultato prevalente (66.8% per il tumore del colon e 66.3% per il tumore del polmone). I pazienti oncologici hanno presentato un maggior numero di comorbidità come ad esempio fibrillazione atriale, patologia polmonare cronica ed insufficienza renale. Questi soggetti, inoltre, venivano meno frequentemente trattati con stent medicato (prostata 60.3%, mammella 51.2%, colon 37.4%, polmone 36.4%), anche se negli anni dal 2010 al 2014 si è assistito ad un trend di crescita nell’impiego degli stent medicati che è passato dal 71% al 78% nella popolazione generale e dal 49% al 60% nella popolazione con neoplasia attiva. Quest’ultima ha presentato dei costi di ospedalizzazione e dei tempi di degenza significativamente superiori.

In generale, a 90 giorni, è stato documentato un tasso di nuovi ricoveri del 5.8% per infarto miocardico (IMA) e dello 0.7% per sanguinamento maggiore, con una incidenza sicuramente più bassa nei pazienti senza (5.6% per IMA e 0.6% per sanguinamento maggiore) rispetto a quelli con storia di neoplasia (9.1% per IMA e 1.6% per sanguinamento maggiore).

Per quanto riguarda le differenze tra i diversi tipi di tumore, i tassi di re-ospedalizzazioni per IMA e sanguinamento maggiore sono stati rispettivamente: 7% e 1.4% per il tumore della prostata, 7.5% e 0.6% per il tumore della mammella, 10.8% e 4.2% per il tumore del colon e 12.1% e 1.5% per il tumore del polmone. Molto interessante è risultato il dato che l’incidenza di nuovi infarti è stata più alta nel sottogruppo di pazienti con storia di IMA nel ricovero indice rispetto a quelli senza IMA (9.0% verso 2.2%); i nuovi infarti sono stati STEMI per il 46.1% e NSTEMI per il restante 53.9%.

Per quanto riguarda invece l’impatto della presenza delle metastasi, le differenze nell’incidenza di nuovi ricoveri è stata molto importante nei pazienti con metastasi rispetto a quelli senza per le neoplasie della prostata (10.4% verso 6.3%) e della mammella (9.6% verso 6.5%), ma meno evidente nei pazienti con neoplasia del colon (10.6% verso 11%) e del polmone (12.7% verso 11.9%). Il tempo medio di riammissione per IMA è stato di 26.7 giorni per il tumore del polmone e  30.5 giorni per il tumore del colon; al contrario il tempo medio di riammissione per i sanguinamenti è stato maggiore: 38.2 giorni per il tumore del colon e 42.7 giorni per il tumore della mammella.

Infine, la diagnosi di neoplasia attiva, sia metastatica che non, si è dimostrata associata ad un rischio significativamente più alto di nuove ospedalizzazioni per IMA (OR 1.28, 95% CI 1.20–1.37, P < 0.001 in assenza di metastasi e OR 1.63, 95% CI 1.38–1.93, P <0.001 in presenza di metastasi) e per sanguinamento maggiore (OR 1.63, 95% CI 1.41–1.90, P < 0.001 in assenza di metastasi e OR 1.82, 95% CI 1.33–2.48, P <0.001 in presenza di metastasi). Il più alto tasso di re-ospedalizzazioni per IMA si è osservato nei pazienti con neoplasia del colon con metastasi (OR 1.84, 95% CI 1.17–2.88, P= 0.008), mentre quello di sanguinamento nei pazienti con neoplasia del colon senza metastasi (OR 5.44, 95% CI 3.29–8.99, P < 0.001).

Gli autori dello studio hanno quindi concluso che nei primi tre mesi dopo un’angioplastica coronarica, i pazienti oncologici hanno un rischio da due a tre volte più alto di essere nuovamente ricoverati per un infarto miocardico o un sanguinamento maggiore, con delle differenze legate alla localizzazione del tumore ed alla presenza di metastasi.

Nel lavoro si sottolinea come i pazienti con neoplasia attiva o metastatizzata tendono ad essere trattati in modo conservativo in condizioni di elezione oppure con stent medicati con piattaforme polimero-free in caso di sindrome coronarica acuta. Inoltre l’utilizzo di tecniche di imaging intracoronarico, volte ad ottimizzare l’impianto dello stent, è risultato significativamente più ampio in questo gruppo di pazienti (7.5% verso 6.9%; P=0.003).

L’impiego dei tradizionali score che valutano il rischio emorragico e quello ischemico per decidere la durata della duplice terapia antiaggregante è controverso nel paziente oncologico, in quanto si tratta di score derivati da popolazioni non affette da questo tipo di patologia. Ad esempio, in questo lavoro, i pazienti con diagnosi di neoplasia del colon hanno presentato a 90 giorni un rischio maggiore di nuova ospedalizzazione per IMA, rispetto a quella per sanguinamento maggiore, probabilmente dovuto al fatto che in questi pazienti si tende ad interrompere la duplice terapia antiaggregante molto precocemente. Al contrario le pazienti con tumore della mammella hanno presentato un rischio di nuove ospedalizzazioni simile a quello della popolazione non oncologica. Anche nel sottogruppo di soggetti con metastasi si è osservato un maggiore rischio di eventi ischemici rispetto a quelli emorragici, verosimilmente perché il paziente con neoplasia metastatizzata viene percepito più fragile, quindi con un rischio emorragico tale da richiedere terapie antiaggreganti meno potenti o meno prolungate.

Queste iniziali evidenze supportano l’idea che nel paziente oncologico la scelta della strategia antiaggregante segua regole diverse e possa essere modulata in base al tipo di tumore ed alla presenza delle metastasi. Tuttavia il principale limite di questo studio è proprio rappresentato dal fatto che non si hanno dati riguardo il tipo e la durata della terapia antipiastrinica somministrata. È ragionevole ipotizzare che tutti i pazienti abbiano proseguito in duplice terapia antiaggregante per almeno trenta giorni dopo la PCI indice e che la tienopiridina più impiegata sia stato il clopidogrel, tuttavia non si hanno dati certi in merito e sicuramente sono necessari ulteriori evidenze per giungere a conclusioni definitive.

 

 

 

Bibliografia

  1. Landes U, Kornowski R, Bental T, Assali A, Vaknin-Assa H, Lev E, Iakobishvili Z. Long-term outcomes after percutaneous coronary interventions in cancer survivors. Coron Artery Dis 2017;28:5–10.
  2. van Werkum JW, Heestermans AA, Zomer AC, Kelder JC, Suttorp MJ, Rensing BJ, Koolen JJ, Brueren BR, Dambrink JH, Hautvast RW, Verheugt FW, ten Berg JM. Predictors of coronary stent thrombosis: the Dutch Stent Thrombosis Registry. J Am Coll Cardiol 2009;53:1399–1409.
  3. McCarthy CP, Steg PG, Bhatt DL. The management of antiplatelet therapy in acute coronary syndrome patients with thrombocytopenia: a clinical conundrum. Eur Heart J 2017;38:3488–3492.
  4. Potts JE, Iliescu CA, Lopez Mattei JC, Martinez SC, Holmvang L, Ludman P, de Belder MA, Kwok CS, Rashid M, Fischman DL, Mamas MA. Percutaneous coronary intervention in cancer patients: a report of the prevalence and outcomes in the United States. Eur Heart J 2019;40:1790–1800.
  5. Kwok CS, Wong CW, Kontopantelis E, Barac A, Brown SA, Velagapudi P, Hilliard AA, Bharadwaj AS, Chadi Alraies M, Mohamed M, Bhatt DL, Mamas MA Percutaneous coronary intervention in patients with cancer and readmissions within 90 days for acute myocardial infarction and bleeding in the USA. Eur Heart J. 2021;42:1019-1034.