Malattia del tronco comune: PCI o CABG?
di Laura Gatto
20 Giugno 2023

È noto come la malattia significativa del tronco comune si associ ad una prognosi infausta e pertanto in questi pazienti la rivascolarizzazione sia fortemente raccomandata. Se la migliore strategia di rivascolarizzazione sia quella percutanea o quella chirurgica rimane uno dei dilemmi più dibattuti della cardiologia moderna: le linee guida della Società Europea di Cardiologia suggeriscono risultati sovrapponibili a 5 anni in termini di mortalità, infarto ed ictus. I principali fattori che contribuiscono alla scelta sono rappresentati dalla complessità anatomica della malattia coronarica, dalle comorbidità cardiache ed extracardiache che contribuiscono al rischio di mortalità e morbidità perioperatoria e dalla preferenza del paziente. Per i pazienti con un SYNTAX score basso (≤ 22) l’angioplastica coronarica ed il by-passs presentano la stessa classe e lo stesso livello di raccomandazione (I A); nei pazienti con SYNTAX score intermedio (23-32) la raccomandazione per il bypass rimane IA mentre quella per l’angioplastica è IIA; per i pazienti con SYNTAX score elevato (≥ 33) il bypass rappresenta l’unica opzione, in quanto l’angioplastica è sconsigliata (classe III B) [1].

Tuttavia, come è ovvio, le raccomandazioni delle linee guida si basano su studi clinici randomizzati e su casistiche altamente selezionate e talvolta trovano difficile applicazione nel mondo reale. Nell’ultimo numero del Giornale Europeo di Cardiologia sono stati pubblicati i risultati di una grande casistica svedese, derivata dal registro SWEDEHEART, che ha incluso oltre 11000 pazienti con malattia del tronco comune trattata con angioplastica coronarica o bypass, arruolati in 28 centri svedesi nel periodo di tempo tra il Gennaio 2005 ed il Dicembre 2015 [2]. Sono stati esclusi i soggetti con storia di pregressa rivascolarizzazione chirurgica, quelli con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST e/o con shock cardiogeno, quelli con angioplastica coronarica del tronco comune effettuata con un device diverso da uno stent medicato di prima, seconda e terza generazione e quelli che non avevano effettuato la rivascolarizzazione entro 90 giorni dalla coronarografia. Sono stati considerati come endpoint dello studio i MACCE (eventi avversi maggiori cardio e cerebrovascolari) che hanno incluso: morte, infarto miocardico, ictus o nuove procedure di rivascolarizzazione (percutanea o chirurgica) durante il periodo di follow-up.

Negli undici anni di arruolamento sono stati inclusi nel registro 11137 pazienti con malattia del tronco comune, di cui l’84% (9364) trattati con bypass aorto-coronarico (CABG) ed il restante 16% (1173) con intervento percutaneo (PCI). La percentuale di soggetti sottoposti ad angioplastica è progressivamente cresciuta nel corso degli anni, passando dal 7% del 2005 al 34% del 2015. Le due popolazioni sono risultate profondamente differenti tra di loro: innanzitutto i pazienti trattati con PCI erano in media di tre anni più anziani e presentavano più frequentemente storia di pregresso infarto o di pregressa PCI, insufficienza renale cronica, dislipidemia e malattia isolata del tronco comune. D’altro canto, i pazienti sottoposti a chirurgia hanno presentato più frequentemente abitudine tabagica, diabete mellito, malattia vascolare periferica, malattia del tronco comune in associazione a coronaropatia significativa di uno o più vasi. La principale indicazione clinica alla rivascolarizzazione è stata la Sindrome Coronarica Acuta (infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST e/o angina instabile), tuttavia le sindromi coronariche croniche sono risultate più frequenti nel gruppo CABG. I pazienti trattati con bypass hanno presentato un rischio stimato con l’EuroSCORE II in media del 4% e nel 73% dei casi hanno mostrato una preservata funzione sistolica del ventricolo sinistro. L’arteria mammaria interna sinistra è stata impiegata in oltre il 90% dei casi e solo nel 2% dei soggetti sono state impiegate entrambe le mammarie. Per quanto riguarda, invece, i pazienti rivascolarizzati in modo percutaneo: nel 16% dei casi è stato utilizzato uno stent medicato di prima generazione, nel 75% dei casi uno stent medicato di seconda generazione e solo nel 9% dei casi uno stent medicato di terza generazione. La maggior parte dei soggetti di questo gruppo (88%) ha ricevuto un singolo stent, nell’11.5% dei casi due stent ed una piccola minoranza (0.5%) tre stent.

In considerazione del notevole sbilanciamento tra i due gruppi è stato impiegato il metodo statistico della “inverse probability weighting” (IPW) per ottenere una distribuzione simile delle principali variabili.

Il follow-up mediano è stato di 4,7 anni. L’incidenza non corretta di morte, infarto miocardico, nuove rivascolarizzazioni e MACCE è stata significativamente più alta nel gruppo PCI rispetto al gruppo CABG; dopo l’analisi statistica con la IPW il rischio dei pazienti trattati con PCI rimaneva comunque significativamente più alto rispetto a quelli trattati con CABG: per la morte (aHR 2.0, 95% CI 1.5–2.7), per l’infarto miocardico (aHR 4.0, 95% CI 2.9–5.5), per le nuove rivascolarizzazioni (aHR 5.1, 95% CI 3.8–7.0)  e per i MACCE (aHR 2.5, 95% CI 1.9–3.2). Non sono state invece riscontrate delle differenze significative nel rischio di ictus. Per quanto riguarda in particolare le nuove rivascolarizzazioni nel gruppo CABG ci sono stati 580 eventi, di cui 128 hanno riguardato uno o più graft; nel gruppo PCI, invece, ci sono state 235 nuove rivascolarizzazioni, di cui 41 hanno interessato il tronco comune. L’incidenza di ospedalizzazioni per eventi seri ma non cardiaci (Alzheimer, Parkinson, sanguinamenti, neoplasie, insufficienza renale, traumi, infezioni, riacutizzazioni di patologia polmonare cronica) è risultata significativamente più elevata nei pazienti trattati con PCI.

In merito ai sottogruppi sono state fatte delle analisi specifiche in funzione dell’età (> 0 < 70 anni), la presenza di diabete mellito, il genere, la malattia del tronco comune isolata o associata a quella di uno o più altri vasi. Queste sotto analisi hanno documentato nei pazienti con età > 70 anni o con malattia coronarica multivasale un beneficio maggiore in termini di riduzione dei MACE se trattati con il CABG rispetto alla PCI; inoltre, come dimostrato già da altri dati presenti in letteratura [3], il vantaggio principale si è osservato nel sottogruppo dei pazienti diabetici soprattutto per quanto concerne la mortalità, con una sopravvivenza se trattati con il CABG maggiore rispetto a quella della PCI di 3,6 anni.

Gli autori del registro hanno quindi concluso che in questa popolazione real-life di pazienti con malattia del tronco comune il trattamento con bypass aorto-coronarico è associato, rispetto a quello con angioplastica coronarica, ad una minore incidenza di eventi cerebro e cardio-vascolari ed ad una più bassa mortalità. Questo beneficio della rivascolarizzazione chirurgica può essere in parte spiegato dal fatto che con la chirurgia si riesce ad ottenere, più frequentemente, una rivascolarizzazione coronarica completa e questo sicuramente comporta una maggiore protezione del paziente da eventi cardiovascolari futuri, compresa la mortalità [4]. Tuttavia i risultati di questo studio devono essere sempre letti considerando l’estrema difficoltà di paragonare due popolazioni che, nonostante gli “artifici statitistici”, rimangono profondamente differenti tra di loro sia per la numerosità, sia per le principali caratteristiche cliniche. E’innegabile, infatti, come i pazienti sottoposti a PCI rappresentano una popolazione più fragile, con maggiori comorbidità che possono certamente aver avuto un peso nel determinarne la mortalità, tenuto anche conto che nel registro viene presa in considerazione la mortalità per tutte le cause e non la mortalità per causa cardiovascolare che sicuramente avrebbe avuto un peso diverso trattandosi di soggetti con malattia del tronco comune. Un altro limite nella definizione dell’endpoint, è probabilmente il fatto che si sono considerate globalmente il numero di “nuove rivascolarizzazioni” e non invece quelle che hanno interessato nello specifico il tronco comune. Inoltre, come giustamente sottolineano gli autori, mancano alcuni dati importanti come l’esatta localizzazione della stenosi a livello del tronco (corpo vs biforcazione), il SYNTAX score di entrambi i gruppi, il valore di frazione d’eiezione e di EuroSCORE II dei pazienti del gruppo PCI, la percentuale di lesioni calcifiche o di occlusioni totali, la valutazione dell’Heart Team. Infine bisogna considerare che l’inclusione dei pazienti è avvenuta negli anni dal 2005 al 2015 e nella pratica clinica attuale la scelta della migliore strategia di rivascolarizzazione dipende da una molteplicità di fattori che tengono anche conto dell’esperienza del singolo centro e della preferenza del paziente. 

Bibliografia di riferimento

  1. Neumann FJ, Sousa-Uva M, Ahlsson A, Alfonso F, Banning AP, Benedetto U, et al. 2018 ESC/EACTS guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J 2019;40:87–165
  2. Persson J, Yan J, Angerås O, Venetsanos D, Jeppsson A, Sjögren I, Linder R, Erlinge D, Ivert T, Omerovic E. PCI or CABG for left main coronary artery disease: the SWEDEHEART registry. Eur Heart J. 2023 Jun 8:ehad369. doi: 10.1093/eurheartj/ehad369. Online ahead of print.
  3. Farkouh ME, Domanski M, Sleeper LA, Siami FS, Dangas G, Mack M, et al. Strategies for multivessel revascularization in patients with diabetes. N Engl J Med 2012;367:2375–2384.
  4. Takahashi K, Serruys PW, Gao C, Ono M, Wang R, Thuijs D, et al. Ten-year all-cause death according to completeness of revascularization in patients with three-vessel disease or left main coronary artery disease: insights from the SYNTAX extended survival study. Circulation 2021;144:96–109.