L’IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE: UNA PATOLOGIA POCO DIAGNOSTICATA E POCO TRATTATA
di Massimo Uguccioni
19 Settembre 2015

Molte sono le condizioni morbose ed i fattori di rischio che predispongono allo sviluppo delle malattie cardiovascolari ed aumentano il rischio di infarto in età precoce. Tra queste sta assumendo sempre più rilevanza la Ipercolesterolemia familiare (FH), una patologia ereditaria ampiamente sotto-diagnosticata. Si stima, infatti, che in Italia siano oltre 120.000 le persone affette e che in non più dell’1% dei casi sia posta diagnosi corretta.

Due sono le varianti della malattia, la forma eterozigote meno grave e molto più diffusa, e la forma omozigote, classificata tra le malattie rare, che si presenta in circa 1 caso su un milione di persone. Nella più comune forma eterozigote è cruciale la diagnosi precoce ed è compito dei cardiologi, insieme ai medici di medicina generale, che hanno conoscenza diretta del quadro familiare, di porre il sospetto diagnostico. Il cardiologo, in particolare, può entrare in contatto con pazienti con FH per due motivi: per una sindrome coronarica acuta  in età più precoce rispetto alla media, oppure per il riscontro di valori di colesterolo molto elevati che allarmano il soggetto e spingono il medico curante a consigliare al paziente una valutazione cardiologica.

Causata da un difetto a carico dei geni che regolano il recettore per le lipoproteine a bassa densità o LDL, il cosiddetto “colesterolo cattivo”, la FH è caratterizzata da un aumento abnorme dei livelli di colesterolo totale e di colesterolo LDL nel sangue.

Va considerato un segno di forte sospetto un colesterolo totale al di sopra di 310 mg/dl nei soggetti adulti o al di sopra di 230 mg/dl in bambini o ragazzi al di sotto dei 18 anni.

Sono valori che devono suggerire uno screening per la ricerca di forme familiari di ipercolesterolemia non solo nel soggetto in esame, ma anche nei familiari di primo grado. In tal caso vanno ricercati altri indizi della presenza della patologia, come una storia familiare di cardiopatia ischemica e/o morte improvvisa in età precoce in parenti di primo grado, ma anche la presenza di depositi di grasso a livello del tendine di Achille (xantomi) o ai lati delle palpebre (xantelasmi).
Sono tutti elementi che se presenti, in tutto o in parte, possono rendere probabile o certa la diagnosi di FH.

Ed una diagnosi precoce può consentire di iniziare anche in giovane età una terapia ipolipemizzante, che è l’unico trattamento che riduce il rischio di eventi coronarici potenzialmente letali.
Esistono oggi terapie mirate ad abbassare il colesterolo (come statine da sole o in associazione con ezetimibe) che assicurano buoni risultati nella maggior parte dei pazienti, affetti dalla forma eterozigote, mentre per chi soffre della forma omozigote si deve molto spesso ricorrere all’aferesi lipoproteica, che rimuove meccanicamente dal plasma o dal sangue le lipoproteine in eccesso. Pratica salvavita e sicura, l’aferesi deve essere ripetuta nel corso di tutta la vita, in genere ogni 7-14 giorni, quando la sintesi del colesterolo, che non viene bloccata, ne riporta i valori a livelli elevati.

A questi trattamenti si vanno via via ad aggiungere nuove terapie farmacologiche, di recente approvate dall’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali) come la lomitapide, indicata nella forma omozigote e due anticorpi anti-PCSK9 che appaiono di grande interesse  perché in grado di inibire selettivamente la proteina responsabile dell’assemblaggio e distribuzione delle lipoproteine.

Prof. Massimo Uguccioni
Ospedale San Camillo, Roma