L’influenza dell’influenza
di Eligio Piccolo
20 Novembre 2021

“Dotor, mi no go mai vuo na linea de fevre, mi no so cosa sia l’influensa, lu vol che me vacini, ma un me amigo sano come mi un ano fa el se ga fato convinser e subito dopo el se ga beca l’influensa, e po’ el xe anca morto”. Questo tipo di obiezioni sentivo ripetere da molti veneti prima del Covid-19; non so quanti di loro durante questa pandemia si siano ricreduti e quanti abbiano mantenuto il “no-vax”. Già allora il medico cercava di convincerli raccontando che soprattutto a una certa età l’infezione da virus influenzale poteva dare pericolose infezioni polmonari e in quelli con il cuore non a posto anche complicazioni cardiache; e se poi l’influenza diventava aggressiva come nella spagnola e nell’asiatica il rischio si moltiplicava. Uno studio pubblicato in Circulation di novembre 2021, ma che si riferisce al periodo appena precedente il Covid-19, ha dimostrato che la vaccinazione antiinfluenzale, quella stagionale, nei pazienti ricoverati per infarto cardiaco ne riduceva le complicazioni e anche la mortalità. Come se, ipotizzavano Frobert e collaboratori di un’Università svedese, la vaccinazione interferisse su certi meccanismi infiammatori e coagulativi della malattia infartuale.
Quella ricerca policentrica programmata per un lungo periodo ha dovuto essere interrotta per il sopraggiungere del coronavirus, facendone mancare la significatività statistica, ma la riduzione del 28% di complicazioni cardiovascolari e del 41% della mortalità complessiva fino a quel momento calcolata fanno pensare positivamente sull’azione benefica di quella prevenzione. D’altra parte in un precedente studio statunitense (Ann intern Med 2020), che aveva valutato le complicanze nei colpiti da influenza stagionale dal 2010 al 2017, il 12.5% incorreva in attacchi cardiaci. E inoltre, una contemporanea metanalisi di 12 studi per complessivi 240.000 cardiopatici (JAHA 2020) ha rilevato che la vaccinazione antiinfluenzale riduceva del 28% il rischio di mortalità e del 13% la riduzione di importanti eventi cardiovascolari durante un periodo di 20 mesi. Ne deriva che queste osservazioni generiche, non mirate alla specifica prevenzione delle cardiopatie, già di per sé indicano un’azione benefica del vaccino antiinfluenzale nel post-infarto.
Gli esegeti di tali osservazioni non si sono accontentati della risposta positiva, come facevano appunto i positivisti, ma ne hanno cercato la spiegazione, che a sua volta però appartiene alle ipotesi. La reazione immunitaria indotta dal vaccino antiinfluenzale potrebbe essere teoricamente legata proprio a un’interazione sul sistema infiammatorio nell’evoluzione delle placche arteriosclerotiche, causa di infarti, o altri processi flogistici nel cuore e in altri organi. Reazioni, dice un commentatore, che si ricercano anche con alcuni farmaci, quali l’aspirina, i beta-bloccanti, le statine e altri antireattivi. Lo stesso conclude, riportando un famoso detto di Benjamin Franklin:”An ounce on prevention is worth a pound of cure”, che da noi si potrebbe tradurre “Un grammo di prevenzione equivale a un chilo di terapia”. Come dire che anche quando un rimedio non ha un perfetto razionale di causa ad effetto, ma comunque si dimostra efficace per la nostra salute, non deve essere osteggiato. Tanto più oggi, aggiungerei io, con i vaccini contro il Covid-19, che oltre a raggiungere ampiamente la significatività statistica, trovano ancora quei negazionisti che, come dicono in Veneto, “i vol saver na pagina più del libro”.


Eligio Piccolo
Cardiologo