L’impatto prognostico dell’iposodiemia nello scompenso cardiaco acuto
di Filippo Brandimarte
20 Giugno 2023

L’iposodiemia è un disturbo elettrolitico abbastanza comune nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco con una prevalenza che varia dal 10 al 30%. In questo setting l’eziologia è per lo più diluizionale ovvero dovuta ad una aumentata volemia per effetto dell’attivazione neuro-ormonale che determina congestione venosa, ipoperfusione, elevati valori di vasopressina ed in ultima analisi ritenzione idrica. (1) Ma quali sono i fattori di rischio per lo sviluppo di iposodiemia nello scompenso acuto? Che significato hanno nel lungo termine le variazioni dell’iposodiemia durante il ricovero?  

Per chiarire questi aspetti sono stati recentemente pubblicati sull’European Journal of Heart Failure i dati del registro EORP della Società Europea dello Scompenso Cardiaco che ha raccolto informazioni preziose su circa 8300 pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto dal 2011 al 2018 in 33 centri cardiologici europei con un follow-up medio di 1 anno. (2) Un’analisi retrospettiva di questo ampio registro condotta da Kapłon-Cieslicka e collaboratori, ha dato la possibilità di ottenere dati sulla sodiemia sia al momento del ricovero che alla dimissione ed effettuare correlazioni con la prognosi sia intraospedaliera che a lungo termine. L’iposodiemia è stata definita come concentrazione sierica di sodio inferiore a 135 mmol/L ed in base a questo cut-off la popolazione di pazienti è stata divisa in 4 gruppi: 1. Iposodiemia persistente sia al momento del ricovero che alla dimissione (si/si, n=754); 2. iposodiemia al momento del ricovero ma non alla dimissione (si/no, n=876); 3. Nessuna iposodiemia al momento del ricovero ma iposodiemia alla dimissione (no/si, n=666); 4. Nessuna iposodiemia sia al momento del ricovero che alla dimissione (popolazione di riferimento, no/no n=6002). L’endpoint primario è stato un composito di morte per tutte le cause e il primo ricovero per scompenso cardiaco. L’endpoint secondario è stato morte per tutte le cause. L’endpoint terziario includeva morte cardiovascolare, morte per scompenso cardiaco, ricoveri per tutte le cause, ricoveri per cause cardiovascolari e ricoveri per scompenso cardiaco.

Degli 8300 pazienti inclusi nella presente analisi, 1630 (20%) avevano iposodiemia al momento del ricovero (iposodiemia lieve con valori tra 130 e 134 mmol/L: 1205 soggetti; iposodiemia moderata con valori tra 125 e 129 mmol/L: 285 soggetti; iposodiemia severa con valori inferiori a 125 mmol/L: 140 soggetti). L’iposodiemia al momento del ricovero è stata associata in maniera indipendente ad un’età più giovane e ad un quadro più severo di scompenso cardiaco (storia di diabete e patologie epatiche, frequenza cardiaca più alta, pressione sistolica più bassa, filtrato glomerulare più basso, valori emoglobinici più bassi e più alti dosaggi di furosemide). Al contrario il trattamento prima del ricovero con ACE inibitori o sartani, sacubutril/valsartan e beta bloccanti è risultato essere associato ad un rischio di iposodiemia più basso.

270 pazienti, circa il 3.3% della popolazione generale, sono deceduti durante il ricovero (5.8% erano pazienti con iposodiemia al momento del ricovero vs 2.6% dei pazienti normosodiemici). All’analisi multivariata l’iposodiemia al momento del ricovero è risultata essere un predittore indipendente di morte intraopedaliera (OR 2.30, 95% CI 1.78–2.97, p < 0.001) ed associata in maniera indipendente alla classe NYHA III-IV alla dimissione, ad un più lungo ricovero in terapia intensiva e ad una perdita di peso maggiore di 2 kg durante il ricovero.

Dei 1630 pazienti con iposodiemia al ricovero, 876 (54%) ha corretto l’iposodiemia durante il ricovero.

I pazienti con iposodiemia persistente hanno avuto la più alta mortalità intraospedaliera (6.9% vs 4.9% in iposodiemia si/no, 4.7% in iposodiemia no/si) mentre i pazienti che non hanno mai sviluppato iposodiemia la più bassa (2.4%, p<0.001). Inoltre, i soggetti con iposodiemia persistente hanno avuto ricoveri in terapia intensiva più lunghi, un quadro generale più compromesso alla dimissione e la riduzione meno importante dei valori di NT-pro-BNP.

I pazienti che anno corretto l’iposodiemia durante il ricovero avevano un 17% di rischio più alto di sviluppare l’endpoint primario e un rischio 35% più alto di sviluppare l’endpoint secondario rispetto alla popolazione di controllo. Dato interessante, i pazienti che hanno sviluppato iposodiemia durante il ricovero non avevano un rischio più alto di sviluppare l’endpoint primario o secondario rispetto al gruppo di controllo.

Questo ampio studio contemporaneo di pazienti con scompenso cardiaco acuto ha dimostrato in maniera convincente innanzitutto che l’iposodiemia si verifica in circa 1/5 dei pazienti ed è associata ad un quadro di insufficienza cardiaca più grave ma è una condizione che si risolve in oltre la metà dei casi durante il ricovero. Secondariamente, l’iposodiemia al momento del ricovero e soprattutto l’iposodiemia persistente sono fortemente associate ad un più alto rischio di morte intraospedaliera e dopo la dimissione.  Lo sviluppo di iposodiemia durante il ricovero che avviene circa nel 10% dei casi è verosimilmente il risultato di un trattamento diuretico intensivo che determina natridiuresi, decongestionamento e iposodiemia da deplezione. Infine, l’iposodiemia de novo durante il ricovero non è associata ad un più alto rischio di morte alla dimissione, similmente a quanto accade al filtrato glomerulare. In accordo con altri studi precedenti, l’iposodiemia persistente (presente cioè sia al momento del ricovero che alla dimissione) è tipicamente più presente nei soggetti con scompenso cardiaco avanzato (importante emodiluizione per severa congestione, ipotensione, insufficienza renale, più alti valori di NT-pro-BNP e clinicamente una classe NYHA più alta). (3) Da notare che questa correlazione è stata più forte nello scompenso destro (caratterizzato da più importanti edemi declivi, versamento pleurico, distensione giugulare, epatomegalia) piuttosto che nello scompenso sinistro (edema polmonare) suggerendo che l’iposodiemia è associata più alla congestione con sovraccarico di liquidi che alla loro redistribuzione. Interessante inoltre notare che la frazione di eiezione e la classe NYHA non sono state marker di rischio indipendente per l’iposodiemia al momento del ricovero suggerendo che l’iposodiemia sia mediata non dalla gravità dello scompenso in sé ma dalla presenza di scompenso destro caratterizzato appunto dal sovraccarico di liquidi e dalla congestione come anche dalla disfunzione renale ed epatica.

Non stupisce quindi il dato che i pazienti con iposodiemia persistente abbiano la più alta mortalità intraospedaliera e coloro che sopravvivono dopo la dimissione anche i peggiori outcome con una mortalità per tutte le cause il 60% più alta rispetto alla popolazione che non ha mai sviluppato iposodiemia. I soggetti che hanno corretto l’iposodiemia invece hanno una mortalità intraospedaliera e dopo la dimissione intermedia suggerendo che questa condizione possa essere un segno prognostico favorevole. Similmente, i soggetti che sviluppano una iposodiemia de novo durante il ricovero sono verosimilmente stati sottoposti ad una intensa terapia diuretica registrando il più alto calo di peso corporeo e una più bassa congestione residua alla dimissione alle spese di un modesto declino (peraltro spesso transitorio) del filtrato glomerulare suggerendo che l’iposodiemia in questi soggetti sia da deplezione e in ultima analisi risulta non essere associata ad una aumentato rischio di morte per tutte le cause o ricovero per scompenso cardiaco dopo la dimissione rispetto alla popolazione di riferimento.

Come cercare di prevenire l’iposodiemia? Questa analisi certamente ha dimostrato che gli ACE inibitori, i sartani, sacubitril valsartan ed i beta bloccanti hanno un effetto protettivo nei confronti della iposodiemia diluizionale antagonizzando l’effetto vasocostrittore dell’angiotensina II a livello delle arteriole glomerulari e riducendo l’effetto della vasopressina riducendo l’espressione di acquaporina 2 nei tubuli collettori. Anche le gliflozine (effetto delle quali però non è stato possibile analizzare in questo studio perché ha arruolato pazienti fino al 2018 pertanto prima dell’introduzione di tali farmaci nell’armamentario terapeutico standard dello scompenso cardiaco) potenzialmente potrebbero proteggere dall’iposodiemia dal momento che bloccano il riassorbimento di sodio nel nefrone prossimale inducendo diuresi osmotica specie se utilizzate con diuretici che agiscono prossimalmente come l’acetazolamide al posto dei diuretici tiazidici. (4)

Certo è che la correzione della sola iposodiemia nel corso del ricovero sino ad ora non si è tradotta in una minore mortalità dei pazienti con scompenso cardiaco acuto come appare chiaro dai risultati dello studio EVEREST pubblicato nel 2007 su JAMA che ha testato l’effetto di tolvaptan (farmaco in grado appunto di normalizzare la sodiemia bloccando il recettore V2 della vasopressina) in questo setting. (5) Ciò non toglie che la presenza di iposodiemia soprattutto se persistente è un indice prognostico negativo e individua un subset di pazienti ad alto rischio. E’ oramai chiaro che il trattamento dello scompenso cardiaco passa attraverso multipli meccanismi fisiopatologici e solo interrompendo più componenti contemporaneamente di questo circolo vizioso si potrà osservare un impatto positivo su endpoint hard come la mortalità.

Bibliografia:

  1. Brandimarte F, Fedele F, De Luca L et al. Hyponatremia in Acute Heart Failure Syndromes: a potential Therapeutic Target. Curr Heart Fail Rep. 2007;4:207-213.
  2. Kapton-Cieslicka A, Benon L, Chioncel O et al. Hyponatraemia and changes in natraemia during hospitalization for acute heart failure and associations with in-hospital and long-term outcomes – from the ESC-HFA EORP Heart Failure Long-Term Registry. Eur J Heart Fail 2023 (ahead of print).
  3. Gheorghiade M, Rossi JS, Cotts W, et al. Characterization and prognostic value of persistent hyponatraemia in patients with severe heart failure in the ESCAPE trial. Arch Intern Med. 2007;167:1998–2005.
  4. Kapłon-Cies´licka A, Soloveva A, Mareev Y, Cabac-Pogorevici I, Verbrugge FH, Vardas P. Hyponatraemia in heart failure: time for new solutions? Heart. 2022;108:1179–85.
  5. Konstam MA, Gheorghiade M, Burnett JC Jr et al. Effects of oral tolvaptan in patients hospitalized for worsening heart failure: the EVEREST Outcome Trial. JAMA. 2007 Mar 28;297(12):1319-31.