L’impatto del tipo di fibrillazione atriale sul rischio tromboembolico e sulla mortalità
di Filippo Brandimarte intervista Riccardo Cappato
17 Marzo 2023

Brandimarte: Dott. Cappato come classifichiamo oggi la fibrillazione atriale?

Cappato: La fibrillazione atriale è un disturbo del ritmo cardiaco progressivo. La transizione tra forme intermittenti a forme continue di presentazione dell’aritmia si può verificare nel 25% dei pazienti. Sulla base della presentazione clinica, dei dati anamnestici disponibili sulla durata della fibrillazione atriale, e sull’interruzione spontanea, sono stati descritti diversi tipi di fibrillazione atriale, indipendentemente dalla presenza/assenza di sintomi. I dati provenienti dal registro internazionale REALIZE-AF hanno mostrato che, nella popolazione generale, la fibrillazione atriale permanente è la forma più frequente (49,6%), seguita da quella parossistica (26.5%) e da quella persistente (23,8%).

Brandimarte: Come incide il pattern di fibrillazione atriale sul rischio embolico?

Cappato: Storicamente, il pattern di presentazione della fibrillazione atriale è stato considerato un fattore non determinante variazioni del profilo di rischio di tromboembolismo. Questo potrebbe essere anche determinato dall’assenza di dati codificati per tipo di fibrillazione atriale nei database utilizzati nelle coorti di derivazione e validazione degli SCORE di rischio. La relazione tra il pattern di fibrillazione atriale e il rischio di ictus, a prescindere dai punteggi di CHADS2 e CHA2DS2-VASc, è allo stato attuale una questione di profonda discussione. L’analisi del rapporto tra pattern di fibrillazione atriale e rischio tromboembolico è complicata dall’evidenza che il profilo dei pazienti con la forma parossistica è diverso dagli altri tipi: questi pazienti, infatti, sono generalmente più giovani, con una minore prevalenza di cardiopatie strutturali e altre comorbidità e di conseguenza un rischio tromboembolico stimato inferiore.Altri fattori confondenti sono l’aderenza dei pazienti alla terapia anticoagulante e il carattere evolutivo intra-individuale della fibrillazione atriale: molti pazienti, infatti, possono sviluppare fibrillazione atriale persistente o permanente, pur essendo al momento della diagnosi classificati come forma parossistica e viceversa. Pertanto, un fenotipo potrebbe non essere rappresentativo per uno specifico paziente. I dati in letteratura che hanno valutato l’effetto del pattern di presentazione derivano da analisi post-hoc di studi osservazionali o studi randomizzati e controllati di intervento. Negli ultimi anni in seguito all’avvento dei nuovi anticoagulanti orali e dei rispettivi grandi trial registrativi il numero dei pazienti affetti da fibrillazione atriale arruolati in maniera sistematica è cresciuto in maniera esponenziale rappresentando un ottimo substrato per sotto-analisi e studi di approfondimento. Inizialmente le prime sotto-analisi in cui è stato valutato l’effetto del pattern di presentazione della fibrillazione atriale sono state svolte su studi randomizzati controllati in cui è stato saggiato l’effetto della terapia antiaggregante nella riduzione del rischio tromboembolico in pazienti con fibrillazione atriale. In particolare, in un’analisi cumulativa degli studi ACTIVE-A e AVERROES, in cui è rappresentata una popolazione di 6.563 pazienti con fibrillazione atriale trattati con aspirina, i tassi annuali di ictus ischemico sono stati del 2,1%, 3,0% e 4,2% rispettivamente in pazienti con la forma parossistica, persistente e permanente. L’analisi multivariata ha identificato: l’età ≥75 anni, il sesso, la storia di ictus o attacco ischemico transitorio e il pattern come predittori indipendenti di ictus; la fibrillazione atriale permanente rappresenta inoltre il secondo predittore più forte dopo la storia di precedente ictus/TIA. Altri studi, condotti anch’essi per saggiare l’effetto della terapia antiaggregante, non hanno confermato questo dato. Lo studio SPAF e analogamente lo studio ACTIVE-W hanno mostrato un rischio comparabile di sviluppare ictus ischemico nei pazienti con la forma parossistica o non parossistica. Le analisi post-hoc degli studi ROCKET-AF, ARISTOTLE ed ENGAGE-AF hanno dimostrato tassi di incidenza di ictus ischemico significativamente inferiori nei pazienti con fibrillazione atriale parossistica al momento dell’arruolamento rispetto a quelli con la forma persistente, anche dopo correzione per le caratteristiche basali della popolazione. Nello studio RE-LY, i tassi di ictus erano inferiori nei pazienti con la forma parossistica rispetto ai pazienti con la forma persistente, ma non sono stati effettuati confronti formali dopo correzione per i più comuni fattori di rischio; i pazienti con fibrillazione atriale parossistica, infatti, tendevano ad avere punteggi CHADS2 più bassi. Allo stesso tempo alcuni studi eseguiti su registri osservazionali internazionali hanno riportato un rischio tromboembolico paragonabile tra le due forme. I dati derivanti dai registri osservazionali sono, però, molto eterogenei e presentano numerose variabili di confondimento come, ad esempio, il tasso di aderenza alla terapia anticoagulante o le diverse caratteristiche intrinseche dei pazienti affetti da diversi pattern di fibrillazione atriale. Questi fattori, pertanto, rendono difficile qualsiasi tentativo di correzione rigorosa dei dati in tali studi, così da rendere meno significativi i risultati derivanti dagli stessi. Questi dati insieme ad altri derivati da precedenti studi sono stati raccolti da Ganesan in un’ampia metanalisi composta da 12 studi rappresentativi di 99.996 pazienti. Il rischio relativo di tromboembolismo sistemico non corretto è stato 1,355 per pazienti con fibrillazione atriale non parossistica rispetto ai pazienti con la forma parossistica. Nella stessa metanalisi inoltre è stata saggiato l’effetto del pattern di fibrillazione atriale sul rischio emorragico di questi pazienti. I risultati hanno mostrato tassi di sanguinamento simili nei due gruppi sia nella valutazione del rischio relativo che nella valutazione dell’HR inserendo solo i dati corretti dopo analisi multivariata. L’assenza di associazione tra il pattern di fibrillazione atriale ed il rischio di sanguinamento potrebbe supportare l’ipotesi che questo fattore rappresenti, al contrario, una variabile indipendente per il rischio tromboembolico dei pazienti.Tuttavia, questa metanalisi presenta una grave limitazione determinata dall’aver incluso analisi post-hoc di studi effettuati per scopi diversi ed alcuni studi osservazionali.

Brandimarte: Quali sono invece i dati sulla mortalità?

Cappato: La fibrillazione atriale è associata a un aumentato rischio di morte per tutte le cause. È importante sottolineare inoltre che un “burden” di fibrillazione atriale più elevato è associato ad una maggiore mortalità. L’associazione tra pattern di presentazione di fibrillazione atriale e il rischio di morte per tutte le cause è stata indagata in due ampie metanalisi. Nella meta-analisi di Zhang, basata esclusivamente su analisi post hoc di trial randomizzati in pazienti con rischio di ictus moderato-severo che ricevono terapia anticoagulante, è stato dimostrato una riduzione della mortalità per tutte le cause nei pazienti con fibrillazione atriale parossistica rispetto ai pazienti con la forma non parossistica. La meta-analisi di Ganesan rappresenta il più grande dataset aggregato di pazienti affetti da fibrillazione atriale. Nel complesso la mortalità per tutte le cause si è dimostrata più alta nei pazienti con la forma no parossistica rispetto a quelli con quella parossistica. Solo dopo correzione mediante analisi multivariata si è osservata una parziale attenuazione di questa associazione. I meccanismi con cui i pazienti con la forma non parossistica hanno sperimentato un aumento della mortalità possono essere potenzialmente stati un peggioramento dello scompenso cardiaco o episodi di ictus più gravi, o forse una maggiore prevalenza di gravi malattie non cardiovascolari sottostanti.

Brandimarte: Qual è dunque il valore aggiunto del pattern di fibrillazione atriale rispetto all’attuale metodo di stratificazione del rischio?

Cappato: Nei pazienti con elevato spettro di rischio tromboembolico calcolato sulla base degli attuali score di rischio, i fattori di rischio clinico svolgono un ruolo maggiormente importante rispetto al pattern di fibrillazione atriale. Al contrario, nel decidere se iniziare o meno la terapia anticoagulante nei pazienti a basso rischio clinico di tromboembolismo (CHA2DS2-VASc score =1), per i quali il rapporto rischio/beneficio di tale terapia è meno chiaro, potrebbe essere utile considerare il tipo di fibrillazione atriale (parossistica versus non parossistica). In questo caso infatti la presenza della forma parossistica andrebbe a configurare un profilo di rischio minore rispetto alla forma non parossistica. L’associazione della forma non parossistica con l’aumento della mortalità suggerisce, inoltre, che la prevenzione della progressione della fibrillazione atriale può potenzialmente avere un impatto non solo sui sintomi o sul rischio di ictus, ma potrebbe anche potenzialmente migliorare la sopravvivenza.

Brandimarte: Grazie Dott. Cappato per questo interessante approfondimento su un aspetto della fibrillazione atriale sul quale probabilmente non si pone sufficiente attenzione.