L’impatto clinico nell’infarto miocardico peri-operatorio. I risultati del registro BASEL-PMI
di Laura Gatto
23 Maggio 2023

L’infarto miocardico peri-operatorio (PMI) è una complicanza molto frequente dopo interventi di chirurgia non cardiaca, con un grande impatto sulla mortalità [1-2]. A causa della sedazione e dell’analgesia somministrate nel periodo peri-operatorio, molto spesso i pazienti sono asintomatici o presentano sintomi atipici, questo comporta, in assenza di un’adeguata sorveglianza, un ritardo o una omissione della diagnosi [3]. È per tale motivo che, recentemente, la Società Europea di Cardiologia ha rilasciato delle nuove linee guida in cui la sorveglianza attiva dei pazienti ad alto rischio sottoposti a chirurgia non cardiaca viene consigliata in classe 1B [4]. La difficoltà di un adeguato inquadramento del paziente dipende anche dal fatto che il PMI racchiude un gruppo molto eterogeno di patologie con meccanismi fisiopatologici molto diversi tra loro, includendo l’infarto “classico” di tipo 1 dovuto alla rottura di placca, l’infarto secondario di tipo due causato dal mismatch tra domanda e richiesta di ossigeno, le tachiaritmie, lo scompenso cardiaco e cause extra-cardiache associate comunque ad aumento della troponina come l’embolia polmonare e la sepsi [1-2]. Una corretta definizione fisiopatologica rappresenta, quindi, un momento chiave per l’inizio di un trattamento adeguato ed anche per una migliore definizione prognostica.

Sull’ultimo numero dell’European Heart Journal sono stati pubblicati i risultati del BASEL-PMI [5], un registro condotto con lo scopo di definire ad un anno l’impatto prognostico in termini di MACE (eventi cardiaci avversi maggiori) e di mortalità per tutte le cause del danno miocardico perioperatorio. Nel registro sono stati inseriti in modo prospettico tutti i pazienti con una degenza post operatoria prevista di almeno due giorni sottoposti a chirurgia non cardiaca in due ospedali svizzeri ed in un ospedale di San Paolo del Brasile. Il principale criterio di arruolamento era rappresentato dall’incremento del rischio di mortalità, definito o dall’età > 65 anni oppure dall’età > 45 anni ma con una storia di malattia cardiovascolare nota (coronaropatia, vasculopatia periferica, ictus). In tutti i pazienti si è dosata la troponina ultrasensibile al basale e nei primi due giorni post-operatori; l’ECG a 12 derivazioni si effettuava in caso di diagnosi di PMI o laddove ritenuto clinicamente indicato. La diagnosi di PMI veniva posta solo in presenza di un incremento > 14 ng/L per la troponina T ultrasensibile e > 45 ng/L per la troponina I ultrasensibile (al di sopra del 99° percentile del limite di riferimento di ciascun test diagnostico) rispetto ai valori basali, indipendentemente dalla presenza di sintomi o di alterazioni elettrocardiografiche. Una volta posta la diagnosi di PMI, si è proceduto all’individuazione del trigger principale del danno miocardico, con la definizione di tre diversi gruppi:

  1. pazienti con PMI da causa extra-cardiaca (sepsi severa, ictus, embolia polmonare, trauma cardiaco)
  2. pazienti con PMI da causa cardiaca, ulteriormente distinti in pazienti con infarto tipo 1, con scompenso cardiaco o con tachiaritmia
  3. pazienti con PMI di tipo 2, secondario ad ipossiemia, ipotensione, anemia o tachicardia sinusale

L’endpoint primario dello studio sono stati i MACE e la mortalità per tutte le cause in base alle diverse tipologie di PMI ad un anno. Nei MACE sono stati inclusi: l’infarto miocardico acuto, lo scompenso cardiaco, le aritmie minacciose per la vita e la morte cardiovascolare. Ovviamente il PMI è stato considerato come l’evento indice e non come un endpoint. Come endpoint secondario sono stati valutati gli eventi a 120 giorni, in quanto precedenti evidenze hanno dimostrato che i primi 4 mesi dopo l’intervento rappresentano il periodo di maggiore vulnerabilità.

L’analisi finale ha incluso 7754 pazienti (età mediana 45-98 anni; 45% donne). L’incidenza complessiva di PMI è stata del 13.1% per un tale di 1016 eventi. Per quanto riguarda le eziologie del PMI: in 109 casi (10.7%) è stata riconosciuta una causa extracardiaca, in 157 (15,5%) una causa cardiaca e 750 eventi (73,8%) sono stati attributi ad un infarto di tipo secondario. Per quanto concerne i 157 considerati PMI da causa cardiaca si è trattato di 71 pazienti con infarto di tipo 1 (di questi 47 hanno eseguito la coronarografia entro un mese dal PMI), 47 pazienti con tachiaritmia e 39 con scompenso cardiaco. Le principali caratteristiche cliniche sono risultate diversamente distribuite nei differenti sottotipi di PMI, per esempio la coronaropatia è stata maggiormente rappresentata nei soggetti con infarto miocardico di tipo 1 o con scompenso cardiaco, la fibrillazione atriale e la chirurgia per neoplasie nei soggetti con tachiaritmia, l’anemia e l’insufficienza renale nei soggetti con PMI da causa extracardiaca.

Il follow-up mediano è stato di 388 giorni. Ad un anno l’incidenza complessiva dei MACE è stata del 8.8%, mentre la mortalità generale è stata del 10.5%. L’endpoint composito MACE e morte per tutte le cause ha presentato una incidenza del 15% (1160 pazienti). L’incidenza dei MACE è stata del 7% nei pazienti senza storia di PMI e significativamente più elevata nei pazienti con storia di PMI ma con una netta differenza a seconda dell’eziologia del danno miocardico post operatorio: 17% per l’infarto miocardico tipo 2, 30% per la causa extracardiaca, 37% per l’infarto tipo 1, 49% per le tachiaritmie e 56% per lo scompenso cardiaco. Tale associazione è stata confermata all’analisi multivariata, dove gli HR (hazard ratio) sono stati 1.8, 3, 3.2, 5.4 e 5.5 rispettivamente per l’infarto miocardico tipo 2, per la causa extracardiaca, per l’infarto tipo 1, per le tachiaritmie e per lo scompenso cardiaco. Inoltre, valutando il numero complessivo di eventi, pazienti con storia di PMI hanno presentato eventi multipli dal 3 al 23% dei casi (a seconda dell’eziologia del PMI) rispetto all’1% dei pazienti senza storia di PMI, soprattutto nei primi 120 giorni dall’intervento. Risultati analoghi si sono avuti per l’atro endpoint, la mortalità per tutte le cause: mentre i soggetti senza PMI hanno presentato una mortalità complessiva del 9%, quelli con PMI hanno presentato una mortalità significativamente più alta e con un rischio diverso a seconda dell’eziologia del PMI: 17% per l’infarto miocardico tipo 2, 38% per la causa extracardiaca, 28% per l’infarto tipo 1, 40% per le tachiaritmie e 49% per lo scompenso cardiaco.

Puelacher e coll. concludono affermando che i pazienti con danno miocardico perioperatorio presentano ad un anno un rischio aumentato di MACE e di mortalità per tutte le cause, tale rischio è indipendente dall’eziologia del PMI, ma è sicuramente più accentuato nei soggetti con danno miocardico legato a scompenso cardiaco ed a tachiaritmie e nei primi 4 mesi dopo l’intervento chirurgico.

Sicuramente deve essere riconosciuto agli autori del registro il grande lavoro per l’inclusione dei pazienti, la raccolta dei dati e per la definizione eziologica di ogni singolo PMI individuato. Tuttavia il principale limite di questo registro è rappresentato probabilmente proprio dalla definizione stessa del PMI, per cui non esiste un criterio univoco di diagnosi e che nello studio si è basato soltanto sul minimo incremento postoperatorio dei valori di troponina ultrasensibile, senza essere correlato a criteri clinici ed elettrocardiografici. Questo probabilmente potrebbe portare, nella pratica clinica, ad una “sovra diagnosi” di infarto miocardico perioperatorio, con conseguente difficoltà gestionale dei soggetti in cui si pone questo tipo di diagnosi in primis per le difficoltà logistiche e l’impossibilità di assicurare a tutti l’accesso a reparti ad alta intensità di cure. La forte correlazione tra PMI e maggior rischio di MACE e mortalità deve però essere recepito e deve probabilmente stimolare noi cardiologici ad una più attenta valutazione pre-operatoria dei nostri pazienti con una più corretta stratificazione del rischio, con l’effettuazione di diagnosi più precoci e con l’ottimizzazione terapeutica per prevenire il danno miocardico perioperatorio.

Bibliografia di riferimento:

  1. Puelacher C, Lurati Buse G, Seeberger D, Sazgary L, Marbot S, Lampart A, et al. Perioperative myocardial injury after noncardiac surgery: incidence, mortality, and characterization. Circulation 2018;137:1221–1232.
  2. Botto F, Alonso-Coello P, Chan MT V, Villar JC, Xavier D, Srinathan SK, et al. Myocardial injury after noncardiac surgery: a large, international, prospective cohort study establishing diagnostic criteria, characteristics, predictors, and 30-day outcomes. Anesthesiology 2014;120:564–578.
  3. Devereaux PJ, Xavier D, Pogue J, Guyatt G, Sigamani A, Garutti I, et al. Characteristics and short-term prognosis of perioperative myocardial infarction in patients undergoing noncardiac surgery: a cohort study. Ann Intern Med 2011;154:523–528.
  4. Halvorsen S, Mehilli J, Cassese S, Hall TS, Abdelhamid M, Barbato E, et al. 2022 ESC guidelines on cardiovascular assessment and management of patients undergoing non- cardiac surgery. Eur Heart J 2022;43:3826–3924.
  5. Puelacher C, Gualandro DM, Glarner N, Lurati Buse G, Lampart A, Bolliger D, et al, BASEL-PMI Investigators. Long-term outcomes of perioperative myocardial infarction/injury after non-cardiac surgery. Eur Heart J. 2023 May 14;44:1690-1701