L’ECMO è indicato nello shock cardiogeno? Dall’ESC i risultati dell’ECLS-SHOCK trial
di Laura Gatto
05 Settembre 2023

Nei pazienti con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno, rivascolarizzati precocemente, l’impianto dell’ECMO (Extra Corporeal Membrane Oxygenation) non si associa ad un beneficio della mortalità a trenta giorni: sono questi i risultati principali dell’ECLS-SHOCK trial, presentati dal Prof. H. Thiele durante l’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia tenutosi la scorsa settimana ad Amsterdam e contemporaneamente pubblicati sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine [1].

Si tratta di un trial randomizzato, open label e multicentrico che ha coinvolto 44 centri dislocati tra la Germania e la Slovenia. Sono stati arruolati pazienti con età compresa tra i 18 ed 80 anni, con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno e con in programma la rivascolarizzazione coronarica sia percutanea (metodica preferenziale) che chirurgica. Lo shock cardiogeno è stato definito come la presenza di una pressione sistolica < 90 mmhg per almeno trenta minuti (o tale da richiedere l’impego di catecolamine per mantenere una pressione ≥ a questo target), di lattati arteriosi > 3 mmol/L e di segni di ridotta perfusione d’organo (almeno uno dei seguenti: alterazioni dello stato di coscienza, oligoanuria ed estremità fredde) [2]. Per la definizione dello shock è stata quindi impiegata quello dello SCAI, includendo i soggetti in classe C, D e E [3]. Sono stati invece esclusi pazienti con storia di rianimazione cardiopolmonare prolungata (> 45 minuti), con shock cardiogeno da causa meccanica o con severa vasculopatia periferica tale da precludere l’impianto dell’ECMO. I pazienti eleggibili, subito dopo la coronarografia diagnostica e la decisione di procedere con la rivascolarizzazione, sono stati randomizzati con un rapporto di 1 a 1 a terapia standard oppure a terapia standard plus impianto di ECMO. Nei pazienti del gruppo ECMO, il supporto circolatorio veniva iniziato preferibilmente prima della rivascolarizzazione; nei pazienti del gruppo controllo era invece consentito il cross over verso l’impianto di sistemi di assistenza al circolo (ECMO, IABP ed Impella) in caso di evidenza di ulteriore deterioramento emodinamico testimoniato ad esempio da un incremento dei lattati > 3 mmol/l durante un periodo di sei ore o dall’incremento del dosaggio dei vasopressori di più del 50% rispetto al basale per mantenere una pressione arteriosa media di almeno 65 mmHg [2]. L’endpoint primario dello studio è stata la mortalità per tutte le cause a 30 giorni. Gli outcome secondari hanno incluso: il tempo fino alla stabilizzazione emodinamica, la lunghezza della degenza in terapia intensiva, l’insorgenza di insufficienza renale acuta che abbia richiesto l’impiego della dialisi, la recidiva di infarto miocardico, le re-ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, l’inizio e la durata della terapia con catecolamine, l’impiego e la durata della ventilazione meccanica. Gli endpoint di sicurezza hanno previsto: le complicanze emorragiche maggiori (sanguinamenti da tipo 3 a tipo 5 secondo la definizione BARC), l’ictus, l’embolizzazione sistemica e le complicanze vascolari ischemiche periferiche.

Per quanto riguarda i risultati: da Giugno 2019 a Novembre 2022 877 soggetti sono stati screenati; alla fine lo studio ha compreso 417 pazienti: 209 arruolati nel gruppo ECMO e 208 arruolati nel gruppo controllo. Le due popolazioni sono risultate ben bilanciate in relazione alle principali caratteristiche cliniche: l’età media è stata di 63 anni, con oltre l’80% di soggetti di sesso maschile; 2/3 dei pazienti si sono presentati con uno STEMI e l’arteria discendente anteriore è stato il vaso culprit in quasi la metà della popolazione (47.6%). Circa 2/3 dei soggetti hanno presentato una malattia coronarica multivasale, il 77.7% è stato sottoposto a rianimazione cardio-polmonare prima della randomizzazione, più del 90% ha presentato segni clinici di ipoperfusione ed il livello medio di lattati è stato di 6.9 mmol/L. In generale circa il 51% dei pazienti si trovava in classe SCAI C ed il 35% in classe SCAI E. la quasi totalità dei pazienti (96.6%) è stato rivascolarizzato mediante angioplastica coronarica.

Nel gruppo ECMO la maggior parte dei pazienti ha iniziato il supporto al circolo a ridosso della rivascolarizzazione: nel 21.9% prima, nel 26% durante e nel 52.1% subito dopo; tuttavia in 17 pazienti il device non è stato mai impiantato (4 pazienti deceduti piuma dell’impianto). Al contrario nel gruppo controllo in 26 pazienti è stato eseguito il cross over verso l’impianto di ECMO ed in 28 casi è stato fatto l’upgrading ad un altro sistema di supporto al circolo che nella quasi totalità dei casi (24 pazienti) è stato rappresentato dall’Impella CP.

Per quanto concerne gli outcome: la mortalità a trenta giorni per tutte le cause è stata del 47.8% nel gruppo ECMO e del 49% nel gruppo controllo (RR 0.98, 95% CI 0.80-1.19; P= 0.81). I dati riguardanti l’endpoint primario si sono confermati in tutti i sottogruppi prespecificati, con differenze non significative neanche tra i centri con diversi rate di arruolamento (con più o meno di 5 pazienti). In merito agli outcome secondari non ci sono state differenze significative in termini di nuove rivascolarizzazioni (RR 0.81), recidiva infartuale (RR 1), reospedalizzazioni per scompenso cardiaco (RR 1.4); i pazienti del gruppo ECMO hanno presentato degenze più lunghe in terapia intensiva (10 vs 8 giorni) ed in generale in ospedale (12 vs 10 giorni), ma hanno presentato una minore necessità di inizio della dialisi (RR 0.58).

Per quanto riguarda invece la sicurezza: sanguinamenti moderati o severi si sono verificati nel 23.4% dei pazienti del gruppo ECMO e nel 9.6% dei pazienti del gruppo controllo (RR 2.44, 95% CI 1.50-3.95), mentre le complicanze vascolari periferiche ischemiche sono state rispettivamente dell’11% e del 3.8% (RR 2.86, 95% CI 1.31-6.25); l’ictus e le complicanze emboliche sistemiche sono state del 3.8% verso il 2.9% (RR 1.33, 95% CI 0.47-3.76).

L’ECLS-SHOCK trial ha quindi confermato che lo shock cardiogeno è una condizione gravata da una elevatissima mortalità (quasi il 50% in entrambe le popolazioni) e che al momento l’impiego dell’ECMO non sembra impattare positivamente sulla prognosi di questa gravissima patologia. Tali risultati confermano quelli di altri studi randomizzati presenti in letteratura che hanno valutato l’impiego di questo e di altri sistemi di assistenza, basti solo pensare ai risultati dell’IABP shock II trial portato avanti con il contropulsatore dagli stessi autori [4]. Al momento l’unica terapia in grado di modificare la storia naturale di questa condizione rimane la rivascolarizzazione coronarica effettuata il più precocemente possibile.

Nella discussione del lavoro gli autori suggeriscono diverse ragioni che potrebbero spiegare la mancanza di beneficio dell’ECMO in questo setting, in primis le complicanze emorragiche e vascolari periferiche che sono state più frequenti nel gruppo device e di cui è noto l’impatto negativo sulla mortalità precoce. Inoltre, spesso l’impianto del device si associa ad una più lunga durata della ventilazione meccanica e soprattutto ad un incremento dell’afterload. È per tale motivo che nel corso degli anni sono state sviluppate diverse strategie di unloading del ventricolo sinistro, come ad esempio l’impiego contemporaneo di ECMO ed Impella; nell’ECLS-SHOCK trial la percentuale di unloading è stata molto bassa (5.8%) nel gruppo ECMO e paradossalmente molto più elevata (31.6%) in quei 26 pazienti del gruppo controllo che avevano fatto il cross over verso l’impianto del device.

Al gruppo di H. Thiele va comunque riconosciuto, ancora una volta, il merito di aver disegnato e brillantemente condotto un trial clinico randomizzato sullo shock cardiogeno, che rimane una popolazione eterogena e difficile da incasellare in rigidi criteri di inclusione predeterminati. A conferma di ciò, infatti, bisogna ricordare che nello studio un paziente su 4 del gruppo controllo ha effettuato il cross-over verso un sistema di assistenza al circolo (ECMO o Impella) e nel 10% dei pazienti del gruppo ECMO non si è proceduto all’impianto del device.

Al di là dei risultati, va anche sottolineata l’estrema complessità e gravità della popolazione arruolata, definita dallo stesso Thiele, nella discussione che è succeduta alla presentazione del trial al Congresso Europeo, come “crushed”. A tal proposito va sottolineato che circa 1/3 dei pazienti si è presentato con shock in classe SCAI E, che il livello medio di lattati è stato di 6.9 e che la maggiorparte dei pazienti ha mostrato una malattia coronarica multivasale o è stato rianimato prima della randomizzazione. Probabilmente in un sottogruppo di pazienti con queste caratteristiche l’impianto di qualsiasi sistema di assistenza può rasentare la futilità, oltre che aumentare il rischio di complicanze, come testimoniano i risultati del trial. Questo rafforza l’opinione comune che anche nello shock cardiogeno esista una sorta di “golden hour” in cui è mandatorio individuare quei pazienti in una condizione di shock molto precoce (per esempio quelli in classe B secondo la definizione SCAI) che possano beneficiare di un trasferimento in un centro avanzato specializzato nel trattamento di tale condizione  ed, in alcuni casi, anche dell’impianto tempestivo di un device di assistenza prima che si instauri una compromissione multiorgano fatale.

 Bibliografia di riferimento

  1. Thiele H, Zeymer U, Akin I,  et al   Extracorporeal Life Support in Infarct-Related Cardiogenic Shock. N Engl J Med. 2023 Aug 26. doi: 10.1056/NEJMoa2307227. Online ahead of print.
  2. Thiele H, Freund A, Gimenez MR, et al. Extracorporeal life support in patients with acute myocardial infarction complicated by cardiogenic shock — design and rationale of the ECLS-SHOCK trial. Am Heart J 2021; 234: 1-11.
  3. Naidu SS, Baran DA, Jentzer JC, et al. SCAI SHOCK stage classification expert consensus update: a review and incorporation of validation studies. J Am Coll Cardiol 2022; 79: 933-46
  4. Thiele H, Zeymer U, Neumann F-J, et al. Intraaortic balloon support for myocardial infarction with cardiogenic shock. N Engl J Med 2012; 367: 1287-96.