Le relazioni pericolose: Influenza e infarto miocardico
di F. Brandimarte intervista G. Desideri
23 Ottobre 2022

Brandimarte: Dott. Desideri la correlazione tra influenza e sindromi coronariche acute ha radici non recentissime. Ci può dire qualcosa a riguardo?

Desideri: L’associazione positiva tra influenza e rischio di eventi cardiovascolari ha destato da tempo la curiosità della comunità scientifica visto che era già stata descritta nel corso delle epidemie di influenza dal 1915 al 1929, compresa la pandemia 1918-1920. Durante queste epidemie, oltre il 50% dei decessi sono stati attribuiti a cause diverse dall’influenza, principalmente alle malattie cardiovascolari. Successivamente, altri studi hanno confermato l’associazione temporale tra influenza ed eventi cardiovascolari. Del tutto recentemente uno studio statunitense condotto in pazienti ospedalizzati nel periodo 2010-2017 con diagnosi di influenza confermata con indagini di laboratorio ha dimostrato la comparsa di un evento cardiovascolare acuto in 1 paziente su 8 con il 31% dei pazienti che hanno avuto bisogno di ricovero in terapia intensiva ed una percentuale di decessi del 7%. Queste evidenze epidemiologiche, convincenti, coerenti e consistenti, hanno rappresentato il presupposto speculativo per cercare di definire un eventuale nesso di causalità tra influenza ed eventi cardiovascolari attraverso l’individuazione di meccanismi fisiopatologici che potessero fornire una robusta plausibilità biologica all’ipotesi causale e la definizione di procedure di intervento capaci di modificare tale associazione.

Brandimarte: Sono stati definiti o quantomeno ipotizzati meccanismi fisiopatologici probabili per questa associazione?

Desideri: L’associazione tra infezioni acute ed aumentato rischio di infarto miocardico è stata documentata per diversi patogeni, sia virus che batteri, e per una varietà di siti di infezione. Questa associazione è più consistente e più duratura in caso di infezioni particolarmente severe. Tali evidenze suggeriscono che sia l’agente infettivo che la risposta dell’ospite possano avere un rilevante ruolo fisiopatologico. A tale riguardo, va considerato in primo luogo il ruolo centrale che l’infiammazione gioca nello sviluppo e nella progressione della patologia aterosclerotica. Nonostante la patogenesi del processo infiammatorio sia multifattoriale, diversi patogeni, compresi i virus influenzali, possono modulare la risposta infiammatoria ed influenzare la biologia della placca aterosclerotica fino ad indurne la rottura e causare un infarto miocardio di tipo 1 (2,4,6). Nel corso di un processo infettivo vengono rilasciate in circolo citochine infiammatorie che sono in grado di attivare le cellule infiammatorie all’interno della placca aterosclerotica. Studi sperimentali ed autoptici hanno dimostrato che dopo uno stimolo infettivo l’attività infiammatoria nella placca aterosclerotica aumenta significativamente con produzione di metalloproteinasi, peptidasi e di specie reattive dell’ossigeno che possono portare ad una destabilizzazione della placca. Lo stato protrombotico e procoagulante associato alle infezioni acute aumenta ulteriormente il rischio di trombosi coronarica nella sede di rottura della placca. In corso di infezione da virus influenzali e da altri virus respiratori è stata descritta anche un’aumentata espressione di geni associati all’attivazione piastrinica e al rischio di infarto miocardico. I virus influenzali, inoltre, sembrano dotati di un particolare tropismo per le strutture vascolari, come suggerito da modelli sperimentali di aterosclerosi accelerata dalla loro specifica localizzazione a livello delle placche fibrolipidiche anche in assenza di apparente viremia. Tale localizzazione si associa ad una pronunciata risposta infiammatoria locale con infiltrazione macrofagica e liberazione in circolo di citochine infiammatorie. Questo stato di aumentata attività infiammatoria sistemica e a livello di placca, di ipercoagulabilità e di disfunzione/attivazione endoteliale e piastrinica tende a persistere anche dopo la risoluzione clinica dell’infezione acuta. Infezioni virali clinicamente rilevanti possono anche esacerbare una preesistente patologia cardiovascolare e contribuire allo sviluppo di un infarto miocardico di tipo 2 attraverso un incremento delle richieste metaboliche del tessuto miocardico per la febbre e la tachicardia e l’eventuale induzione di ipossiemia. L’aumento della frequenza cardiaca che accompagna gli stati febbrili, peraltro, riduce il tempo di diastole e conseguentemente la perfusione coronarica che ha luogo maggiormente durante questa fase del ciclo cardiaco. Negli anziani il deficit di perfusione può essere ulteriormente esacerbato dalla presente di stenosi coronariche o anche da una vasocostrizione mediata da tossine. L’ischemia da discrepanza, che fisiopatologicamente sottende l’infarto miocardico di tipo 2, spiega comunque soltanto una modesta quota degli infarti che occorrono nel periodo immediatamente successivo ad un processo infettivo mentre non ha alcun ruolo fisiopatologico significativo negli eventi che occorrono più tardivamente. Modelli sperimentali suggeriscono infine anche la possibilità di un danno cardiovascolare diretto da parte dei virus influenzale. Nell’animale da esperimento infettato con virus influenzale sono stati descritti a livello del tessuto miocardico fenomeni di distruzione cellulare più che di infiammazione e lesioni simili sono state osservate anche in alcuni pazienti deceduti per influenza. Questi focolai di tessuto miocardico danneggiato non coinvolgono le arterie coronarie ma possono esacerbare il danno miocardico su base ischemica acuta e possono contribuire all’insorgenza di aritmie e alla comparsa o al peggioramento di uno scompenso cardiaco.

Brandimarte: La vaccinazione, oramai largamente disponibile può aiutare a prevenire queste pericolose alterazioni?

Desideri: Le evidenze di una rilevante efficacia protettiva della vaccinazione antinfluenzale forniscono un ulteriore supporto, robusto e convincente, di un nesso causale tra influenza ed infarto miocardico. Una metanalisi che ha incluso 4 trial randomizzati e 12 studi osservazionali per un totale di circa 240 mila pazienti con malattia cardiovascolare ha evidenziato come la vaccinazione antinfluenzale si associ ad una riduzione del 28% del rischio relativo di mortalità per tutte le cause e del 18% del rischio relativo di mortalità per cause cardiovascolari insieme ad una riduzione del 13% degli eventi cardiovascolari maggiori nel corso di un follow-up medio di 20 mesi. Del tutto recentemente il trial Influenza Vaccination After Myocardial Infarction (IAMI) ha fornito l’interessante prospettiva del possibile uso della vaccinazione antinfluenzale come parte integrante del trattamento intraospedaliero dei pazienti con infarto miocardico. Lo studio, in doppio cieco, randomizzato controllato ha valutato l’efficacia protettiva della vaccinazione antinfluenzale rispetto al placebo nel ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori in una coorte di 2571 pazienti, nella pressoché totalità dei casi con infarto miocardico (solo 0.3% con malattia coronarica stabile ad alto rischio), in un intervallo di tempo di 12 mesi. La vaccinazione antinfluenzale effettuata entro 72 dalla ospedalizzazione per infarto miocardico o dalla procedura coronarica invasiva ha determinato una riduzione del 28% del rischio composito di mortalità per tutte le cause, infarto miocardico o trombosi di stent, ed una riduzione del 41% della mortalità per tutte le cause e della mortalità cardiovascolare. Lo studio ha anche mostrato un trend verso una riduzione dell’infarto miocardico che però non ha raggiunto la significatività statistica probabilmente a causa dell’esiguo numero di eventi tale da non garantire una adeguata potenza statistica. La vaccinazione antinfluenzale non è risultata associata ad alcun aumento degli eventi avversi seri, a conferma della possibilità di somministrare in sicurezza la vaccinazione antinfluenzale nel periodo post-infarto. La riduzione del 41% sia della mortalità per tutte le cause che per cause cardiovascolari certamente appare di notevole rilevanza se si considera che è stata osservata in pazienti comunque trattati con le terapie di riferimento in prevenzione secondaria, terapie di cui è ben nota la capacità di ridurre il rischio di recidiva di infarto del 20-25%. I pazienti arruolati nello studio IAMI, infatti, al momento della dimissione avevano ricevuto in prescrizione aspirina nel 98% dei casi, inibitori dei P2Y12 nel 97% dei casi, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina o del recettore AT1 dell’angiotensina II nel 70% dei casi, beta bloccanti nel 78% dei casi e statine nel 98% dei casi. I meccanismi alla base di un così rilevante effetto protettivo della vaccinazione sono probabilmente multifattoriali. Certamente il fatto di prevenire la sindrome influenzale ha una rilevanza notevole in termini di prevenzione cardiovascolare in quanto previene lo stress emodinamico e metabolico associato alle infezioni virali che presentano un decorso più impegnativo. La vaccinazione potrebbe anche favorire una stabilizzazione della placca aterosclerotica interagendo con il sistema immunitario ed i meccanismi infiammatori. Invero, l’analisi delle curve di Kaplan Meyer mostra una precoce separazione tra i due bracci di trattamento a favore della vaccinazione ed una stabilizzazione del trend intorno al terzo mese. Questo studio, sia pur di indiscutibile valore, potrebbe sollevare delle perplessità di ordine etico in quanto la possibilità di una randomizzazione a placebo non è in linea con le linee guida, sia americane che europee, che raccomandano la vaccinazione antinfluenzale in classe I con livello di evidenza B. Invero, lo studio IAMI ha arruolato soltanto pazienti che non avevano ricevuto la vaccinazione antiinfluenzale annuale e non avevano pianificato di sottoporsi a tale vaccinazione durante la stagione influenzale nel corso della quale sono stati reclutati nello studio. Peraltro, tutti i partecipanti avevano avuto la possibilità di essere sottoposti a vaccinazione per propria scelta dopo l’arruolamento anche in caso di assegnazione al braccio placebo ma soltanto nel 13% dei casi è stata sfruttata tale opportunità. Inoltre, questa transizione di pazienti dal braccio placebo al trattamento attivo può aver indebolito, non certo amplificato i risultati positivi osservati. La principale limitazione dello studio è rappresentata dalla sua prematura interruzione dovuta alla diffusione della pandemia COVID con conseguenze riduzione della capacità dello studio di definire meglio le reali differenze nell’endpoint primario. La precoce interruzione di uno studio, infatti, tende sovente ad amplificare i vantaggi del trattamento. Ciononostante, le evidenze dello studio IAMI sono adeguatamente robuste da rinforzare ulteriormente il messaggio di prevenzione delle linee guida correnti che raccomandano la vaccinazione antinfluenzale nei pazienti maggiormente a rischio di eventi cardiovascolari. Gli autori hanno combinato i risultati del trial IAMI con quelli di altri 3 studi con disegno simile, evidenziando una riduzione della mortalità cardiovascolare del 49%. Ulteriori conferme dell’efficacia protettiva a livello cardiovascolare della vaccinazione antinfluenzale derivano da una recente e più ampia metanalisi che ha incluso 6 trial randomizzati controllati, di cui tre di elevata qualità, per un totale di 9001 pazienti. La frequenza dell’endpoint composito di eventi cardiovascolari maggiori e di mortalità per cause cardiovascolari ad un anno di follow up è risultata pari a 3.6% nei pazienti vaccinati e a 5.45% dei pazienti che avevano ricevuto placebo con una riduzione assoluta del rischio relativo pari a 1.8%. L’efficacia protettiva della vaccinazione antinfluenzale è risultata particolarmente evidente nei 3313 pazienti con recente sindrome coronarica acuta (6.5% di eventi nei pazienti vaccinati vs 11% di eventi nel gruppo di controllo con una riduzione assoluta del rischio relativo pari a 4.5%). In questi pazienti con recente sindrome coronarica acuta è stata osservata anche una significativa riduzione della mortalità per cause cardiovascolari nei soggetti vaccinati rispetto al gruppo di controllo (2.6% vs 5.4% con una riduzione assoluta del rischio relativo pari a 2.8%). Questa riduzione del rischio di eventi cardiovascolari e di morte per cause cardiovascolari è simile, se non superiore, a quella che si osserva in corso di trattamento con i farmaci di riferimento raccomandati dalle linee guida per questa tipologia di pazienti.

Brandimarte: Cosa ci consigliano quindi le attuali linee guida?

Desideri: Per mitigare l’impatto potenzialmente lesivo dell’influenza sulla patologia aterosclerotica, già nel 2006 le linee guida American Heart Association/American College of Cardiology raccomandavano con la massima forza e livello di evidenza B la vaccinazione antinfluenzale per i pazienti con malattia coronarica conclamata. Analoga raccomandazione (classe I, livello B) è stata proposta dalle linee guida per la gestione delle sindromi coronariche croniche, soprattutto per i pazienti anziani. Del tutto recentemente, il Centers for Disease Control and Prevention ha ribadito l’opportunità della vaccinazione antinfluenzale annuale per tutti gli adulti, soprattutto per gli individui a più alto rischio di un decorso severo dell’influenza o con comorbidità rilevanti quali la malattia coronarica, lo scompenso cardiaco o la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Queste raccomandazioni non hanno trovato, tuttavia, ancora una adesione adeguatamente ampia da parte della comunità scientifica. L’analisi del registro Get With The Guidelines–Heart Failure (GWTG-HF), associato alla survey annuale da parte dell’American Hospital Association, ha dimostrato come nel periodo 2012-2017, in media 1 paziente ogni 3 ricoverato per scompenso cardiaco non avesse ricevuto una vaccinazione antinfluenzale o antipneumococcica, senza evidenza di alcun trend di miglioramento nel corso dei 5 anni di durata dello studio. Analogamente, una survey statunitense condotta nel periodo 2016-2019 ha dimostrato come soltanto il 50% dei pazienti con malattia aterosclerotica avesse ricevuto la vaccinazione antinfluenzale sottolineando l’importanza dei fattori socioeconomici come principali determinanti della scarsa diffusione di tale approccio preventivo.

Brandimarte: Concludendo quali raccomandazioni suggerirebbe?

Desideri: L’influenza continua a rappresentare un rilevante problema di sanità pubblica anche durante la pandemia COVID, ragione per cui è auspicabile che si possa arrivare all’uso di vaccini per i virus respiratori in combinazione con l’influenza, ricorrendo a piattaforme di produzione che possano garantire ampia disponibilità di vaccini ancor più efficaci. I pazienti con malattie cardiovascolari, infatti, possono presentare una risposta immune alla vaccinazione variamente deficitaria per fenomeni di immuno-senescenza e per uno stato infiammatorio cronico legato all’età. Nonostante questi limiti potenziali dell’attuale vaccinazione antinfluenzale, i suoi vantaggi in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari e della mortalità ad essi correlata sono comunque tali da giustificarne un ampio utilizzo, soprattutto, ma non solo, nei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare.

Brandimarte: Grazie Dott. Desideri per aver sensibilizzato tutti noi ad una capillare diffusione della vaccinazione antinfluenzale evidenziando gli indiscutibili vantaggi specie nella popolazione con patologie cardiovascolari.