L’uomo esiste grazie alle piante. Ai nostri progenitori del paleolitico, contemporanei dei mammuth, le piante fornirono cibo, vesti, armi nonché i primi rimedi contro le malattie. Verosimilmente scelse erbe, bacche, fiori, radici e foglie guidato dall’istinto o imitando gli animali. E’ stupefacente come popolazioni che non avevano mai avuto contatti fra loro avessero scoperto le proprietà medicamentose delle stesse erbe. Vi sono nel mondo circa 150 mila generi di piante e fiori, fra questi sei specie soltanto contengono caffeina: caffè, tè, cola, maté, guarana e cacao. L’uomo primitivo aveva saputo riconoscerle tutte e le usava come stimolante del sistema nervoso. Il primo a descrivere medicamenti di origine vegetale fu probabilmente l’imperatore Shen Nung vissuto tremila anni a.C. Nel Pen Tsao, il grande libro delle piante medicinali, descrisse oltre mille farmaci, fra i quali l’oppio, il rabarbaro, l’aconito, l’efedrina e il ricino, ancor oggi usati; molti altri sono stati dimenticati e non si può escludere che siano stati riscoperti in occidente. Usiamo la ranwolfia da poco più di cinquant’anni, gli orientali da più di tremila. Padre della botanica in Occidente è Teofrasto, allievo di Aristotele. La sua opera, tradotta in latino, venne stampata a Salò nel 1483. Padre della farmacognosia è Dioscoride, un medico militare che viaggiò a lungo animato dal “desiderio continuo di conoscere la materia medicinale”, e i suoi cinque libri “De materia medica” furono la Bibbia dei farmacologi fino a tutto il XVI secolo. Il medico senese Mattioli viene considerato il moderno Dioscoride.
Le piante del cuore