Le dissezioni coronariche spontanee: una causa di infarto a prognosi benigna?
di Laura Gatto
06 Dicembre 2022

Le dissezioni coronariche spontanee (SCAD) sono definite come una separazione non traumatica e non iatrogena della parete coronarica da parte di un ematoma intramurale causato da una lacerazione intimale o da una emorragia intramurale e rappresentano una importante causa di sindrome coronarica acuta in giovani donne [1]. L’incidenza delle SCAD varia a seconda delle diverse casistiche e delle tecniche impiegate nella diagnosi, spesso difficoltosa con la sola angiografia, sicuramente più agevole con metodiche di imaging intravascolare. Questo fa si che anche la storia naturale di questa condizione non sia stata ancora perfettamente definita ed esistano molteplici punti aperti riguardo al trattamento ed alle complicanze.

Su uno degli ultimi numeri di JACC [2], J. Saw collaboratori hanno pubblicato il Canadian SCAD Cohort Study (CanSCAD) un ampio registro multicentrico, osservazionale e prospettico che ha incluso 750 pazienti consecutivi con sindrome coronarica acuta causata da SCAD, arruolati tra il 2014 ed il 2018 e seguiti per tre anni. Dal registro sono stati esclusi pazienti con aterosclerosi coronarica e con stenosi > 50%. Sono state prese in considerazione le principali caratteristiche cliniche della popolazione, i fattori precipitanti la dissezioni (per esempio stress fisici o emozionali), i fattori predisponenti (gravidanza, peripartum, displasia fibro-muscolare, malattie del connettivo, patologie infiammatorie sistemiche, mutazioni genetiche confermate con test specifici), le modalità di presentazione clinica (alterazioni elettrocardiografiche, frazione d’eiezione, necessità di supporto emodinamico, instabilità elettrica). Nel registro il trattamento della SCAD è stato lasciato a discrezione dell’operatore, tradizionalmente si è optato per una strategia medica conservativa in assenza di ischemia persistente, dolore toracico, instabilità emodinamica, aritmie ventricolari o dissezione del tronco comune. Come endpoint sono stati valutati gli eventi avversi maggiori (MAE) sia intra-ospedalieri che post-dimissione, inclusi la mortalità per tutte le cause, la ricorrenza di infarto, gli eventi ischemici cerebrali e le procedure di rivascolarizzazione.

Per quanto riguarda i risultati, l’età media della popolazione è stata di 51 anni e come ci si aspettava, la maggioranza, oltre l’88%, sono risultate donne di cui il 55% in età post-menopausa; il 34% dei pazienti non presentava i classici fattori di rischio cardiovascolari, ma riferiva storia di ansia e depressione nel 20% dei casi. Alcuni fattori predisponenti sono risultati particolarmente frequenti. Lo screening per la displasia fibromuscolare è stato completato in 438 pazienti ed in oltre la metà dei casi (247) ha confermato la diagnosi con interessamento extracoronarico presente nel 42% dei soggetti e prevalente a carico delle arterie renali (25%). Il 4.5% delle donne con SCAD si trovava nel periodo peripartum ed in circa il 10% dei casi riferiva assunzione di terapia ormonale sostitutiva; mutazioni genetiche sono risultate rare; nel 47.9% non si sono trovate cause specifiche e la SCAD è stata considerata idiopatica. Fattori precipitanti sono stati riportati nel 66.4% dei casi, in modo particolare uno stress emotivo importante è stato riferito da oltre la metà della popolazione.

In merito alla presentazione clinica, circa il 31% dei pazienti si è presentato con un infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST, il 68% con un infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST e meno dell’1% con un quadro di angina instabile. Il sintomo principale è stato il dolore toracico (oltre 91% dei casi); aritmie ventricolari sono state documentate nell’8.3% dei pazienti. La frazione d’eiezione media è stata del 55%, ma circa ¼ dei soggetti ha presentato una FE < al 50%. Le tecniche di imaging intracoronarico sono state impiegate nel 7.6% dei casi; il vaso più frequentemente interessato dalla dissezione è stato l’arteria discendente anteriore (52.1%), seguito dalla circonflessa (37.7%), dalla coronaria destra (23.2%) e dal tronco comune (1.5%); il 13% dei pazienti ha presentato una SCAD multivasale. Nella maggioranza della popolazione (86.4%) il trattamento conservativo è stato scelto come prima linea di strategia, anche se alcuni pazienti hanno richiesto in seguito una procedura di rivascolarizzazione che è stata effettuata globalmente nel 14.7% dei soggetti (14% PCI e 0.7% bypass aorto-coronarico).

Per quanto riguarda l’outcome, la mortalità è stata in generale molto bassa: 0.1% intraospedaliera e 0.8% a tre anni). La ricorrenza di infarto miocardico intra-ospedaliera è stata del 4.1% (causata soprattutto da un’estensione della SCAD); dopo la dimissione, invece, un nuovo IMA si è verificato nel 5.7% dei casi ed è stato dovuto principalmente ad una ricorrenza della SCAD che ha presentato a tre anni una incidenza globale del 2.4%. Oltre la metà dei pazienti ha continuato a riferire dolore toracico nel follow-up. L’incidenza totale di eventi avversi maggiori (MAE) intraospedalieri è stata dell’8.8%, mentre quella a 3 anni è stata del 14%, con più di metà degli eventi che si sono verificati nei primi 14 giorni. In merito al trattamento farmacologico i due farmaci più impiegati sono stati l’aspirina ed i beta bloccanti, assunti in acuto rispettivamente dal 93% e dall’80% della popolazione ed a 3 anni dall’ 84% e dal 75% dei soggetti. All’analisi multivariata i disordini genetici (HR 5.05, P< 0.001), il peripartum (HR 2.17, P= 0.027) e la displasia fibromuscolare con estensione extracoronarica (HR 1.51; P= 0.038) sono risultati fattori predittori di eventi a 3 anni.

Gli autori hanno quindi concluso che in questo ampio registro di pazienti con sindrome coronarica acuta causata da SCAD e trattati prevalentemente con strategia conservativa la mortalità a tre anni è stata estremamente bassa. Lo studio presenta sicuramente molti punti di forza: la numerosità del campione, la lunghezza del follow-up e la modalità di raccolta dei dati, elementi che esprimono il grande sforzo che Jacqueline Saw e collaboratori hanno portato avanti negli ultimi anni per colmare le lacune relative alla definizione della storia naturale delle dissezioni coronariche; è infatti a questo gruppo che si deve, tra l’altro, la classificazione angiografica delle SCAD, la distinzione tra ricorrenza ed estensione della dissezione e la formulazione di un algoritmo terapeutico che privilegia la strategia conservativa e riserva la rivascolarizzazione ai pazienti con instabilità elettrica o emodinamica o interessamento del tronco comune. Se si osservano gli ottimi risultati di outcome riportati da questo studio tale approccio appare vincente con una mortalità a tre anni < 1%. L’altro dato importante da sottolineare è l’incidenza di ricorrenza delle SCAD che a 3 anni è stata del 2.4%, una incidenza particolarmente bassa se si considera che la popolazione presentava fattori predisponenti in oltre il 50% dei casi e riferiva fattori precipitanti in oltre il 60% dei casi. Probabilmente questo basso tasso di ricorrenza è dovuto alla terapia prolungata con aspirina e beta-bloccanti, tale trattamento deve rappresentare il punto di partenza per la prevenzione secondaria per migliorare la prognosi nei pazienti con storia di SCAD.

Bibliografia

  1. Saw J, Mancini GB, Humphries KH. Contemporary review on spontaneous coronary artery dissection. J Am Coll Cardiol. 2016;68(3):297–312.
  2. Saw J, Starovoytov  A, Aymong E, et al. Canadian Spontaneous Coronary Artery Dissection Cohort Study: 3-Year Outcomes. J Am Coll Cardiol 2022;80(17):1585-1597.