Le chirurgie contro l’infarto
di Eligio Piccolo
22 Maggio 2021

Chirurgia viene dal greco, operare con le mani, ma le mani sono guidate dal cervello e quindi ogni atto medico, dalla palpazione all’iniezione, dal cateterismo all’adoperare ’bisturi e forbici’, secondo il binomio di Alexis Carrel, è un atto chirurgico e medico. D’altronde la stessa laurea che abilita a questo mestiere è in Medicina e Chirurgia. Tale premessa non è un sofisma, ma un tendere ad aprire la mente verso una sintesi del fine medico, direi ippocratica, della cura del malato e di tutto ciò che si fa per raggiungerla. Così ad esempio nell’infarto del cuore, la malattia del secolo scorso ma che continua ancora nell’attuale, perché i progressi danno sempre nuove prospettive di migliori interventi. Nei quali il cardiologo internista, che per tradizione si ferma prima del bisturi, si sta sempre più avvicinando a chi lo usa e vi collabora fin quasi nella stessa sala operatoria e per certi interventi entrambi in quella di emodinamica.

René Favaloro
René Favaloro

Ai tempi in cui i due, cardiologo e chirurgo, non si parlavano, ognuno convinto che la sua attività fosse la migliore e la più risolutiva, si assisteva ad interventi chirurgici effimeri, come l’operazione di Vineberg che consisteva nell’innestare l’arteria mammaria non nella coronaria chiusa dell’infarto, come si fa oggi, ma direttamente nel muscolo, senza nessuna logica idraulica, fidando in un ‘vediamo cosa succede’, e infatti non succedeva nulla, né in meglio né in peggio. Mentre l’internista, dal canto suo, usava farmaci o addirittura la borsa d’acqua calda o fredda, che non facevano danni, ma solo ristori illusori o passeggeri. E addirittura, quando il cardiochirurgo italo-argentino René Favaloro presentò da Cliveland i suoi primi successi con il bypass alla fine degli anni 60, alcuni autorevoli maestri stentarono a credergli e scrissero in un famoso editoriale “timeo chirurgos et dona ferentes”. Per fortuna, si fa per dire, la fisiologica scomparsa di questi “baroni” ha impedito loro di arrossire e chiedere scusa. Il tutto, ovviamente, con il massimo rispetto per chi in buona fede cercava la cura migliore.
Oggi fortunatamente tutte quelle umane gelosie e presunzioni si sono consumate al fuoco delle moderne conoscenze sui metabolismi del cuore, dei loro rapporti con quelli del corpo nel suo insieme, ma anche sulla necessaria collaborazione tra le diverse discipline, come aveva prospettato un grande maestro messicano che, nell’accettare la Presidenza della Società Mondiale di Cardiologia nel 1958, affrontò il tema scabroso della Medicina necessariamente divisa in molte specialità e del bisogno di riaprire uno specifico umanesimo per risolvere questa pericolosa dispersione.
La prima chirurgia contro l’infarto è certamente quella della rivascolarizzazione del sistema coronarico con il bypass, ma anche con il palloncino e lo stent, e altri microinterventi del cardiologo senza bisturi. Ai quali, per tutti, viene attribuito un grande contributo sia alle guarigioni che alla sopravvivenza negli ultimi 50 anni. La seconda chirurgia, in senso lato e che potremmo definire preventiva, è quella che deriva dagli studi Framingham, la cittadella statunitense dove da oltre 70 anni si analizzano nei suoi abitanti gli interventi sui fattori di rischio per l’infarto, fumo, pressione alta, colesterolo, attività fisica e molti altri, e per i quali si raccomanda al mondo intero la correzione. La terza chirurgia è francamente metabolica, ossia il prodotto di nuovi studi sui fattori della seconda, e consiste nel verificare dopo la loro correzione, come l’incremento dell’attività fisica, i cambiamenti dietetici o l’assunzione di determinati farmaci, consenta il ritorno dei parametri con asterisco nelle risposte del laboratorio ai loro valori normali.
Una quarta chirurgia, che vede ancora impegnati bisturi e anestesia, è quella bariatrica, termine dal sapore esotico, che trae origine dal greco barios=pesante, e che riguarda appunto quelli che pesano troppo, i grandi obesi, per i quali quando la dieta e i farmaci sono inefficaci si può ricorrere alla chirurgia addominale. Ideata molti anni fa e perfezionatasi secondo varie tecniche, che inducono lo stomaco a richiedere meno cibo o l’intestino ad assorbirne poco. Da noi è poco usata, ma nei paesi come gli Stati Uniti dove molti singoli quando viaggiano devono occupare due posti è diventata un’opportunità e una necessità, anche per ridurre gli effetti del sovrappeso sulle complicanze cardiovascolari. L’ultimo aggiornamento ci arriva dal Karolinska Institutet di Stoccolma, dove Erik Naslund e i suoi collaboratori (Circulation 2020), applicando due tecniche della chirurgia bariatrica a quasi seicento grandi obesi, reduci da infarto e contrapposti ad analoghi non operati, dopo otto anni hanno riscontrato che i primi oltre a ridurre il peso avevano ridotto a metà anche il pericolo di complicanze cardiache e di mortalità.


A corollario diversivo di questa chirurgia sui grandi obesi, quasi sempre condizionati da complessi problemi psicologici, vale la citazione del caso di un valente chirurgo veneto, il quale, dopo aver superato i problemi di accoglienza in un letto del suo reparto e poi in quello operatorio di una ventenne di 260 kg, fu gratificato dall’ottimo risultato con una tecnica bariatrica ottenendo una riduzione del peso fino a 90 kg. Ma successivamente, abbandonato il continuo controllo dei medici, la signora scoperse che i gelati non impegnavano la digestione e in breve riprese il suo peso originario.
Nel concludere questa ardita ricapitolazione, pensiamo si sia capito che abbiamo voluto giocare con il termine chirurgia, separandolo dalla medicina, o meglio sottolineandolo, in una specie di artificio letterario, allo scopo di rilevare che alle raccomandazioni mediche più o meno convincenti, ribadite fino alla noia da clinici e ricercatori, è tempo di pensare ai tagli netti. Lasciando, si capisce, ad ognuno la libertà di scegliere, ma mettendo in evidenza, soprattutto ai no-vax e ai negazionisti, che il danno  lo procurano non solo a sé stessi, ma anche al prossimo. Detto in senso medico, sociologico e, per chi crede, religioso.

 

Eligio Piccolo
Cardiologo