Le Cardiomiopatie da disturbo di conduzione
di Rosa M. Manfredi intervista Gianfranco Sinagra
02 Marzo 2024

Manfredi: Benvenuto Prof. Sinagra in questa 41° edizione di Conoscere e Curare il Cuore e grazie per questo focus su argomento poco considerato: le Cardiomiopatie da disturbo di conduzione. Innanzitutto come possiamo definirle?

Sinagra: Le cardiomiopatie sono malattie del miocardio in cui il muscolo cardiaco è strutturalmente e funzionalmente anormale in assenza di una cardiopatia congenita, coronaropatia, valvulopatia o condizione di carico sufficienti a determinare l’anomalia miocardica osservata.

Le cause possono essere classificate in genetiche/familiari ed acquisite (sporadiche) e l’espressione fenotipica il risultato della combinazione di un’eventuale predisposizione genetica associata a fattori ambientali.

Di conseguenza, risulta essere sempre opportuna ed indicata l’accurata definizione eziologica tramite un approccio ragionato ed integrato che preveda la ricerca di eventuali affezioni che possano aver determinato il fenotipo clinico rilevato. Tale indagine sistematica si è dimostrata efficace nel guidare le scelte terapeutiche e nel condizionare significativamente la prognosi del singolo malato.

Tra le cause ambientali acquisite è necessario considerare, per esempio, l’utilizzo di farmaci potenzialmente cardiotossici tra i quali alcune classi di chemioterapici (per esempio antracicline), l’esposizione a radiazioni ionizzanti o a sostanze esotossiche, carenze nutrizionali, disturbi endocrini, infezioni e malattie infiammatorie ed autoimmuni.

Inoltre, alcune forme di disfunzione sistolica possono essere determinate da aritmie ed in particolare da tachiaritmie sopraventricolari sostenute, con meccanismo “tachindotto”, o da “dissincronia”.

Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, un’attivazione biventricolare dissincrona può essere la causa di una minore efficienza nella meccanica globale di contrazione cardiaca ed essere determinata da extrasistolia ventricolare frequente, pre-eccitazione, disturbi della conduzione intraventricolare (blocco di branca sinistra) e dispositivi di elettrostimolazione (pacemaker).

Manfredi: La presenza di blocco di branca sinistra è molto comune, soprattutto con l’avanzare dell’età, e se isolata non suscitava particolari preoccupazioni. Ci sono dati che potrebbero indurci a cambiare paradigma?

Sinagra: La presenza di blocco di branca sinistra è predittore di outcomes clinici sfavorevoli in termini sia di sviluppo di disfunzione sisto-diastolica cardiaca (3 volte più frequente rispetto a soggetti con normale conduzione intraventricolare) che di mortalità ed ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, in particolare in soggetti di età avanzata o portatori di anomalie cardiache strutturali.

La prevalenza nella popolazione generale di blocco di branca sinistra “isolato”, ovvero in assenza di una concomitante cardiopatia, è stata stimata essere compresa tra lo 0,2 e l’1,1%.5 D’altro canto quest’ultima, in pazienti affetti da Cardiomiopatia Dilatativa, cresce al 31% mentre una dilatazione e disfunzione sistolica ventricolare sinistra in pazienti con turbe intraventricolari della conduzione sinistra è presente nel 21% dei casi.

I dati epidemiologici suggeriscono, quindi, una complessa relazione tra le due condizioni in cui è necessario discernere tra “causa” ed “effetto” osservati.

Per raggiungere tale obiettivo l’approccio deve essere metodico, sistematico e basato su un’accurata rilevazione dell’anamnesi familiare, genetica e personale, l’analisi “cardiomiopatica” del tracciato elettrocardiografico (non focalizzata esclusivamente su durata e morfologia del complesso QRS) e l’utilizzo di metodiche di imaging multimodale, comprensive di strain per l’ecocardiogramma transtoracico e sequenze mapping per la risonanza magnetica cardiaca, dimostratisi efficaci nella rilevazione di anomalie morfo-funzionali anche in fase subclinica.

Manfredi: Quindi il rilievo di alterazioni funzionali e strutturali potrebbero suggerire la presenza di una Cardiomiopatia sottostante, e questo come può influire sulle nostre decisioni terapeutiche?

Sinagra: Il risultato di ciò ha un correlato terapeutico rilevante: infatti, l’utilizzo di dispositivi di stimolazione della branca sinistra o di resincronizzazione biventricolare ha dimostrato, in particolare in soggetti di sesso femminile e con blocco intraventricolare “vero” o “tipico” (morfologia QS o rS nelle derivazioni V1-V2, durata del complesso QRS maggiore o uguale a 140 millisecondi nei soggetti di sesso maschile e 130 millisecondi in quello femminile ed incisura/impastamento del complesso QRS in almeno due derivazioni fra DI, aVL, V1, V2, V5 e V6) di determinare una significativa o addirittura completa reversione del fenotipo cardiaco causato dalla dissincronia nella contrazione elettromeccanica cardiaca, anche in stadi di rimodellamento e disfunzione ventricolare sinistra avanzati.

Lo stato attuale delle evidenze suggerisce l’impianto di device nel momento in cui la turba di conduzione si rendesse fenotipicamente e clinicamente manifesta, ovvero quando si documenti una frazione di eiezione ventricolare sinistra inferiore o uguale al 35% in soggetti sintomatici per scompenso cardiaco nonostante terapia medica ottimizzata per almeno 3 mesi, in ritmo sinusale e con una durata del complesso QRS maggiore o uguale a 130 millisecondi (classe I livello di evidenza A se maggiore o uguale a 150 millisecondi;  classe IIa livello di evidenza B se durata del complesso QRS compresa tra 130 e 149 millisecondi).

In soggetti asintomatici, portatori di blocco di branca sinistra “isolato” e normale funzione sistolica biventricolare è comunque raccomandato un follow-up clinico-strumentale seriato e strutturato proprio alla luce del fatto che il disturbo di conduzione possa impattare significativamente nella funzione sisto-diastolica cardiaca o essere l’espressione di una cardiopatia strutturale sottostante.

Manfredi: Se il blocco di branca sinistra e la sua alterazione muscolare indotta dalla differente sequenza temporale di stimolazione delle pareti miocardiche può indurre o slatentizzare una Cardiomiopatia, cosa avviene nei pazienti che presentano un blocco di branca sinistra secondario a un ventricologramma stimolato da pace-maker?

Sinagra: L’impiego di dispositivi di elettrostimolazione è in crescita in maniera direttamente proporzionale al parallelo trend di invecchiamento della popolazione generale.

I devices “convenzionali” permettono di fronteggiare efficacemente disturbi avanzati della conduzione atrio-ventricolare ma, per contrappasso, la stimolazione ventricolare destra, in particolare se a livello dei segmenti apicali, può determinare un effetto deleterio nella funzione sistolica globale cardiaca. Il meccanismo alla base è l’instaurarsi di una dissincronia nella meccanica di contrazione sia a livello interventricolare (il ventricolo destro si contrae prima del sinistro) che intraventricolare (il setto interventricolare e i segmenti settali si contraggono prima della parete libera del ventricolo destro).

La cardiomiopatia indotta da pacemaker è una condizione caratterizzata da disfunzione ventricolare sinistra insorta dopo l’impianto del dispositivo in assenza di altri fattori determinanti identificati. La definizione più utilizzata prevede un calo di dieci punti percentuali rispetto alla frazione di eiezione pre-impianto o un valore della stessa inferiore al 50%. Tuttavia, non essendo stata postulata una definizione univoca, l’incidenza riportata nei vari studi è stata stimata essere compresa tra il 6 ed il 25%, interessando circa 1 portatore di device su 10.

I fattori di rischio che ne favorirebbero l’insorgenza sono sesso maschile, storia di infarto miocardico pregresso, insufficienza renale cronica, presenza di disfunzione ventricolare sinistra per-impianto, durata del QRS pre e post-impianto, percentuale di stimolazione ventricolare destra. Essenziale sottolineare che una percentuale di stimolazione ventricolare destra ≥ 20% si è dimostrata essere fortemente associata a sviluppo di disfunzione sistolica ventricolare sinistra mentre non è stata identificata una soglia “sicura”, ovvero al di sotto della quale il rischio di sviluppo di cardiomiopatia indotta da pacemaker risulti nullo, seppure questo cresca in maniera direttamente proporzionale alla stessa.

Lo sviluppo di disfunzione sistolica ventricolare sinistra determinerebbe, secondo quanto riportato da diversi studi retrospettivi, un aumento combinato del 10-15% della mortalità e delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco rispetto a pazienti portatori di dispositivi con stimolazione cronica ventricolare destra ma con funzione sistolica biventricolare conservata.

Manfredi: Una volta che è stata fatta diagnosi di cardiomiopatia indotta da pace-maker, quali sono le strategie che si possono usare per contrastarla?

Sinagra: Per prevenire ciò, l’utilizzo di algoritmi di ottimizzazione della percentuale di stimolazione ventricolare o la riprogrammazione a stimolazione monocamerale con un limite inferiore di frequenza di stimolazione minore rispetto alla frequenza intrinseca possono essere strategie valide, qualora possibili (p.es. pazienti non pacemaker dipendenti); analogamente, l’impianto di devices di resincronizzazione biventricolare si è rivelato efficace in termini di rimodellamento inverso ecocardiograficamente acclarato e di outcomes clinici (in particolare ospedalizzazioni per scompenso cardiaco) risultando, quindi, indicato in pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (frazione di eiezione ventricolare sinistra minore o uguale a 40%) e disturbi di conduzione atrio-ventricolare avanzati o fibrillazione atriale con indicazioni a stimolazione ventricolare, indipendentemente dalla classe New York Heart Association (NYHA) e dalla durata del complesso QRS. Dibattuto, e non attualmente raccomandato dalle linee guida promosse dalle società scientifiche internazionali, l’upgrading da dispositivi di elettrostimolazione ventricolare destra a resincronizzanti in soggetti con normale funzione sistolica biventricolare.

Manfredi: Acclarato che la dissincronia di contrazione indotta dai disturbi di conduzione intraventricolare possano portare ad alterazioni funzionali del muscolo cardiaco, questo esito potrebbe anche avverarsi nei casi in cui il disturbo di conduzione non è sempre presente, per esempio nell’extrasistolia ventricolare?

Sinagra: Il rimodellamento ventricolare sinistro mediato da frequente extrasistolia ventricolare (ExVe) è un altro modello peculiare di cardiomiopatia indotta da dissincronia. Si stima che il 7% circa dei pazienti con extrasistolia ventricolare isolata frequente (>1000 ExVe/24 ore) e di lunga durata presenti disfunzione ventricolare sinistra, e che il rischio aumenti in maniera sostanziale quando il carico extrasistolico risulti superiore al 10% dei complessi QRS totali, ovvero un numero assoluto di battiti ectopici uguale o superiore a 10000 nelle 24 ore. Inoltre, la morfologia a blocco di branca sinistra, una durata del complesso QRS maggiore di 150 millisecondi ed un’origine epicardica dell’aritmia sono più frequentemente associati a rimodellamento “avverso” cardiaco.

Se da un lato l’extrasistolia ventricolare può indurre, tramite dissincronia meccanica, disfunzione ventricolare sinistra, dall’altro essa può essere l’epifenomeno di una cardiopatia strutturale sottostante.

La diagnosi differenziale fra le due entità risulta essenziale soprattutto perché, nel primo caso, la terapia dell’aritmia, sia essa farmacologica o con ablazione, può indurre una completa regressione delle alterazioni morfo-strutturali cardiache. L’evidenza di ciò è tale che le più recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia sulla gestione delle aritmie ventricolari raccomandano in classe I un approccio ablativo laddove vi sia il sospetto che la disfunzione ventricolare sinistra sia indotta da battiti ectopici prevalentemente monomorfi.

Un work-up diagnostico completo deve quindi sempre includere, oltre ad un’attenta anamnesi personale e familiare ed un completo esame obiettivo, un elettrocardiogramma, indagini di laboratorio al fine di escludere disordini metabolici, un ecocardiogramma completo, un test ergometrico per verificarne il comportamento durante stress fisico (aumento/riduzione di numero, morfologia, precocità, complessità, forme ripetitive e sostenute al basale, con lo sforzo e nel recupero) e, se sussiste il sospetto di substrato patologico, una risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto per la caratterizzazione del tessuto miocardico. Infatti, studi clinici hanno dimostrato che in pazienti con extrasistolia ventricolare la presenza di late gadolinium enhancement è un predittore di outcome avverso indipendentemente dalla frazione d’eiezione.

Manfredi: Pertanto l’ablazione dell’extrasistolia può, in assenza di cardiomiopatia sottostante, portare a regressione della disfunzione ventricolare sinistra. Se ciò è vero, tale risultato potrebbe replicarsi in caso di presenza di pre-eccitazione ventricolare?

Sinagra: Gli studi epidemiologici condotti su larga scala riportano una prevalenza di pre-eccitazione ventricolare (PEV), espressione elettrocardiografica della presenza di vie di conduzione accessorie fra atri e ventricoli, compresa fra 0.01% e 0.3%. Tali vie possono non esprimersi clinicamente per tutta la vita del soggetto mentre, quando il riscontro elettrocardiografico di PEV si accompagna a sintomi, il quadro clinico si configura come sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW).

Le manifestazioni cliniche più frequenti sono di natura aritmica: tachicardie parossistiche sopraventricolari o fibrillazione e flutter atriale che, se incessanti, possono determinare disfunzione ventricolare sinistra tachindotta, usualmente reversibile con la risoluzione dell’aritmia. Tuttavia, sin dagli anni ’70, sono stati riportati casi di disfunzione ventricolare sinistra in pazienti con PEV anche in assenza di tachiaritmie atriali. Essa è probabilmente ascrivibile all’anomala propagazione dell’impulso attraverso la via accessoria che determinerebbe un’attivazione dissincrona cardiaca: infatti, parte del tessuto miocardico verrebbe depolarizzata prematuramente attraverso la via accessoria la restante, invece, più tardivamente attraverso le normali vie di conduzione nodo-hissiane.

Anomalie della meccanica sisto-diastolica ventricolare in pazienti con PEV sono state descritte per la prima volta in studi pionieristici di ecocardiografia che hanno anche chiarito come il pattern di contrazione dipendesse dalla sede del pathway accessorio: in particolare, le vie accessorie destre si associavano ad un’anomala attivazione del setto interventricolare, molto simile a quella descritta nel blocco di branca sinistra, con normalizzazione della dinamica della contrazione con la perdita della pre-eccitazione, come osservato inizialmente nella WPW intermittente. Al contrario, le vie accessorie sinistre non sembravano associarsi ad alterazioni significative della contrazione, probabilmente perché la porzione di miocardio pre-eccitato è minore.

La reale prevalenza di tale condizione non è nota in quanto le evidenze sono scarse e derivano perlopiù da case series o da studi osservazionali di piccole dimensioni. Il più ampio di questi ha arruolato 310 pazienti con PEV del registro nazionale danese, seguiti per un follow-up mediano di 7,4 anni, riportando un rischio significativamente maggiore di scompenso cardiaco in tali soggetti rispetto a quello della popolazione generale (hazard ratio [HR], 2,11; 95% confidence interval [CI], 1,27-3,50).17 L’analisi per sottogruppi ha evidenziato una differenza significativa di rischio in relazione alla localizzazione della via accessoria, confermando un rischio maggiore in caso di via accessoria antero-settale destra.

La prognosi dello scompenso cardiaco in dilatazione e disfunzione ventricolare sinistra indotta da pre-eccitazione è eccellente, grazie al reverse remodeling descritto dopo la neutralizzazione della pre-eccitazione. Tomaske e collaboratori, analizzando una coorte di 34 pazienti con vie accessorie destre settali e parasettali, hanno riportato una prevalenza di disfunzione ventricolare sinistra del 56% ed una totale risoluzione del quadro, con riduzione della durata del QRS e normalizzazione della meccanica di contrazione cardiaca, dopo ablazione a radiofrequenza del pathway accessorio.

Manfredi: Grazie per questo excursus sulle cardiomiopatie indotte da disturbo di conduzione. Ma quanto possono pesare i geni nello sviluppo di tale patologia?

Sinagra: Fra tutti i soggetti affetti da blocco di branca sinistra, extrasistolia ventricolare, PEV, o portatori di pacemaker, solo una minoranza sviluppa alterazioni morfo-funzionali cardiache. D’altro canto, il trattamento della dissincronia (tramite dispositivi di resincronizzazione o ablazione di ExVe/via accessoria) determina una completa normalizzazione di dimensioni e funzione ventricolare sinistra in un numero consistente di pazienti (definiti super-responders) ma non nella loro totalità.

Sembra quindi che la dissincronia di contrazione, seppure rappresenti un chiaro trigger, non possa essere sempre considerata per se causa sufficiente di sviluppo di disfunzione ventricolare sinistra. Il perché, allo stato attuale delle conoscenze e delle evidenze, rimane ignoto.

È ipotizzabile una complessa interazione fra fattori genetici ed ambientali, in una relazione che va ulteriormente indagata. La vivace espressività aritmica e la dissincronia potrebbero essere un second hit, così come riconosciuto per infezioni virali o sostanze esotossiche, che agirebbe su un background genetico determinandone l’espressione fenotipica. Inoltre, il substrato genetico potrebbe spiegare la variabilità interindividuale di incidenza osservata di rimodellamento inverso morfo-strutturale cardiaco, indice di efficace risposta a terapia di resincronizzazione o procedure ablative.

Muovendo da queste ipotesi Te Rijdt et al. hanno pubblicato nel 2019 i risultati dell’indagine genetica eseguita su 16 pazienti con dissincronopatia da blocco di branca sinistra e super-responders alla terapia di resincronizzazione: il 25% di essi aveva una storia familiare di Cardiomiopatia Dilatativa; un solo paziente era portatore di una variante patogena (nel gene TNNT2, codificante la troponina T) mentre nove lo erano di varianti di incerto significato.

D’altro canto, in un’analisi preliminare del nostro gruppo su una coorte di 73 pazienti con dissincronopatia da blocco di branca sinistra, il 30% era carrier di varianti patogene/verosimilmente patogene ed i pazienti con genotipo negativo presentavano migliore risposta clinico-strumentale alla terapia di resincronizzazione. Numeri e percentuali interessanti ma esigui, che non permettono attualmente di trarre conclusioni solide. Studi più ampi ed appositamente disegnati saranno necessari per indagare la reale prevalenza di determinata da polimorfismi comuni che, combinati insieme ed interagendo con fattori ambientali, potrebbero contribuire al rischio di sviluppare patologie complesse e difficili da inquadrare tramite il classico approccio mendeliano.

Manfredi: Grazie Prof. Sinagra per questa interessante viaggio tra le Cardiomiopatie indotte da disturbo di conduzione. Esso è stato di stimolo di molte riflessioni e spero che tali spunti possano essere origine di studi futuri.