L’ANEURISMA DELL’AORTA ADDOMINALE, UN NEMICO SUBDOLO DA IMPARARE A CONOSCERE. Due amici, due realtà, due opzioni a confronto.
di Raimondo Grossi
18 Dicembre 2016

Una tripla lettera maiuscola, AAA: in questo ambito non è nè l’acronimo degli squadroni anticomunisti argentini di Jose lopez Rega dei primi anni ‘70 del periodo peronista, nè la valutazione che le agenzie di rating finanziario assegnano alle imprese ad alta affidabilità creditizia. Tutt’altro. È un acronimo anglosassone: sta per aneurisma aortico addominale, cioè una grave dilatazione che, del tutto asintomatica, una volta raggiunti circa 5 cm di diametro trasverso, necessita di essere trattata chirurgicamente in tempi ristretti per evitarne la rottura ed una conseguente, gravissima, emorragia interna, fatale secondo tutte le casistiche mondiali nel 60 % dei casi e più.

Come tutte le patologie richiede una valutazione da parte di personale medico specialistico, sopra tutti il chirurgo vascolare, altamente qualificato perchè ormai basta poco per farsi una idea sulle proprie condizioni di salute o sulla propria malattia ed intraprendere più percorsi di cura. Basta solo avere un computer in rete, una modestissima conoscenza informatica, saper digitare su un qualsiasi motore di ricerca, tipo Google, ed il gioco è fatto. Indicazioni al trattamento, rischi operatori, decorsi postintervento, convalescenze, principali complicanze, migliori strutture, equipes con maggiore esperienza, storie di sopravvissuti a ricoveri lampo o lunghe, lunghissime degenze. Ed inizia così una apnea vera, fatta di dubbi, paure, scoramenti, sospiri, sudori freddi, fatalismi. Soprattutto se ci si imbatte nei blog, sorta oramai di vere e proprie piazze virtuali e luogo di incontro e confronto. Ma tant’è.

L’aneurisma vanta due opzioni di trattamento. Quello convenzionale, quasi cinquanta anni di storia, diventato di routine, in centri di livello, dagli anni ’70 ed ormai bagaglio tecnico di qualsiasi chirurgo vascolare, con percentuali di complicanze e mortalità attestatesi su numeri statisticamente risibili (1-3 %).
Quello mini-invasivo, circa 15 anni di vita vera, tecnicamente non sempre fattibile, ma oramai quasi sempre, background di personale medico vascolare specializzato e competente di chirurgia endovascolare (meglio se contestualizzato in centri ad alto volume di trattamenti), tema pressoché dominante nelle realtà congressuali. Grande fascino sull’opinione pubblica e sui pazienti per il suo ridottissimo impatto cardioanestesiologico in quanto effettuato con paziente sveglio in anestesia locale in regione inguinale e senza alcun taglio, ricoveri lampo, percentuali di complicanze maggiori più basse della chirurgia tradizionale (1-2%), continue innovazioni, irrefrenabile progresso tecnologico, investimenti, interessi delle grandi aziende farmaceutiche. Solo due limiti attuali: controlli periodici mediante un esame TAC con mezzo di contrasto frequenti nei primi 2 anni dopo l’impianto (che pero’ forse verranno superati da indagini strumentali meno invasive (ecodoppler avanzato). Percentuali di complicanze minori oscillanti tra il 3 ed il 20% circa.

Fabrizio e Vittorio fanno parte di quella corte di uomini già inconsapevolmente passati nelle forche caudine del migliore trattamento da seguire, e poi entrati ed usciti dal tunnel di una diagnosi improvvisa, repentina e senza appello, alla agognata guarigione, sudata e conquistata ma su cui incombe sempre l’incognita della perdita del completo benessere di prima, della precedente totale integrità fisica, del tipo “stavo meglio prima”.
Entrambi ultrasessantenni, professionisti sul lavoro, discretamente allenati dal punto di vista di metodica attività sportiva, entrambi deboli fumatori, anzi Fabrizio non fumatore, diete alimentari sostanzialmente equilibrate per Vittorio, ipertensione lieve per tutti e due, familiarità positiva per cardiopatia ischemica per il primo.

Si conoscono come compagni di circolo, partecipando poi al torneo “giallo” di doppio di tennis. Giallo perché il compagno di partita viene assegnato a caso da un sorteggio con il bussolotto. Giallo come il tempo di attesa per un responso di un qualsiasi screening che ci si augura sempre negativo per la scoperta di qualsivoglia patologia e che qualche volta invece ci tuffa in odiate dimensioni di malattia, di cura, di interventi, fobie, mutate priorità.
Giallo anche come la bandiera che esposta in pista significa pericolo.
Scambiandosi le prime parole di conoscenza più intima si accorgono che sono in sintonia. Cosa rara ma piacevole come sorpresa. Parlano di famiglie, di figli, di mogli, di lavoro. Ma il loro vero, sorprendente, punto in comune, scoprono di averlo nella salute.Tutti e due, nonostante la loro relativa giovane età erano portatori di un aneurisma dell’aorta addominale e per tale motivo sono stati operati. Fabrizio per via convenzionale, cioè a “cielo aperto”, con la tecnica classica, il taglio verticale sulla pancia da sotto lo sterno sino al pube, Vittorio con la metodica mini-invasiva endovascolare, in voga di routine da circa 10 anni, accesso solo con due semplici punture inguinali, utilizzo di raggi, minor impatto cardio-anestesiologico, fattibilità legata a determinati parametri anatomici ma sostanzialmente oramai praticabile per oltre il 90 % dei casi.

Vitt: insomma Fabrizio, siamo colleghi di sventura eh…
Fab: sai, l’importante,come si dice, è raccontarla. Certo, al momento della diagnosi, sono rimasto veramente stordito. Ero andato a farmi un ecografia pelvica per controllare la prostata ed il radiologo che faceva l’esame mi riscontrò l’aneurisma. “sig. Fabrizio” mi disse” qui c’è una spiacevole sorpresa. La prostata va bene ma l’aorta addominale è molto dilatata. Cioè? Dissi io. L’aorta è l’arteria che porta il sangue dal cuore agli organi interni della pancia ed alle gambe, il suo diametro normale è di circa 1,5/2 cm mentre qui risulta maggiore di 5. È come un tubo dilatato perché le sue pareti sono sfiancate e si può rompere determinando una gravissima emorragia interna, che richiederebbe un intervento urgentissimo gravato da una alta mortalità, sempre che si arrivi in tempo in ospedale.
Dottore, ma che mi dice? Io sono stato sempre bene. Da quando tempo avrei questo aneurisma?
Sa, caro Fabrizio, questa è una malattia subdola perché non da‘ sostanzialmente nessun sintomo.
Caro Vittorio, così e nato il mio percorso di malattia. E tu?
Vitt: bè, similare al tuo. Mi stavo facendo fare una visita dal cardiologo, check-up che faccio ogni anno, quando mettendomi la mano sulla pancia, cosa che i medici ormai fanno sempre più raramente, ha notato una tumefazione pulsante a livello dell’ombelico. Da lì controlli, eco, Tac ed intervento mininvasivo. Io sono abbastanza fatalista. Affronto tutto con una certa leggerezza. Il problema è adesso. Sono torturato da continui controlli, non sto bene, soffro di saltuari disturbi intestinali, sui blog leggo che forse dovevo fare l’intervento convenzionale perché l’aneurisma è escluso ma non asportato e in futuro non si conosce il destino della endoprotesi. Boh, sono un po’ avvilito.

Fab: ma, ti dico, io sono un ipocondriaco e poco fatalista, faccio di tutto per stare bene, tengo alla mia salute, feci una visita da un grosso chirurgo vascolare il quale mi prospettò i due tipi di operazione, propendendo, in virtù dell’ età, per quella convenzionale. Io lo assecondai, mi fidai delle approfondite valutazioni che fece. Il risultato? Il post-op in terapia intensiva è stato un incubo, la convalescenza faticosa, ho un po’ la ferita ed i muscoli dell’addome che tendono a sfiancarsi ed in ultimo ho un problema di erezione. Sì, ci riesco ma con difficoltà. Capito? Il medico è stato esemplare come professionalità e competenza, ma io sono cambiato, in peggio.
Vit: ahi, Fabrizio, che mi dici, mi conforti e nello stesso tempo mi deprimi. Cmq sappi che io forse dovrò fare tra qualche anno una “revisione” e questo non è consolante. Poi devo essere attento i reni perché ho una lievissima insufficienza renale.
Fab: bah, la verità è che spesso non esiste, tranne rari casi, una completa guarigione e così si deve convivere con nuove realtà fatte di piccoli e grandi disturbi, un po’ di nuove paure prima non conosciute, l’importante comunque è non abbassare mai la guardia sui nostri umori e le nostre paranoie. Del resto se siamo qui a giocarci un torneo ci diamo una bella risposta da soli.
Vit: dai va, tocca a noi. Mi raccomando la prima di servizio, mettila dentro che io poi gli infilo la volè, una seconda lenta mi ammazza…
Fab: speriamo mi entri, altrimenti faccio come Chung…

Fabrizio e Vittorio arrivano in semifinale, poi si fermano, con onore.

Negli spogliatoi Fabrizio fa vedere la sua cicatrice “vedi che taglio? In ospedale dicono grande taglio, grande chirurgo… boh, comunque non mi fa male, ho una piccola ernia vicino all’ombelico ma tutto sommato la pancia regge.
Da questo punto di vista, caro Fabrizio, io non ho nulla da farti vedere, sono entrati
nell’arteria e ne sono usciti come nulla fosse. Sbalorditivo il progresso della tecnica
medica.
Sì, Vittorio, questo è indubbio, ma a che costo? E poi non è che sei una bella donna, una cicatrice fa sempre tendenza… scherzo ovviamente.

I due entrano sempre più in confidenza. Il fatto di confrontarsi e confidarsi esperienze personali comuni è un grande collante, forse unico. Risulta uno sfogo in cui l’interlocutore ti comprende come nessuno. È proprio vero il proverbio che dice “mal comune mezzo gaudio”. Perché sia Fabrizio che Vittorio hanno risolto il problema che li assillava, ma entrambi devono subire le conseguenze di una inevitabile variazione della loro omeostasi messa a soqquadro da un intervento, convenzionale o mini-invasivo che sia, allo stesso tempo pesante e delicato. Fabrizio con il problema sessuale e addominale, Vittorio con i continui checkup e la paura di una complicanza e di un conseguente re-intervento. Sta al medico, prima di tutto, essere esempio di equilibrio e saggezza, nel porre al paziente una diagnosi certamente non banale e nel proporre un trattamento idoneo. Ogni scuola di pensiero sui 2 diversi trattamenti può essere legittima.

Dopo di che se c’è il fato e la fortuna a dominare ogni evento o scelta, determinante  è la forza di ognuno di noi di reagire con orgoglio ad uno stato, come detto prima, di alterato equilibrio fisico e psicologico, del resto inevitabile nell’arco di un percorso di vita. Il che non significa essere malati, ma, una volta curati, l’essere solo partecipi di una realtà del proprio corpo che merita una maggiore attenzione. Perché il proprio benessere rimane la nostra prima necessità.

Raimondo Grossi
Chirurgo Vascolare
Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, Roma