L’ALZHEIMER NON VIENE DAL CUORE
di Eligio Piccolo
12 Settembre 2018

Basterebbe scorrere la lista delle persone di grande intelletto che nella loro vita ne abbiano sofferto, penso anche ai premi Nobel, per escludere che la decadenza delle loro egregie capacità cognitive sia conseguenza di un infarto di cuore.
Tuttavia, in questi ultimi tempi coloro che un mio maestro definiva “gli specialisti del dividere il capello in quattro”, cardiologi e psicologi, sono alla ricerca, perché convinti, di una relazione fra la malattia del secolo (già siamo al secondo) e l’Alzheimer o simili.

Non hanno certamente tutti i torti perché alcuni fattori che favoriscono la prima (età, fumo, diabete, pressione alta, ecc.) sembrano facilitare anche la seconda, ma il fattore più importante che rende le cellule cerebrali incapaci di pensare non è dovuto a un infarto, né quello è la causa di questo.
La degenerazione cerebrale osservata nei cervelli degli Alzheimer dai patologi è infatti tutta sui generis. D’altronde, non si capirebbe perché certe signore, anche non tanto anziane, con pressione normale, non fumatrici, glicemia e colesterolo normali e un cuore senza allarmi, improvvisamente comincino a dimenticare i giorni della settimana, dove hanno messo gli occhiali o il nome di un’amica, fino a non riconoscere più figli e marito, pur sopravvivendo a lungo con le badanti.

Tutti oramai avevano accettato le demenze, sia l’Alzheimer che quella rara dopo un infarto o un ictus, come un’inesorabile decadenza arteriosclerotica, quando, a fare il giusto distinguo, è intervenuto recentemente uno studio epidemiologico danese dell’Università di Aarhus, condotto su oltre 300.000 pazienti per 25 anni da Jens Sundboll e il suo gruppo (Circulation, febbraio 2018). Nel quale si dimostra che quanto osservato talora nei reduci da infarto o da ictus, magari anni dopo e a conseguenza di bypass, non è il vero Alzheimer, ma sono amnesie meno gravi o piccole demenze conseguenti alla stessa arteriosclerosi che oltre alle coronarie aveva colpito anche i vasi cerebrali, oppure dovute ad embolie conseguenti a certe aritmie. E l’hanno giustamente classificata come demenza vascolare, differente dall’Alzheimer.

Naturalmente tale tipo di declino mentale, proprio perché legato agli stessi fattori che favoriscono l’infarto, va prevenuto e trattato con gli stessi mezzi. I quali fortunatamente sono ben più efficaci dei molti palliativi consigliati per la demenza maggiore, causata da una sostanza che sostituisce quella che incamera la nostra memoria.

Ho intitolato questa nuova precisazione: “l’Alzheimer non viene dal cuore”, perché mi premeva rassicurare i cardiopatici, qualora non ricordassero lì per lì un nome o dove hanno messo gli occhiali, di non sentirsi penalizzati. Come chi invece soffre della forma più debilitante, quale ho osservato in persone non anziane e senza patologie vascolari. Tuttavia, non pretendo di aver fatto punto su questa complessa problematica poiché, alla fine di questi distinguo operati dalla medicina ufficiale, rivalutando le demenze più o meno senili e osservando i tanti drammi familiari nei quali, più che la decadenza delle arterie o le degenerazioni cellulari sembrano intervenire recondite elaborazioni della nostra psiche, non sono più così sicuro che il cuore, quello che intendeva De Amicis, non abbia un ruolo nel determinare in molti casi l’una o l’altra forma.

Eligio Piccolo
Cardiologo