LA VITA DI UN FALSO PAZIENTE
di Antonella Labellarte
18 Gennaio 2016

Sul numero del dicembre scorso del New England Journal of Medicine vi sono due paginette interessanti che offrono lo spunto per qualche riflessione.

Non si tratta di un articolo scientifico ma del racconto dell’esperienza di un falso/vero paziente. Cosa vuol dire? E’ la storia di un’attrice che ad un certo punto della sua vita professionale inizia a lavorare per il New Clinical Skills Center della George Washington University. In che cosa consiste il suo lavoro? Nello studiare e riprodurre sintomi e segni delle malattie e recitare il suo ruolo di paziente per gli studenti dell’università.

Gli attori recitano e ci si potrebbe immaginare, come si racconta nell’articolo, una scena a La Boheme  maniera in cui l’attrice tossisce in modo gentile nel fazzoletto, ma la realtà è molto più dura: i falsi pazienti  imparano a riprodurre una situazione di interesse clinico in modo assai scrupoloso e la recitano in stanze in cui, come nei film polizieschi, vi sono pareti a specchio dietro alle quali uno staff monitorizza, valuta attentamente e registra le interazioni studente/falso paziente.

I falso paziente subiscono lunghe ore di preparazione, con falsi bendaggi, riproduzione di addomi ripieni di imponenti versamenti ascitici, tanto per fare degli esempi, imparano come reagire, se ad alcune manipolazioni devono manifestare dolore, e la scena viene attentamente ripresa ed esaminata momento per momento. Al falso paziente viene addirittura spesso richiesto di riempire un questionario sulla relazione intercorsa con lo studente: come è stato visitato, quante delle manovre corrette sono state effettuate ed anche la qualità delle risposte concilianti, convincenti o professionali o no che fossero.

In qualche caso gli studenti ritornano nell’aula in cui avviene l’esame e possono avere di nuovo uno scambio con il falso paziente. E a questo punto, l’attore che viene da lunghe ore di preparazione, ha anche il modo e il tempo di dare allo studente un feed-back sulle sue sensazioni, su quanto si è sentito capito o confortato, su quanto abbia compreso, su quanto la comunicazione intercorsa sia stata efficace, empatica e professionale.

Questo gioco delle parti potrebbe sembrare un’ “americanata” come diremmo scherzando in modo superficiale. In realtà ci sono molte cose che i libri non possono insegnare e tante cose che forse un tempo si “assorbivano” con la frequentazione quotidiana dei grandi “maestri”.

Oggi la medicina è super specialistica, le competenze sono molto specifiche, i tempi sono assai ristretti. Non c’è più molto tempo da dedicare all’apprendimento di un’arte: spesso i medici imparano a proprie spese e, di gran lunga più avanti rispetto al periodo di preparazione, ad affrontare situazioni difficili e a dare comunicazioni importanti che a volte cambiano drammaticamente la vita di una persona e della sua famiglia. Alcuni professionisti sono, come dire, “naturalmente dotati”, altri … non lo imparano mai.

 

Come racconta l’articolo del New England alcuni studenti entrano rapidamente e naturalmente nel ruolo, tolgono bendaggi di ferite inesistenti, si interessano alla storia personale del falso paziente ed a tutto quanto è necessario per comprendere la situazione. Ad altri molto più “resistenti” il nostro falso paziente, la nostra attrice, spiega come poi debbano sempre paradossalmente entrare in un ruolo: il medico deve apparire professionale, competente ed empatico, anche se poco prima ha danneggiato la propria auto nuova, ha litigato a casa in cucina o ha affrontato qualsiasi altra piccola o grande traversia. Il medico deve accogliere e curare anche il più difficile, antipatico o respingente dei pazienti.

Come accade nelle storie vere la nostra attrice dopo 6 anni di lavoro da falso paziente in cui ha collezionato sintomi e segni delle condizioni cliniche più disparate, si ammala davvero. Il percorso è lungo e difficile. Ma, sconfitta la severa malattia e con nel cuore quanti medici, infermieri e personale sanitario la hanno accompagnata nel difficile cammino, è tornata a dare il proprio contributo alla George Washington University cui si deve riconoscere il gran merito dell’attenzione rivolta alla complessa formazione dei propri studenti.

Fonti

Ellen Aronofsky Cole My Life as a (Fake) Patient. N Engl J Med 373;24 nejm.org december 10, 2015 DOI: 10.1056/NEJMp1508706

Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma