La cara vecchia aspirina – tanti anni ma non li dimostra? – utilizzata dai nostri nonni per dolori e infreddature, ha un ruolo molto importante nella prevenzione di nuovi eventi cardiovascolari. Lo sanno molto bene coloro i quali hanno già sperimentato un infarto o hanno subito un intervento di rivascolarizzazione chirurgica o con angioplastica coronarica ed impianto di stent, ai quali si da indicazione di assumere cronicamente una dose compresa tra 70 e 160 mg al giorno di acido acetilsalicilico, ossia l’aspirina, in mono somministrazione. E’ un farmaco di cui è ampiamente dimostrata l’efficacia in prevenzione secondaria, appunto, quando si tratta di prevenire nuovi eventi.

In prevenzione primaria, ossia in quei soggetti che non sono affetti da malattia cardiovascolare, le cose non sono ancora chiare. L’aspirina ha dei ben noti effetti collaterali ed il rapporto tra rischi e benefici va attentamente valutato. Esiste infatti da un lato il rischio di sanguinamenti “maggiori”, a livello gastrico o cerebrale ad esempio e, di contro, una probabilità che si verifichi un evento cardiovascolare certamente più bassa che nei soggetti già ammalati.
Fino ad oggi sono state effettuate numerose meta analisi di studi controllati condotti sul trattamento con aspirina a lungo termine.
In media la riduzione del rischio assoluto di eventi ischemici (infarto, ictus), in assenza di storia di malattia cardiovascolare è risultata solamente pari allo 0.08% all’anno. Questo si traduce nel fatto che occorre trattare un numero molto alto di pazienti (NNT Number Needed to Treat degli studi anglosassoni), ben più di 100 all’anno, per ottenere la riduzione di un solo evento ischemico.

Come si diceva, all’uso di aspirina è associato un rischio emorragico, con un rischio aumentato dello 0.01% all’anno di ictus emorragico, dello 0.03 % all’anno di sanguinamenti maggiori al di fuori del distretto cerebrale ed un aumento di complicanze minori quali la comparsa di epistassi, ematuria ed ematomi.
Nel tentativo di dare una risposta al ruolo dell’aspirina in prevenzione primaria è stato condotto uno studio utilizzando i dati provenienti dal Women’s Health Study. La previsione degli eventi attesi è stata basata su punteggi di rischio già esistenti quali il Framingham Risk Score (FRS) e il Reynolds Risk Score (RRS). L’analisi sui benefici è stata condotta valutando diverse strategie di trattamento: a) trattare tutti; b) non trattare nessuno; c) trattare secondo le attuali linee guida (donne di età superiore a 65 anni o con un rischio di eventi >10% secondo il FRS); d) trattamento selettivo delle pazienti.
Senza entrare nel merito di un’analisi di non semplice comprensione anche in questo studio non è stata documentata l’efficacia dell’aspirina in prevenzione primaria. L’aspirina è risultata anzi, addirittura potenzialmente dannosa nella maggioranza delle partecipanti allo studio.
Fonte :
Johannes AN Dorrestejin et al. Aspirin for primary prevention of vascular events in women: individualized prediction of treatment effects. Eur Heart J (2011) 32. 2962-69
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma