La toccatina e il coccolone
di Eligio Piccolo
25 Aprile 2021

I toscani, quando vogliono essere gentili, lo sono davvero e con eleganza, fin dai tempi del Dolce Stil Novo. Cosicché oggi quando sono ben disposti ti definiscono toccatina un TIA, un deficit cerebrale transitorio, e pure una paralisi o paresi persistenti, onde minimizzare al malcapitato l’accaduto. Al contrario, quando invece il becerismo, innescato da un qualche motivo personale, ma anche solo per il gusto della battuta, li fa essere “maledetti” alla Malaparte, allora quell’attacco neurologico che ha colpito il prossimo diventa il coccolone. Quasi mai senza un contorno sarcastico sugli esiti che menomano l’andatura e la parola, una cattiveria superata solo dall’impietoso adagio veneto, che con la rima sentenzia: “da un segnà da Dio tre passi indrio (lontano), da un soto (zoppo) oto (otto)”. Non è ben chiaro perché questo disturbo cerebrale, a differenza di altre malattie come l’infarto o il cancro, desti tanta empietà; chissà, forse perché si accompagna quasi sempre alla decadenza del soggetto, all’età che avanza e all’arteriosclerosi, quasi una colpa di non essere stato più attento. E qui probabilmente si scatena una recondita voglia di coglionare chi magari nel pieno della sua virilità faceva il gradasso. Poiché, avete notato (?), la donna anziana non desta mai queste ideazioni irrispettose, nemmeno quando il suo più frequente insulto cerebrale, la demenza senile, la rende indifesa. Scusate la digressione psicologica di un incompetente psicologo e ritorniamo alla medicina seria.

Fino a pochi decenni fa il TIA, cioè la perdita di motilità o della parola che si risolvono in poche ore, e nemmeno o le paralisi di un lato del corpo, in genere migliorabili ma meno passeggere, avevano rimedio, se non il riposo e il controllo della pressione. Oggi, le maggiori conoscenze sulle cause, sui fattori favorenti e sulla grandezza del danno, hanno migliorato anche la terapia. La quale si basa, non solo sulla prevenzione di una pressione non ben controllata, delle aritmie come la fibrillazione atriale che possono lanciare emboli al cervello, del fumo che favorisce lo spasmo e l’arteriosclerosi, e di altri disturbi metabolici dei grassi, ma anche sulla possibilità di sciogliere o di stappare l’arteria cerebrale colpita, come si fa con le coronarie del cuore nella minaccia d’infarto. Nonché sulla terapia con gli antiaggreganti piastrinici, primo fra tutti l’aspirina, e con gli anticoagulanti quando si temono gli emboli.
Lo “sturamento” dell’arteria cerebrale colpito comporta tuttora una procedura più complessa di quella coronarica durante la sperimentata coronarografia. Sia per la minore esperienza sia per la necessità di intervenire molto prima, poiché i neuroni, le cellule cerebrali, rispetto a quelle del cuore resistono meno alla mancanza di ossigeno. Tuttavia, i risultati si fanno ogni giorno più promettenti e incoraggiano a formare le cosiddette stroke unit, le unità di terapia intensiva simili alle unità coronariche, per ora attive solo nei grandi nosocomi. Mentre ancora, per quasi tutti i TIA o le paralisi, che non hanno potuto essere trattate con le tecniche invasive, oggi si discute molto sulla opportunità che questi pazienti si tutelino con i cosiddetti antiaggreganti piastrinici, i farmaci che prevengono la formazione dei tappi o trombi implicati negli infarti cerebrali.

Prima fra tutti la gloriosa aspirina, che anche alle piccole dosi della ben nota cardioaspirina, 100 mg, ha una buona azione profilattica, sia in coloro che per vari fattori di rischio potrebbero andare incontro all’accidente vascolare cerebrale, sia in chi ha appena avuto il disturbo e tenta di evitarne l’aggravamento. Questo semplice rimedio, associato si capisce al controllo della pressione e di altri complici, riduce il rischio di aggravamenti successivi, ma siamo sempre nell’ordine di cifre basse. Da qui l’idea di aumentare l’azione benefica dell’aspirina associandole una molecola con analoga azione, ma più potente. Così come si è cercato di verificare in molti studi aggiungendo a quei 100 mg altri prodotti con analoghe funzioni: il clopidogrel e il ticagrelor, le cui caratteristiche ve le risparmio lasciandole agli esegeti, a noi interessano l’efficacia e gli eventuali effetti indesiderati. Tutto ciò è stato rivalutato dal gruppo di Johnston nella  ricerca  THALES (NEJM, luglio 2020) su 11 mila pazienti appena colpiti da TIA o da paralisi e successivamente trattati con aspirina+ticagrelor. A farla breve il vantaggio c’è stato, ma dell’ordine di una sessantina di pazienti e con l’inconveniente di maggiori emorragie pericolose, una trentina. Troppo poco, direi, per non affidarci solo alla più innocua aspirin  e concentrare invece l’attenzione sugli altri rimedi in via di sviluppo, soprattutto alla prevenzione dei molti fattori di rischio che lentamente ammalano le arterie del nostro organo più nobile, il cervello.
Del tutto differente è la prevenzione delle toccatine passeggere o dei coccoloni debilitanti nelle persone anziane che soffrono di fibrillazione atriale, l’aritmia che può essere anche inavvertita, ma più spesso il paziente la sente come una tachicardia irregolare e fastidiosa. La lunga esperienza medica con gli elettrocardiogrammi e gli Holter ci ha portato alla conclusione che gli interventi terapeutici devono certamente mirare al ripristino del ritmo normale con i molti farmaci a disposizione e con le diverse ablazioni, ma soprattutto devono attuare la profilassi delle embolie con gli anticoagulanti. Il cuore spesso non ci dice quando fibrilla, magari per pochi secondi, né ci assicura in quali casi non organizza coaguli nel suo interno, ossia gli emboli che poi vanno a infartuare il cervello. E se non ce lo dice dobbiamo fare come con il Covid-19, ci si vaccina tutti, si scoagulano tutti.
Questa è la conclusione accettata attualmente dai medici più prudenti e che rende ragione dei risultati di uno studio danese dell’Università di Aarhus (Neurology, gennaio 2021). Nel quale il conteggio delle ischemie cerebrali in Danimarca dal 2005 al 2018, nei pazienti relativamente giovani (18-49 anni) e in quelli ultra 50enni, ha messo in evidenza che nei primi, non scoagulati perché non vi erano i presupposti, l’incidenza di quelle patologie non variava nel tempo, mentre nei secondi, scoagulati per prevenire le embolie della fibrillazione e forse controllati meglio nella pressione, esse diminuivano, specie dopo i 70 anni e in egual misura nei due sessi. Come diceva il saggio spagnolo: “Adelante Pedro, con juicio”.

 

Eligio Piccolo
Cardiologo