LA TIROIDE… MA PERCHÉ NON CI SI PENSA MAI ?
di Claudio Ferri
18 Febbraio 2016

Un interessante articolo sulle correlazioni tra ipotiroidismo e coronaropatia è stato recentemente prodotto dalla Mayo Clinic (Eur Heart J. 2016 Jan 12). Lo studio di una popolazione costituita da 2.400 pazienti necessitanti di angioplastica coronarica, ha permesso di identificarne ben 686 affetti da ipotiroidismo. La diagnosi fondava sostanzialmente solo sull’anamnesi, quindi anche sulla terapia sostitutiva, o su un valore di TSH anormale. Tuttavia, è facile rilevare come tra gli autori dell’articolo vi siano anche specialisti in endocrinologia, per cui è molto verosimile che la diagnosi di ipotiroidismo – pur in assenza di una precisa definizione etiologica della sua origine – fosse corretta ed avesse effettivamente individuato con precisione i pazienti con una insufficiente  produzione endogena di ormoni tiroidei.

Orbene, ben 193 pazienti dei suddetti 686 non erano in terapia sostituiva. Dei trattati, appena 175 avevano un livello di TSH corretto dalla terapia orale sostitutiva, mentre 318 avevano un TSH >5 mU/mL in trattamento. Ne consegue che, in modo più o meno marcato, anche questi 318 pazienti vivevano persistentemente in una condizione di ipotiroidismo.

L’evoluzione clinica seguita post-angioplastica per un follow up triennale (mediana) mostrava come gli eventi coronarici e l’infarto del miocardio fossero più comuni nell’ipotiroideo rispetto all’eutiroideo (HR: 1.28, P = 0.0001 e HR: 1.25, P = 0.037, rispettivamente). Anche lo scompenso cardiaco era più comune nel paziente ipotiroideo rispetto all’eutiroideo (HR: 1.46, P = 0.004), come pure la necessità di subire ulteriori rivascolarizzazioni (HR: 1.26, P = 0.0008) e la comparsa di ictus cerebri (HR: 1.62, P = 0.04).

Come prevedibile, tuttavia, a pagare questo tragico tributo erano solo i pazienti ipotiroidei non trattati oppure quelli trattati in modo incongruo. Infatti comparando gli ipotiroidei divenuti eutiroidei grazie alla terapia sostitutiva versus i persistentemente ipotiroidei, il rischio di eventi coronarici era decisamente ridotto nei primi (HR versus non trattati: 0.69, P = 0.005; HR versus trattati incongruamente: 0.78, P = 0.045). Quasi tutti gli altri endpoint presi in considerazione, d’altronde, seguivano grossolanamente la stessa linea, dallo scompenso cardiaco all’infarto del miocardio.

Il segnale proveniente da questo studio, pertanto, non è certo innovativo. E’ ben noto, infatti, come ipertiroidismo ed ipotiroidismo  espongano il paziente ad un elevato rischio cardio-cerebrovascolare.

Stupisce veramente, tuttavia, rilevare come anche in un paese ad economia avanzata, un problema davvero non esageratamente complesso come la diagnosi e la terapia sostitutiva dell’ipotiroidismo non venga affrontato appropriatamente nel paziente coronaropatico.

In Italia, il problema del rischio cardiovascolare tiroide-correlato è stato più volte intelligentemente studiato, particolarmente nel paziente anziano.

E’ ora, pertanto, che il clinico di qualsivoglia specialità ricordi quanti siano i segni e sintomi – spesso banalmente obiettivabili – che possono almeno far pensare al distiroidismo.

E’ anche l’ora, ne consegue, che l’esame del TSH circolante entri a far parte comunque della routine degli esami da programmare annualmente, soprattutto nel paziente a rischio di sviluppare o già affetto da malattia cardio-cerebrovascolare, particolarmente se in attesa di un intervento chirurgico o di angioplastica.

E’ ora, infine, di ricordare che la laurea in Medicina ed il seguente periodo di formazione non possono vivere solo dell’inseguimento dell’ultimo tecnicismo, ma debbano invece vivere anche nel persistente echeggiare della sana medicina clinica, fatta di anamnesi ed esame obiettivo.