La pericardite è una comune affezione infiammatoria a carico dei foglietti pericardici, risultante da una varietà di stimoli che innescano una risposta immunitaria stereotipata. Benché generalmente il quadro clinico di risolva positivamente, fino al 30% dei pazienti può presentare una o più ricorrenze nelle settimane e mesi successivi.
V. Rizzello: Prof. Ferri quali sono i fattori di rischio per la ricorrenza della pericardite?
C. Ferri: I fattori di rischio più rilevanti per la ricorrenza sono il sesso femminile (tipicamente più suscettibile alle patologie sottese da componente immunologica), il mancato trattamento dell’episodio iniziale con colchicina, l’uso precedente di corticosteroidi e l’anamnesi positiva per precedenti episodi ricorrenti
V. Rizzello: In un paziente con dolore toracico e un’anamnesi positiva per precedente pericardite, quando dobbiamo pensare a una recidiva di pericardite?
C. Ferri: La pericardite ricorrente deve essere sospettata in caso di ricomparsa, dopo un periodo libero da malattia di almeno 4-6 settimane, di sintomi e segni tipici di infiammazione pericardica. La conferma diagnosticata viene effettuata sulla base dei medesimi criteri clinici, laboratoristici e strumentali raccomandati dalle linee guida per la pericardite, comprensivi di esame obiettivo, elettrocardiogramma, ecocardiogramma, radiografia del torace e marcatori sierici di flogosi (proteina C reattiva, PCR) e miocardionecrosi (creatinchinasi, CK; troponina, Tn), con l’eventuale aggiunta di tomografia assiale computerizzata e/o risonanza magnetica nucleare che, nei casi dubbi o atipici, possono evidenziare edema o aumentata captazione del mezzo di contrasto da parte del pericardio infiammato.
V. Rizzello: Prof. Ferri qual è la terapia della pericardite recidivante?
C. Ferri: Premesso che la terapia dovrebbe essere mirata alla causa, la terapia medica tradizionale della pericardite ricorrente consiste nell’impiego di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), in genere da ridursi gradualmente nell’arco di 2-4 settimane dopo la risoluzione dei sintomi, in associazione ad almeno 6 mesi di trattamento con colchicina a dosaggio adattato al peso corporeo (0,5 mg una volta al giorno se il peso corporeo <70 kg; 0,5 mg due volte al giorno se ≥70 kg) (raccomandazioni di classe IA secondo linee guida). La colchicina rappresenta, ormai, un caposaldo della terapia della pericardite, tanto nelle forme acute quanto nelle ricorrenze, in quanto sarebbe in grado di migliorare la risposta agli antinfiammatori, aumentare i tassi di remissione e ridurre l’incidenza di recidiva fino al 50%.
V. Rizzello: Quindi, i cortisonici non devono essere usati nel trattamento delle pericarditi?
C. Ferri: I cortisonici possono trovare un posto in un contesto di tripla terapia basata sull’aggiunta dei corticosteroidi a basso dosaggio (es. prednisone 0,2-0,5 mg/kg/giorno) in caso di risposta incompleta alla combinazione FANS/colchicina, per ottenere un pronto controllo dei sintomi, in individui in cui la genesi infettiva di patologia sia stata esclusa. Tuttavia la riduzione del dosaggio deve avvenire con misurata velocità in tempi ampiamente dilazionati per evitare la ricorrenza di malattia o la sua cronicizzazione. In ragione di tali rischi, l’uso dei corticosteroidi a basso dosaggio va limitato a pazienti con indicazioni specifiche (es. malattie infiammatorie sistemiche, sindromi post-pericardiotomiche, gravidanza, pericardite associata all’uso di inibitori dei checkpoint immunitari) o con vere controindicazioni all’uso di FANS, mentre è controindicato l’impiego di corticosteroidi ad alto dosaggio.
V. Rizzello: Prof. Ferri, nei pazienti che non rispondano alla terapia con colchicina e FANS o sviluppino una dipendenza da corticosteroidi, quali opzioni terapeutiche abbiamo?
C. Ferri: Le opzioni terapeutiche in questi casi comprendono le terapie immunosoppressive (es. azatioprina, metotrexate), le immunoglobuline endovenose (IVIG) e gli antagonisti recettoriali dell’interleuchina-1 (IL-1), come anakinra. Recentemente, inoltre, l’uso dell’inibitore dell’IL-1 rilonacept ha dimostrato di poter essere un’opzione valida in questi pazienti.
V. Rizzello: Prof. Ferri qual è il presupposto fisiopatologico per l’utilizzo di questi nuovi farmaci anti-IL-1 nelle pericarditi ricorrenti?
C. Ferri: La pericardite ricorrente è un fenomeno auto-infiammatorio caratterizzato da un’attivazione inappropriata dell’immunità innata, con ruolo preminente della famiglia di citochine dell’IL-1. L’IL-1α preformata viene rilasciata dalle cellule pericardiche danneggiate o infiammate e può contribuire a propagare l’infiammazione mediante attivazione dell’inflammasoma NLRP3, responsabile di amplificare a cascata la risposta infiammatoria producendo IL-1β. Bloccare questo meccanismo può tradursi in una riduzione delle recidive. Attualmente i farmaci che agiscono su questo meccanismo sono: 1) anakinra, un inibitore ricombinante del recettore dell’IL-1 prodotto in cellule di Escherichia coli, mediante la tecnologia del DNA ricombinante, in grado di antagonizzare sia l’IL-1α rilasciata dalle cellule pericardiche che l’IL-1β prodotta dalle cellule infiammatorie e 2) rilonacept, una proteina di fusione dimerica a lunga durata d’azione prodotta con la tecnologia “cytokine trap”, dotata di una elevata affinità sia per l’IL-1β che per l’IL-1α.
V. Rizzello: Quali sono le evidenze a favore del loro utilizzo?
C. Ferri: Nel trial clinico di sospensione, randomizzato in doppio cieco e controllato con placebo, AIRTRIP (Anakinra – Treatment of Recurrent Idiopathic Pericarditis trial), su 21 pazienti affetti da pericardite ricorrente, cortico-dipendente e colchicino-resistente, Anakinra è stato somministrato al dosaggio di 2 mg/kg/die sottocute per 2 mesi; ottenuta la risoluzione del quadro clinico, i pazienti sono stati poi randomizzati a continuare anakinra (n.11) o a ricevere placebo (n.10) per 6 mesi o fino a recidiva di pericardite. Dopo un follow-up medio di 14 mesi, si è osservata una netta differenza a favore di anakinra in termini di tasso di incidenza di pericardite ricorrente. L’efficacia del farmaco è stata confermata da dati provenienti dal registro IRAP (International Registry of Anakinra for Pericarditis), a cui hanno finora collaborato 14 centri di riferimento per le malattie del pericardio da 6 diversi Paesi, per un totale di 224 pazienti.
Per quanto riguarda rinolacept, i recentissimi risultati dello studio multicentrico randomizzato di sospensione di fase 3 in doppio cieco RHAPSODY (Rilonacept Inhibition of Interleukin-1 Alpha and Beta for Recurrent Pericardite: a Pivotal Symptomatology and Outcomes Study) hanno dimostrato l’efficacia di rilonacept nella rapida risoluzione degli episodi ricorrenti di pericardite (tempo mediano di risposta al dolore di 5 giorni, e quello di normalizzazione della PCR di 7 giorni) e nella significativa riduzione del rischio di recidiva rispetto al placebo.
V. Rizzello: Qual è il profilo di sicurezza di questi nuovi farmaci?
C. Ferri: Il profilo di sicurezza di tali farmaci è molto buono. La maggior parte degli effetti indesiderati sono rappresentati da reazioni cutanee locali (nel sito di somministrazione sc), comunque transitorie. In alcuni casi sono state riportate artro-mialgie, rialzo delle transaminasi, infezioni cutanee e respiratorie e neutropenia.
V. Rizzello: Prof. Ferri questo nuovi farmaci sono attualmente prescrivibili in Italia?
C. Ferri: Anakinra è attualmente prescrivibile in Italia per le forme di pericardite ricorrente cortico-dipendente e colchicino-resistente al dosaggio di 2 mg/kg/die (massimo 100 mg/die) sottocute, anche in associazione alla colchicina, ed il trattamento va protratto per almeno 3-6 mesi, seguito da una graduale riduzione del dosaggio. Il controllo dei sintomi avviene rapidamente già dopo la prima-seconda somministrazione, consentendo di ridurre e poi sospendere in sicurezza la terapia corticosteroidea concomitante. È importante ricordare che anakinra deve essere evitato nei pazienti immunocompromessi e nei pazienti con un’infezione attiva. Inoltre, la somministrazione concomitante di vaccini deve essere evitata.