La nuova terapia del diabete mellito tipo 2: confronto tra le due classi di farmaci GLPR (Glucagon-Like Peptide Receptor) Agonists e SGLT2 (Sodium-Glucose Cotransporter 2) Inhibitors
di Alessandro Battagliese intervista Claudio Borghi
01 Ottobre 2020

“I GLP1-RAs e gli SGLT2i rappresentano due classi di farmaci senza precedenti, poiché sono i primi ad apportare un concreto beneficio sul rischio cardiovascolare oltre che a ridurre i livelli di emoglobina glicata nei soggetti diabetici.”

Prof. Borghi qual è l’impatto del diabete sulle malattie cardiovascolari? Ci sono farmaci in grado di prevenirne le complicanze?

Si stima che il 15% delle persone con diabete soffra di coronaropatia; il 22% di retinopatia che può causare cecità; il 38% presenti una malattia renale cronica ed il 3% abbia vasculopatie che possono portare all’amputazione. Un controllo ottimale della malattia risulta di fondamentale importanza per l’adeguata prevenzione delle sue molteplici complicanze; da qui la necessità di terapie innovative con farmaci all’avanguardia. Tra questi spiccano due classi di molecole emerse negli ultimi dieci anni: i GLP1- agonisti e gli inibitori di SGLT2.

Grazie Professore. Potrebbe spiegare il meccanismo di azione di queste due classi di farmaci?

Il Gastric Inhibitory Polypeptide (GIP) ed il Glucagon-Like Peptide 1(GLP1) rappresentano le principali molecole appartenenti alla classe delle incretine, un gruppo di ormoni secreti dalle cellule L e K intestinali in risposta all’ingestione di un pasto. Il GLP1 esplica la sua azione legandosi al proprio recettore che viene espresso in diversi tessuti, incluse le β-cellule pancreatiche: qui il GLP1 stimola il rilascio di insulina glucosio-dipendente. In aggiunta, il GLP1 sopprime il rilascio di glucagone dalle cellule α pancreatiche, verosimilmente grazie al rilascio locale di somatostatina da parte delle δ cellule. Il GLP1 inoltre promuove il rallentamento dello svuotamento gastrico e l’induzione del senso di sazietà. L’emivita del GLP1 risulta essere pari a 2-3 minuti poiché questo viene rapidamente inattivato dall’enzima Dipeptidil Peptidasi 4 (DPP4) e successivamente escreto per via renale, rendendo la molecola poco adatta ad un utilizzo farmacologico. Per consentirne un uso terapeutico efficace si è resa necessaria la sintesi di agonisti recettoriali del GLP1-R resistenti all’azione dell’enzima DPP4 e conseguentemente dotati di un’emivita maggiore.

Il rene filtra circa 180L di plasma ogni giorno. In un individuo con concentrazioni plasmatiche di glucosio pari a 90-100mg/dL ciò corrisponde ad una concentrazione di glucosio che giunge al nefrone pari a 162-180g/die, quantità che verrà completamente riassorbita a livello del tubulo contorto prossimale. Questo è reso possibile dalla presenza, a tale livello, di co-trasportatori sodio-glucosio (SGLTs).  Di questi, il responsabile del riassorbimento del 90% di glucosio filtrato è rappresentato da SGLT2, espresso solamente nel rene a livello del tratto S1 del tubulo contorto prossimale. Il rimanente 10% di glucosio filtrato viene riassorbito da SGLT1, co-trasportatore situato nel tratto S3 del tubulo prossimale e nell’intestino. I farmaci SGLT2 inibitori esplicano il loro effetto mediante il blocco selettivo di questi trasportatori impedendo il riassorbimento tubulare di glucosio e favorendone l’escrezione renale.

Attualmente sono state approvate dall’EMA tre molecole appartenenti a questa classe: Canagliflozin, Dapagliflozin ed Empagliflozin.  E’ stato dimostrato come il loro utilizzo sia associato ad una riduzione dei valori di emoglobina glicata di circa l’1%, valore sovrapponibile a quello delle sulfaniluree. A differenza di queste ultime, tuttavia, il rischio di ipoglicemie risulta essere nullo.

Quando e perché, Professore, dovremmo utilizzare questi farmaci?

Fino a pochi anni fa nessun farmaco antidiabetico aveva dimostrato chiari benefici sulla riduzione del rischio cardiovascolare e delle complicanze macrovascolari. Questo paradigma è stato soverchiato dai trial clinici EMPA-REG e LEADER, che hanno aperto le porte ad una nuova era della terapia antidiabetica nei soggetti ad alto/molto alto rischio cardiovascolare o con una malattia cardiovascolare nota.

Secondo le ultime linee guida ADA 2019, il farmaco di prima scelta nel paziente diabetico rimane la metformina. I GLP1-RAs e SGLT2i sono indicati come aggiunta alla metformina in tutti i pazienti che non raggiungono il target ottimale di emoglobina glicata e presentano una malattia cardiovascolare nota o una malattia renale cronica. Secondo le linee guida ESC 2019 i GLP1-RAs e SGLT2i possono essere considerati sia come farmaci di prima linea nei pazienti non in terapia farmacologica e con una malattia cardiovascolare nota o un rischio cardiovascolare alto/molto alto, sia come aggiunta alla metformina nei pazienti che non raggiungono livelli ottimali di emoglobina glicata e che presentano una malattia cardiovascolare nota o rischio cardiovascolare alto/molto alto.

Quali sono le evidenze a supporto?

Lo studio LEADER condotto su pazienti ad alto rischio cardiovascolare e prevalentemente in prevenzione secondaria (81% dei pazienti) ha dimostrato che l’utilizzo di Liraglutide rispetto al placebo conduce ad una significativa riduzione della mortalità globale e per eventi cardiovascolari rispettivamente del 15% e del 22%, ed una riduzione non statisticamente significativa di IMA e stroke non fatali. Analisi secondarie hanno dimostrato anche una riduzione della progressione della malattia renale cronica. Nello studio SUSTAIN-6 l’utilizzo di Semaglutide ha dimostrato una riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori del 26%, in particolare una significativa riduzione del 39% di stroke non fatali rispetto al placebo. Una riduzione del 22% di eventi cardiovascolari maggiori ed una significativa riduzione di IMA del 25 % rispetto al placebo è stata documentata anche a seguito dell’utilizzo di Albiglutide nello studio HARMONY OUTCOMES.

Nello studio EMPA-REG OUTCOME l’utilizzo di Empagliflozin in una popolazione di diabetici di lunga data con malattia cardiovascolare nota ha ridotto l’end point composito primario (morte per eventi cardiovascolari, IMA non fatale, stroke non fatale) del 14% in comparativa col placebo. Questo è dovuto principalmente ad una riduzione del 38%, nonché altamente significativa, di morte per eventi cardiovascolari. Empagliflozin ha ridotto la mortalità globale del 32% (P < 0.00001) e ridotto del 35% l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco. È importante sottolineare come questi benefici si siano osservati in pazienti con e senza insufficienza cardiaca nota. Nello studio CANVAS l’utilizzo di Canagliflozin ha dimostrato una significativa riduzione del 33% dei tassi di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e migliorato gli outcomes renali, pur non impattando sulla mortalità globale né sulla mortalità dovuta ad eventi cardiovascolari. Dapagliflozin, utilizzato nello studio DECLARE TIMI-58, ha ridotto l’outcome composito secondario renale e l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco nei pazienti con e senza frazione d’eiezione ridotta. In particolare, si è osservata una riduzione della mortalità globale e per eventi cardiovascolari, ma solamente nei pazienti con FE < 45%. La frazione d’eiezione potrebbe dunque essere un parametro importante per identificare tutti i pazienti che potrebbero trarre un beneficio maggiore dall’utilizzo degli SGLT2i.

Quali gli effetti collaterali e le controindicazioni?

I principali effetti collaterali dei GLP1-agonisti sono rappresentati dalla comparsa di nausea e vomito; la nausea tende a diminuire dopo 4-8 settimane di trattamento.

Inizialmente questi farmaci sono stati associati ad una maggior incidenza di pancreatite, cancro del pancreas e colelitiasi. Recenti studi hanno dimostrato che non vi è un rischio aumentato di pancreatite né di cancro del pancreas associato all’utilizzo di queste molecole; permane tuttavia un incremento dell’incidenza di colelitiasi.

I GLP1-RAs sono stati associati ad un aumento dell’incidenza di carcinoma midollare della tiroide nei roditori; nonostante questa associazione non sia stata evidenziata nell’essere umano, l’utilizzo di questi farmaci dovrebbe essere evitato nei pazienti con una storia di carcinoma midollare tiroideo o MEN2.

I SGLT2 inibitori non devono essere iniziati se il filtrato glomerulare è inferiore a 60 mL/min e vanno sospesi se il filtrato glomerulare scende a valori inferiori a 45 mL/min.

Le infezioni delle vie urinarie e nello specifico le infezioni micotiche rappresentano la principale complicanza associata all’utilizzo di questi farmaci, in particolar modo nei soggetti di sesso femminile.

Una conseguenza del meccanismo d’azione dei SGLT2i è l’aumento della diuresi e della natriuresi: questo comporta un maggior rischio di deplezione di volume e conseguente ipotensione, specialmente nei soggetti anziani in terapia con diuretici.

Da segnalare il riscontro di un lieve aumento delle amputazioni minori a carico del piede con l’utilizzo di Canagliflozin; l’utilizzo di questa molecola dovrebbe essere evitato nei pazienti a rischio per amputazione. Uno screening mediante ABI index prima di iniziare la terapia con SGLT2i potrebbe risultare utile in tutti quei pazienti con vasculopatia periferica. Canagliflozin è inoltre associato ad un lieve ma statisticamente significativo aumento di fratture ossee; dovrebbe quindi essere usato con cautela nei pazienti con osteoporosi.

Infine, una rara ma possibile complicanza è rappresentata dalla chetoacidosi diabetica.

Grazie Professore. Dai dati a disposizione è possibile fare un confronto tra queste due classi di farmaci?

Gli SGLT2i sembrano avere un effetto preponderante sui pazienti con insufficienza cardiaca a frazione d’eiezione ridotta, riducendo il numero di ricoveri e la mortalità. È importante sottolineare come, in ogni studio coinvolgente questa classe di molecole, gli effetti positivi quali la riduzione della mortalità abbiano cominciato a rendersi evidenti solamente dopo poche settimane dall’inizio del trattamento. Questo sembra essere legato a fenomeni principalmente non metabolici, non legati dunque alla riduzione della progressione dell’aterosclerosi.

Gli effetti dei GLP1-RAs, al contrario degli SGLT2i, non si manifestano prima di diversi mesi. Questo rende ragione del probabile effetto metabolico che coinvolge una riduzione dei fenomeni aterosclerotici ed infiammatori.

Come conseguenza, i GLP1-RAs sembrano essere la scelta più appropriata nel caso di un paziente diabetico senza una storia di insufficienza cardiaca ma a rischio per IMA o stroke. Al contrario, nei pazienti con un’insufficienza cardiaca gli SGLT2i sono preferibili.