Senza neppure sfiorare i sovrumani quesiti teologici e biblici sull’origine della vita, per tentare uno scabroso assemblaggio dei frammenti di conoscenza, intuizioni, ipotesi, fantasie e degli scarsi dati sperimentali forniti dai biologi evoluzionisti, si può ritenere che le prime forme di vita sul nostro pianeta siano comparse, millennio più, millennio meno, tre miliardi di anni fa. Nei primi due miliardi di anni erano soprattutto batteri, un miliardi di anni fa cominciarono a svilupparsi i primi organismi unicellulari vegetali, che non possedevano ancora un nucleo distinto dal citoplasma. Verosimilmente queste forme iniziali di vita comparvero negli strati superficiali dei mari dove giungevano i raggi del sole. Il formarsi della vita vegetale, secondo gli evoluzionisti, arricchì l’aria di ossigeno e dette origine, negli strati alti dell’atmosfera, all’ozono il quale protesse la superficie terrestre dall’azione distruttiva dei raggi ultravioletti. La crescente disponibilità di ossigeno aumentò l’attività biologica delle forme primordiali di vita: i protozoi unicellulari cominciarono a unirsi fra loro e nelle cellule iniziarono i fenomeni di divisione e, successivamente, di differenziazione. Questa evoluzione sarebbe iniziata sempre nell’acqua, circa due miliardi di anni fa. Col ritirarsi dei mari, alcuni di questi aggregati cellulari cominciarono gradualmente ad adattarsi alla vita terrestre. Ai protozoi, costituiti da una sola cellula, l’ossigeno e il nutrimento giungevano passivamente dall’acqua attraverso la membrana cellulare. Quando più cellule cominciarono ad unirsi fra loro, quelle che si trovavano all’interno ricevevano poco ossigeno e sopravvivevano a fatica; l’ossigeno disciolto nell’acqua era inoltre insufficiente per le esigenze metaboliche degli organismi in sviluppo. Per superare questo ostacolo, all’evoluzione delle colonie cellulari furono necessarie due cose, la disponibilità di un veicolo per il trasporto dell’ossigeno e di una capace di spingerlo fino alle cellule interne. La soluzione del primo problema fu relativamente facile, anche se verosimilmente richiese svariati millenni. La fotosintesi iniziata con il sole sembra nelle alghe azzurre aveva già reso disponibile la clorofilla, con piccoli cambiamenti chimici il pigmento verde delle piante si trasformò nel pigmento rosso del sangue. La struttura chimica dell’emoglobina differisce da quella della clorofilla soltanto per il ferro al posto del magnesio. Più ardua probabilmente fu la soluzione del problema della “pompa”. Sempre secondo i biologi evoluzionisti, nei mari preistorici si erano andate differenziando delle specie di amebe che avevano acquisito la capacità di muoversi mediante movimenti ritmici di contrazione e rilassamento. Quando queste cellule contrattili si unirono ad altre esaltarono la capacità di spingere i liquidi agli strati cellulari sempre più interni. Le sostanze nutritive ricche elettroliti e di emoglobina, veicolo dell’ossigeno, fluivano negli spazi fra una cellula e l’altra. La graduale differenziazione e la progressiva specializzazione di gruppi cellulari, consentirono l’ulteriore sviluppo di questa prima forma rudimentale di vita organizzata. Se le cose sono andate veramente così, i progenitori del cuore sarebbero stati questi organismi unicellulari vegetali, che impararono a contrarsi aritmicamente per muoversi autonomi nei mari preistorici. Resta da stabilire chi abbia creato questi organismi unicellulari vegetali. Per dimostrare che questo non è solo frutto di intuizione e di fantasia, i biologi portano l’esempio degli anfiassi, animaletti strani che vivono nelle sabbie lungo le coste marine, i quali non possiedono un vero cuore, ma soltanto un certo numero di cellule contrattili, che spingono i liquidi dalla periferia verso le cellule poste all’interno del loro corpo. Molti animali inferiori sono privi di cuore: nei celenterati, spugne e meduse, alla distribuzione dell’ossigeno provvede un piccolo prolungamento dell’intestino. Il cuore cominciò a costituirsi e a specializzarsi come pompa negli animali che passavano dall’acqua alla terra e nei quali altre cellule cominciavano ad acquisire funzioni di polmoni. La formazione del cuore è completa nei rettili, come il coccodrillo, nei quali il cuore è formato da quattro cavità, due atri e due ventricoli, al pari di quello dell’uomo anche se non vi è ancora la completa separazione fra quella di destra e quella di sinistra, vale a dire fra il sangue venoso e quello arterioso. Permane un foro di comunicazione fra i due atri, chiamato dagli zoologi foro di Panizza, che talvolta viene ritrovato anche nell’uomo, dove si chiama foro di Botallo, espressione di malformazione congenita, facilmente correggibile. Dalla storia fantastica e meravigliosa dell’origine del cuore, probabilmente anche vera, emerge la stupefacente analogia, rilevata dai biologi e dagli anatomici, già nella seconda metà dell’Ottocento. Nell’embrione di ogni essere vivente si ripete in pochi mesi tutta la storia dell’evoluzione del cuore, e le varie tappe presentano grande similitudine con quella compiuta, durante miliardi di anni dalla prima cellula acquatica contrattile per giungere al cuore. Comunque siano andate le cose, il risultato è stato meraviglioso e avevano ragione coloro che la considerano opera divina. Nel petto abbiamo una pompa che si contrae settanta volte al minuto e ogni giorno quindicimila litri di sangue, una pompa da dodici tonnellate. (?) Le moderne tecnologie non hanno fino ad oggi realizzato pompe comparabili al cuore, i pluridecennali progetti di un cuore artificiale per sostituire quello umano sono fino ad oggi limitati dall’impossibilità di disporre di una pompa di piccole dimensioni dotata di uguale forza. La proprietà ci contrarsi, automatica e ritmica, è identica per tutti i milioni di cellule del cuore. Il centro che regola il ritmo è formato da un gruppo di cellule specializzate, situate nell’atrio destro. Con regolarità, da queste cellule partono stimoli che si diffondono a tutto il cuore provocando la contrazione o sistole, che spinge il sangue a tutto l’organismo. Dopo che il cuore si è svuotato, inizia la fase di rilasciamento o diastole, durante la quale si riempie nuovamente di sangue. Le valvole fra una cavità e l’altra servono a regolare la direzione del flusso. Solo nel 1954 fu possibile capire da dove il cuore traesse tanta forza: come tutta l’energia necessaria ai processi vitali che avvengono sulla terra, anche quella utilizzata dal cuore ha origine dal sole. La fotosintesi è la prima tappa: l’energia luminosa assorbita dalla clorofilla, viene trasformata nell’energia chimica degli alimenti. Se la vegetazione dovesse scomparire cesserebbe ogni forma di vita.
La nascita del cuore (prima parte)