La fibrillazione atriale è un’aritmia molto comune. Il cuore, smette di battere in modo “ordinato”, così come dovrebbe in risposta alle esigenze dell’organismo, e invece a tratti va veloce, a tratti più lento, senza un ritmo regolare. E’ un’aritmia che può comparire anche in un cuore sano e giovane , ma più frequentemente si associa all’ipertensione, ad esempio, o ad altri problemi cardiologici.
Si tenta sempre di riportare il cuore al suo ritmo normale, ma, talvolta, non si riesce. Si tratta di un’aritmia “capricciosa” come sa bene chi, di tanto in tanto ne sperimenta la ricomparsa. Inoltre la fibrillazione atriale richiede l’assunzione di farmaci, alcuni proprio per il controllo del ritmo, altri per prevenire la formazione di coaguli del sangue assai pericolosi. Ma poiché l’aritmia è come si diceva “capricciosa”, da sempre gli studiosi cercano quali possano essere gli elementi scatenanti, così che ai malcapitati che ne sono affetti si possa dire “..eviti questo o quello e l’aritmia non tornerà.”
In novembre 2010 sull’ American Journal of Clinical Nutrition è stato pubblicato uno studio in cui è stato analizzato il possibile rapporto tra alcool, caffeina, fibre alimentari, acidi grassi polinsaturi (i PUFA, gli omega 3 del pesce) e la comparsa di fibrillazione atriale. Studi precedenti non hanno dato elementi conclusivi (i PUFA , ad esempio, sembravano avere un certo ruolo protettivo nei confronti del rischio di comparsa della fibrillazione atriale).
I ricercatori hanno seguito per 4 anni 4526 partecipanti al Framingham Heart Study, un grosso studio epidemiologico condotto nella cittadina di Framingham, che non avevano storia di aritmia da fibrillazione atriale. Durante il periodo di osservazione l’aritmia è comparsa in 296 pazienti (177 uomini e 119 donne) e, all’analisi multivariata, nessuno dei componenti della dieta analizzati è risultato in qualche modo associato al rischio di sviluppare fibrillazione atriale.
Molto curiosamente i ricercatori hanno osservato un possibile effetto avverso in chi assumeva almeno 4 volte a settimana pesce dalla carne “scura” (i dark fish degli americani, ossia tonno, sgombro, maccarello..) rispetto a chi lo consumava solo una volta. Ma solo 21 persone hanno dichiarato un consumo così elevato di questo tipo di pesce e sono stati rilevati 5 casi di fibrillazione atriale. L’osservazione potrebbe essere assolutamente “incidentale” e pertanto merita ulteriori considerazioni.
Per quel che riguarda gli omega 3 assunti in capsule (4 grammi al giorno per sei mesi, un dosaggio elevato), uno studio recente non ha dimostrato un’ evidente efficacia nei confronti delle recidive di fibrillazione atriale.
Fonte: Shen J et al. Dietary factors and incidental atrial fibrillation: The Framingham Heart Study. Am J Clin Nutr 2010 Nov 24
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma