L’ ACETAZOLAMIDE: UN’ARMA IN PIU’ NEL TRATTAMENTO DELLO SCOMPENSO CARDIACO ACUTO: LO STUDIO ADVOR
di Giuseppe Varricchio
06 Settembre 2022

L’aggiunta di acetazolamide alla terapia diuretica endovenosa riduce la congestione entro tre giorni nei pazienti con scompenso cardiaco congestizio acuto. Questi i risultati che emergono dal trial ADVOR (Acetazolamide in Decompensated Heart Failure With Volume OveRload)[1], presentato in occasione dell’ultimo Congresso della Società Europea di Cardiologia tenutosi nei giorni scorsi a Barcellona. 

Lo studio, con disegno multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, è stato condotto in Belgio e coordinato dal prof. Wilfried Mullens dell’Hospital Oost-Limburg. Sono stati arruolati 519 pazienti in terapia con diuretici orali da almeno un mese, ricoverati per scompenso cardiaco acuto con segni di congestione (edema, versamento pleurico o ascite) ed elevati livelli di peptidi natriuretici (NTproBNP ≥ 1000 pg/ml o NP≥ 250 p/ml). L’età media della popolazione in studio era di 78 anni, di cui il 37.4% donne, con LVEF media 43%. Dal trial sono stati esclusi soggetti in terapia con SGLT2i, con PAs< 90 mmHg e con grave insufficienza renale (eGFR< 20 mL/min/1.73m2). I pazienti sono stati randomizzati a ricevere acetazolamide endovena al dosaggio di 500 mg al giorno o placebo, in aggiunta a diuretici per via endovenosa.

L’endpoint primario del trial era costituito dalla decongestione, definita come l’assenza di segni di sovraccarico di volume, ottenuta entro 3 giorni dalla randomizzazione e senza indicazione all’escalation della terapia decongestionante. Tra gli endpoint secondari, troviamo invece un composito di morte per tutte le cause e riospedalizzazione per scompenso cardiaco durante i 3 mesi di follow-up.

Venendo ai risultati, l’endpoint primario si è verificato in ben il 42,2% (108 su 256) dei pazienti trattati con acetazolamide contro il 30,5% (79 su 259) del gruppo placebo (RR 1.46; CI 95%, 1.17 – 1.82; P: 0.0009). Alla dimissione, 190 su 241 nel gruppo acetazolamide (78,8%) e 145 su 232 nel gruppo placebo (62,5%) sono andati incontro a decongestione (RR 1,27; IC 95% 1,13–1,43; p=0,0001). L’outcome composito di morte per tutte le cause e riospedalizzazione entro 3 mesi per insufficienza cardiaca si è verificato nel 29,7% (76 su 256) dei soggetti del braccio acetazolamide e nel 27,8% (72 su 259) del braccio placebo (HR 1,07; CI 95%, 0,78-1,48). Interessanti anche i dati sulla durata delle ospedalizzazioni, che sono risultate più brevi nei pazienti trattati con acetazolamide rispetto ai pazienti del gruppo placebo (8,8 vs 9,9 giorni; p=0,0016). Per quanto concerne il profilo di sicurezza, non sono state registrate differenze significative tra i due gruppi in termini di incidenza di peggioramento della funzionalità renale, ipokaliemia, ipotensione ed eventi avversi.

Commento:

La terapia diuretica endovenosa rappresenta un punto fermo nel trattamento dello scompenso cardiaco acuto con sovraccarico di volume, come confermato dalla raccomandazione in Classe I delle linee guida europee[2]. L’acetazolamide, inibendo l’anidrasi carbonica a livello del tubulo contorto prossimale del nefrone, impedisce il riassorbimento di sodio e bicarbonato, aumentandone l’escrezione urinaria e, quindi, promuovendo la diuresi. In passato alcuni studi avevano dimostrato come una terapia di blocco sequenziale del nefrone realizzata mediante l’associazione tra acetazolamide e diuretico dell’ansa migliorasse la diuresi nei pazienti con scompenso [3, 4]. In questo scenario lo studio ADVOR, come dichiarato dallo stesso Mullens, rappresenta sicuramente il più ampio trial randomizzato mai eseguito sulla terapia diuretica nei pazienti con scompenso cardiaco acuto congestizio. I risultati dello studio sottolineano come i pazienti trattati con la terapia di associazione presentino una più efficace e rapida decongestione e vengano dimessi prima e con minori segni di sovraccarico di fluidi rispetto ai soggetti trattati con soli diuretici dell’ansa. Peraltro, i soggetti arruolati sembrerebbero condividere caratteristiche simili ai pazienti di comune riscontro nella popolazione “real word”, come l’età avanzata e le diverse comorbilità.

L’acetazolamide non ha evidenziato una riduzione degli endpoint “hard” al follow-up e non si può pertanto affermare che il farmaco in aggiunta alla terapia diuretica standard riduca la mortalità e le riospedalizzazioni per scompenso. Il dato non ci sorprende. Lo studio peraltro non sembra possedere  una numerosità adeguata per affrontare questo aspetto clinico.    Inoltre, dallo studio sono stati esclusi i pazienti in trattamento con SGLT2i, farmaci che agiscono nella porzione prossimale del nefrone e che negli ultimi anni sono entrati a far parte prepotentemente della terapia dello scompenso cardiaco. L’aceazolamide, comunque, dimostra di essere un’arma ulteriore che i cardiologi clinici possono utilizzare in un setting di complessa gestione come quello dello scompenso cardiaco acuto.

Bibliografia:

  1. Mullens, W., et al., Acetazolamide in Acute Decompensated Heart Failure with Volume Overload. N Engl Med, 2022.
  2.  McDonagh, T.A., et al., 2021 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure: Developed by the Task Force for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure of the European Society of Cardiology (ESC) With the special contribution of the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. European Heart Journal, 2021. 42(36): p. 3599-3726.
  3. Knauf, H. and E. Mutschler, Sequential nephron blockade breaks resistance to diuretics in edematous states. J Cardiovasc Pharmacol, 1997. 29(3): p. 367-72.
  4. Verbrugge, F.H., et al., Determinants and impact of the natriuretic response to diuretic therapy in heart failure with reduced ejection fraction and volume overload. Acta Cardiol, 2015. 70(3): p. 265-73.