L’aterosclerosi comincia a danneggiare le arterie fra i venti e i trent’anni, talvolta anche prima, anche se provoca le prime manifestazioni solo dopo molti anni.
La sua evoluzione avviene in tempi molto diversi da un individuo all’altro, in alcuni è lentissima in altri più rapida per il differente ruolo dei fattori ereditari e soprattutto dei così detti “fattori di rischio”. Anche le manifestazioni cliniche possono variare molto secondo l’arteria o le arterie colpite. Le localizzazioni più frequenti e precoci si hanno nelle coronarie, nelle arterie cerebrali e in quelle delle gambe.
Quando sono colpite le coronarie insorge la cardiopatia ischemica che si manifesta con quadri assai differenti: angina pectoris, infarto miocardico, aritmie, scompenso cardiocircolatorio, morte improvvisa. Quando l’aterosclerosi colpisce le arterie del cervello si ha perdita della memoria, cambiamento del carattere, decadimento intellettuale e ictus. L’ictus può essere dovuto sia alla rottura di una piccola arteria sia alla sua occlusione da parte di un trombo: le conseguenze sono identiche, paresi, paralisi, coma, morte secondo l’importanza dell’arteria colpita.
Quando l’aterosclerosi è localizzata alle arterie della gamba si ha la claudicazione intermittente, caratterizzata da crampi muscolari che insorgono al polpaccio durante il cammino e regrediscono rapidamente quando l’ammalato si ferma. Se la lesione arteriosa si complica con un trombo occludente può aversi la gangrena al piede. Qualunque sia la localizzazione dell’arteria colpita le lesioni provocate dall’aterosclerosi sono identiche e possono essere distinte in tre tipi di gravità crescente che vanno dalle strie lipidiche, cioè l’infarcimento di colesterolo dello strato interno dell’arteria, la placca aterosclerotica e la placca aterosclerotica complicata da emorragie, calcificazione o trombosi. Le strie lipidiche possono essere osservate già in giovane età, sono reversibili in genere con la sola restrizione dei grassi della dieta; anche se probabile, non è certo che rappresentino obbligatoriamente la tappa iniziale dell’aterosclerosi. La trombosi che ostruisce l’arteria è dovuta al depositarsi di fibrina, globuli rossi e piastrine. Le piastrine sono piccolissime cellule del sangue che rivestono una funzione molto importante nei processi della coagulazione.
La loro tendenza ad aggregarsi ha finalità emostatiche: il trombo che si forma in un’arteria o in una vena lesa è provvidenziale perché arresta l’emorragia e impedisce l’ulteriore perdita di sangue. Senza piastrine non si ha la formazione del trombo: vi sono gravi malattie emorragiche causate dalla scarsità o dalla mancanza di piastrine.
Il trombo non è in questo caso una malattia, ma un utile evento fisiologico, il tappo che arresta l’emorragia.
Le piastrine circolanti nel sangue non aderiscono alle pareti dell’arteria quando questa è normale, si depositano invece nei punti in cui l’endotelio, lo strato interno dell’arteria, è alterato e possono provocare la formazione di un trombo: in questo caso il tappo non solo non è di nessuna utilità, ma diventa nocivo perché restringe il lume del vaso sanguigno fino ad ostruirlo impedendo la circolazione del sangue. I fattori che danneggiano l’endotelio sono assai numerosi, oltre a quelli genetici insiti nelle cellule endoteliali, ve ne sono di ormonali, tossici, fisici, infettivi ed altri ancora. Primeggiano l’eccesso di colesterolo, il fumo, la pressione arteriosa alta: la lesione della parete fa sì che un processo normale qual è la formazione del trombo diventi un evento patologico pericoloso.
Di recente è stato visto che le piastrine hanno importanti responsabilità non solo nel causare la trombosi, ma anche nel favorire l’aterosclerosi, molto probabilmente fin dalle fasi iniziali. L’eccesso di colesterolo del sangue, che ha gravi responsabilità nel danneggiare la parete arteriosa, modifica anche la funzione delle piastrine accrescendo l’adesività alle pareti e la tendenza ad aggregarsi fra loro. Le piastrine non producono colesterolo, ne contengono una quantità che è proporzionale a quella del sangue. L’eccesso di colesterolo nelle piastrine modifica le loro caratteristiche esaltando abnormemente la tendenza ad aggregarsi e a provocare trombosi. L’aterosclerosi che colpisce le coronarie causa l’angina pectoris e l’infarto del miocardio.
Anche se legata ufficialmente ai nomi di Charcot, Winiwarter e Bürger dai quali questo sintomo prese il nome, la claudicazione intermittente fu osservata per la prima volta in un cavallo dal veterinario parigino Bouley che presentò, nel 1831, le sue osservazioni all’Accademia Reale di Medicina. Bouley, chiamato a visitare una giumenta di sei anni che improvvisamente si era messa a zoppicare con la zampa posteriore destra, tentò diversi trattamenti con alcool canforato senza esiti. Egli notò tuttavia che la zoppia del cavallo insorgeva dopo dieci minuti di trotto e che ne erano colpite le due zampe posteriori le quali, dopo sforzo, erano fredde e senza forza. All’esame autoptico eseguido dopo qualche mese alla morte della giumenta, il veterinario notò che le masse muscolari erano pallide ed ipotrofiche e l’arteria femorale destra era ostruita da un trombo di circa 18 centimeti di lunghezza. Nelle osservazioni di Bouley troviamo riassunti tutti i caratteri della claudicazione intermittente ad eccezione naturalmente di quelli soggettivi relativi al tipo di dolore.