Negli ultimi anni l’inquinamento atmosferico sta richiamando l’attenzione dei ricercatori: diversi studi infatti, sia sperimentali che clinici, hanno evidenziato effetti dannosi multisistemici dell’inquinamento atmosferico, in particolar modo sull’apparato cardiovascolare.
Budassi: Qual è l’elemento atmosferico maggiormente correlato, secondo le attuali evidenze, all’insorgenza di eventi cardiovascolari maggiori?
De Caterina: Il particolato fine è la principale componente dell’inquinamento atmosferico che causa malattie cardiovascolari. Ad oggi, sia l’esposizione a breve termine – ore o giorni – sia l’esposizione a lungo termine – anni o decadi –, si sono dimostrate associate direttamente o indirettamente al rischio di malattia coronarica. Infatti, mentre diversi studi prospettici di coorte hanno evidenziato come l’esposizione prolungata al PM2.5 si associava allo sviluppo di aterosclerosi e di fattori di rischio cardio-metabolici quali ipertensione arteriosa e diabete mellito, l’esposizione a breve termine al PM2.5 si è dimostrata un trigger per eventi coronarici acuti1.
Budassi: Il rischio di sviluppare un evento coronarico acuto correlato all’inquinamento atmosferico è diverso in un paziente sano rispetto ad uno con malattia coronarica preesistente?
De Caterina: dati recenti supportano l’ipotesi secondo la quale i pazienti con malattia coronarica preesistente siano effettivamente a maggior rischio di sperimentare eventi coronarici acuti rispetto ai soggetti sani dopo esposizione di breve durata a più alte concentrazioni di inquinanti atmosferici. In particolar modo, secondo uno studio recente, nei soggetti con malattia coronarica preesistente l’esposizione ad alte concentrazioni di particolato fine può fungere da evento scatenante per eventi coronarici acuti, con un rischio maggiore per l’infarto con sopraslivellamento del tratto ST (ST elevation myocardial infarction, STEMI), per gli infarti acuti senza sopraslivellamento del tratto ST (non-ST elevation acute myocardial infarction, NSTEMI) e anche per l’angina instabile. Questo aumento del rischio non si osservava tuttavia nei soggetti senza malattia coronarica preesistente2.
Budassi: Quali sono i meccanismi fisiopatologici per i quali l’inquinamento atmosferico condiziona l’occorrenza di eventi cardiovascolari?
De Caterina: sono molteplici, complessi e interdipendenti. Si ipotizza che gli inquinanti causino in primis aumentato stress-ossidativo e infiammazione a livello polmonare. Le citochine pro-infiammatorie e le specie reattive dell’ossigeno generate a livello polmonare possono influenzare l’origine, l’evoluzione e le caratteristiche delle placche aterosclerotiche coronariche attraverso una risposta infiammatoria sistemica, la disfunzione endoteliale e l’attivazione protrombotica. Sono stati evidenziati inoltre fenomeni di disregolazione autonomica. La risposta infiammatoria sistemica e la disregolazione autonomica sono anche il substrato per lo sviluppo di fattori di rischio cardio-metabolici. L’insieme di questi meccanismi fisiopatologici condiziona l’evoluzione dei fenomeni aterotrombotici attraverso la progressione, l’instabilizzazione e la rottura di placca, rappresentando pertanto il substrato per lo sviluppo delle sindromi coronariche acute3.
Budassi: In che modo l’inquinamento atmosferico agisce favorendo i fenomeni trombotici?
De Caterina: L’esposizione ad alte concentrazioni di PM2.5 si è dimostrata essere associata ad alte concentrazioni plasmatiche di marcatori di ipercoagulabilità, quali fibrinogeno e D-dimero, e ad aumentata formazione di trombina. Da un punto di vista fisiopatologico è stato evidenziato come i fenomeni di attivazione piastrinica derivanti dall’inalazione del particolato siano determinati sia dal contatto diretto delle piastrine con il particolato assorbito che dai mediatori pro-infiammatori rilasciati nella circolazione sistemica dall’endotelio polmonare infiammato4.
Budassi: Più specificatamente, quali sono i fenomeni di disregolazione autonomica coinvolti nella patogenesi degli eventi cardiovascolari correlati all’inquinamento atmosferico?
De Caterina: le fibre nervose di tipo C nasali, bronchiali e polmonari, dopo inalazione del particolato, determinano uno squilibrio del sistema simpatico-vagale a favore del primo. A tal proposito, Numerosi studi osservazionali hanno valutato l’associazione tra l’esposizione al PM e la variabilità della frequenza cardiaca (heart rate variability, HRV), marcatore quest’ultimo di disfunzione autonomica. Nel complesso, le evidenze fin qui ottenute mostrano come tale esposizione determini un aumento della frequenza cardiaca e una riduzione dell’HRV5.
Budassi: Che nesso esiste attualmente tra inquinamento e fattori di rischio cardio-metabolici?
De Caterina: Esiste una relazione bidirezionale tra inquinamento atmosferico e fattori di rischio cardiovascolari (CV). In effetti, se da una parte i soggetti con fattori di rischio tradizionali sono a più alto rischio di sviluppare eventi CV dopo l’esposizione al particolato, dall’altra gli inquinanti atmosferici possono promuovere lo sviluppo di questi fattori di rischio. In particolare, Numerose evidenze hanno dimostrato infatti come l’inquinamento atmosferico sia implicato nello sviluppo di fattori di rischio cardio-metabolici quali ipertensione arteriosa e insulino-resistenza 3,6.
Budassi: Che evidenze esistono attualmente in merito all’impatto dell’inquinamento atmosferico sullo stato flogistico delle placche ateromasiche?
De Caterina: Nel 2021 Abohashem et al. hanno dimostrato per la prima volta nell’uomo come l’inquinamento atmosferico aumenti la leucopoiesi e l’infiammazione a livello delle placche aterosclerotiche, e come questo risulti associato direttamente e indipendentemente con gli eventi avversi cardiovascolari maggiori. In questo studio i ricercatori hanno ipotizzato pertanto l’esistenza di un “asse leucopoietico-arterioso” come meccanismo fisiopatologico sottostante. Più specificatamente, I risultati dello studio hanno evidenziato un’associazione significativa tra più alti livelli di particolato fine e l’aumento della leucopoiesi e dell’aterosclerosi. In aggiunta, ad un follow-up medio di 4.1 anni, i più alti livelli di PM2.5 risultavano addirittura predittivi di eventi CV maggiori e che questo aumento del 30% fosse correlato all’aumentata attività leucopoietica e all’infiammazione vascolare 7.
Bibliografia:
- Mannucci PM. Air pollution levels and cardiovascular health: Low is not enough. Eur J Prev Cardiol 2017;24:1851-1853.
- Pope CA, Muhlestein JB, Anderson JL, Cannon JB, Hales NM, Meredith KG, et al. Short-Term Exposure to Fine Particulate Matter Air Pollution Is Preferentially Associated With the Risk of ST-Segment Elevation Acute Coronary Events. J Am Heart Assoc 2015;4.
- Rajagopalan S, Al-Kindi SG, Brook RD. Air Pollution and Cardiovascular Disease: JACC State-of-the-Art Review. J Am Coll Cardiol 2018;72:2054-2070.
- Newby DE, Mannucci PM, Tell GS, Baccarelli AA, Brook RD, Donaldson K, et al. Expert position paper on air pollution and cardiovascular disease. Eur Heart J 2015;36:83-93b.
- Campen MJ, Costa DL, Watkinson WP. Cardiac and Thermoregulatory Toxicity of Residual Oil Fly Ash in Cardiopulmonary-Compromised Rats. Inhal Toxicol 2000;12 Suppl 2:7-22.
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- Abohashem S, Osborne MT, Dar T, Naddaf N, Abbasi T, Ghoneem A, et al. A leucopoietic-arterial axis underlying the link between ambient air pollution and cardiovascular disease in humans. Eur Heart J 2021;42:761-772.