Inibitori della PCSK9 nello Scompenso Cardiaco: One Size Does Not Fill All
di Vittoria Rizzello
10 Maggio 2022

In un recente lavoro pubblicato su European Heart Journal (1), White HD e coll hanno dimostrato che nei pazienti con scompenso cardiaco (SC), alirocumab non riduce gli eventi cardiovascolari maggiori (MACE), nonostante induca una riduzione del colesterolo-LDL significativa ed analoga a quella osservata nei pazienti senza SC.  

A questa conclusione sono giunti attraverso una post-hoc analisi dello studio ODYSSEY OUTCOMES che ha randomizzato 18.924 pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) recente (da 1 a 12 mesi) ad alirocumab o placebo (2). Di questi pazienti, 2815 (15%) avevano una storia di SC, definita sulla base della documentazione clinica dei pazienti. Purtroppo, nello studio non era prevista una caratterizzazione dei pazienti in base alla frazione di eiezione del ventricolo sin (FEVsin) e allo stadio o all’eziologia dello SC. L’eziologia era supposta ischemica nel 50% circa dei pazienti con SC vs il 38% dei pz senza SC (sulla base della presenza di una stenosi coronarica >70%, di un pregresso infarto e/o pregressa rivascolarizzazione coronarica).

Rispetto ai pazienti senza SC, i pazienti con storia di SC erano più anziani, più frequentemente di razza bianca, donne, e arruolati nell’Europa dell’Est; inoltre avevano più elevati livelli basali di LDL-colesterolo, più frequentemente diabete, ipertensione, fibrillazione atriale, insufficienza renale cronica, pregresso infarto miocardico/stroke e  pregresse procedure di rivascolarizzazione, ma meno frequentemente erano stati sottoposti a rivascolarizzazione durante il ricovero indice della SCA.

Nei pazienti con SC, alirocumab non riduceva significativamente, oltre alla totalità dei MACE, neppure le ospedalizzazioni per SC e la mortalità totale (entrambi end-point secondari pre-specificati  del trial), come anche i singoli componenti dell’end-point primario di morte cardiovascolare e  stroke ischemico fatale e non fatale. Tale insuccesso era anche confermato nei pazienti in cui era presunta un’eziologia ischemica dello SC. Per quanto riguarda l’infarto non fatale, nei pazienti con SC randomizzati ad alirocumab è stato documentato un incremento significativo vs placebo (HR 1.30; 95%IC 1.02-1.64; P=0.032), imputabile prevalentemente a una maggiore percentuale di infarti tipo-2 rispetto ai pazienti senza SC (28% vs 15%).

Considerazioni.

Lo studio di White e coll chiarisce molto bene come l’effetto positivo di alirocumab nei pazienti con recente SCA, documentato nello studio ODYSSEY OUTCOMES, sia principalmente rappresentato da una riduzione significativa dei MACE totali,  delle singole componenti dell’end-point primario e della mortalità per tutte le cause nei pazienti senza storia di SC, mentre nei pazienti con storia di SC la riduzione di LDL-colesterolo, per quanto ottimale, non è sufficiente a ottenere un effetto positivo sull’outcome di questi pazienti.

Questi risultati sono in linea con l’analogo insuccesso dimostrato nei pazienti con SC dalle statine negli storici studi GISSI-HF (Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Insufficienza Cardiaca-Heart Failure) e CORONA (COntrolled ROsuvastatin multiNAtional Trial in Heart Failure) 3-4). 

Benchè tali risultati possano sembrare sorprendenti, data l’elevata prevalenza dell’origine ischemica dello SC, è importante riconoscere che nei pazienti con SC i meccanismi fisiopatologici coinvolti sono molteplici e complessi, i fenotipi clinici sono estremamente eterogenei e i determinanti prognostici sono tipicamente correlati alla performance cardiaca, al rimodellamento ventricolare, alla concomitante attivazione neuro-ormonale, nonchè alle comorbidità. E’ pertanto improbabile che un intervento mirato alla riduzione (seppur drastica) di un parametro implicato esclusivamente nello sviluppo di aterosclerosi, possa ottenere, in una popolazione così complessa ed eterogenea, un’efficacia clinica rilevante. D’altro canto, nei pazienti con SC, in particolare quelli con ridotta FEVsin,  la causa della morte frequentemente non è rappresenta da eventi ischemici ma da eventi aritmici, shock cardiogeno e dissociazione elettromeccanica, spesso non precipitati da una causa ischemica scatenante. Tali eventi, secondo quanto proposto da Milton Packer in una Clinical Review già commentata su questo sito (maggio 2020), sono attribuibili alla destabilizzazione della “self-organizing criticality” intrinseca al rimodellamento Vsin. In effetti, i trial che hanno utilizzato strategie terapeutiche in grado di interrompere o rallentare il processo di rimodellamento hanno dimostrato di ridurre in maniera significativa la mortalità (anche aritmica)  dei pazienti con SC (5).

Un altro risultato dello studio di White e coll che merita attenzione è il riscontro di un aumentato rischio di infarto miocardico non fatale. Tale risultato va interpretato con cautela perché potrebbe far presumere un impatto dannoso di alirocumab che appare difficilmente spiegabile. In effetti, l’incremento di infarto non fatale è stato determinato da un incremento di infarti tipo-2, i cui meccanismi eziopatogenetici possono essere eterogenei e non necessariamente ischemici. Inoltre,  in particolare nei pazienti con SC la diagnosi di infarto tipo-2 può essere particolarmente difficile e pertanto tale dato appare poco verosimile.

Ovviamente, i dati di White e coll, rappresentando un’analisi post-hoc del trial ODYSSEY-OUTCOMES non può essere considerati come una dimostrazione certa dell’inefficacia degli  inibitori della PCSK-9 nei pazienti con SC. Sono, pertanto, auspicabili trial  randomizzati in cui l’effetto di tali farmaci sia valutato in pazienti con SC stratificati in base alla frazione di eiezione, allo stadio e all’eziologia  dello SC, al fine di valutare l’esistenza di un reale beneficio in alcune popolazioni specifiche di pazienti con SC. Lo studio pilota EVO-HF, attualmente in corso, potrà aggiungere evidenze sull’utilizzo di evelocumab nei pazienti con SC a ridotta FEVsin.

REFERENCES

  1. White HD, Schwartz GG, Szarek M, Bhatt DL, Bittner VA, Chiang CE, Diaz R, Goodman SG, Jukema JW, Loy M, Pagidipati N, Pordy R, Ristić AD, Zeiher AM, Wojdyla DM, Steg PG; ODYSSEY OUTCOMES Investigators. Alirocumab after acute coronary syndrome in patients with a history of heart failure. Eur Heart J. 2022;43:1554-1565.
  2. Schwartz GG, Steg PG, Szarek M, Bhatt DL, Bittner VA, Diaz R, Edelberg JM, Goodman SG, Hanotin C, Harrington RA, Jukema JW, Lecorps G, Mahaffey KW, Moryusef A, Pordy R, Quintero K, Roe MT, Sasiela WJ, Tamby JF, Tricoci P, White HD, Zeiher AM; ODYSSEY OUTCOMES Committees and Investigators. Alirocumab and Cardiovascular Outcomes after Acute Coronary Syndrome. N Engl J Med. 2018;379:2097-2107.
  3. Tavazzi L, Maggioni AP, Marchioli R, Barlera S, Franzosi MG, Latini R, Lucci D, Nicolosi GL, Porcu M, Tognoni G; Gissi-HF Investigators. Effect of rosuvastatin in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet. 2008;372:1231-9.
  4. Kjekshus J, Apetrei E, Barrios V, Böhm M, Cleland JG, Cornel JH, Dunselman P, Fonseca C, Goudev A, Grande P, Gullestad L, Hjalmarson A, Hradec J, Jánosi A, Kamenský G, Komajda M, Korewicki J, Kuusi T, Mach F, Mareev V, McMurray JJ, Ranjith N, Schaufelberger M, Vanhaecke J, van Veldhuisen DJ, Waagstein F, Wedel H, Wikstrand J; CORONA Group. Rosuvastatin in older patients with systolic heart failure. N Engl J Med. 2007;357:2248-61.
  5. Packer M. What causes sudden death in ptients with chronic heart failure and a reduced ejection fraction ? European Heart J 2020 41:1757-1763