Impiego precoce di Impella nello shock cardiogeno: i risultati del DanGer Shock trial
di Laura Gatto
11 Aprile 2024

L’impiego precoce di Impella nei pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) complicato da shock cardiogeno migliora l’outcome in termini di riduzione della mortalità per tutte le cause a 180 giorni: sono questi i risultati principali del DanGer (Danish–German Cardiogenic Shock) Shock Trial, presentati durante l’ultimo congresso dell’American College of Cardiology e contestualmente pubblicati sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine [1].

L’Impella è un sistema di supporto al circolo, rappresentato da una pompa a flusso microassiale, posizionata per via percutanea, che drena il sangue dal ventricolo sinistro nell’aorta ascendente. Il device più comunemente impiegato nella pratica clinica è l’Impella CP che consente un adeguato unloading del ventricolo sinistro, garantendo una portata di circa 3-4 litri/minuto [2].

Il DanGer è stato uno studio multicentrico, randomizzato ed open label condotto in centri tedeschi, danesi ed inglesi, il cui arruolamento è iniziato nel 2013 ed è durato per circa dieci anni, condotto con l’ipotesi che l’uso routinario e precoce di Impella nei pazienti con shock cardiogeno da STEMI si traducesse in un beneficio di mortalità rispetto alle terapie standard.

Sono stati considerati eleggibili all’arruolamento pazienti con età 18 anni, STEMI e shock cardiogeno. Lo shock cardiogeno è stato definito come la presenza di ipotensione (pressione sistolica inferiore a 100 mmHg o necessità di supporto vasopressorio), ipoperfusione d’organo testimoniata da livelli di lattati arteriosi ≥ 2,5 mmol/litro ed una frazione di eiezione del ventricolo sinistro < 45%. Sono stati esclusi pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero rianimato ma in coma all’arrivo nel laboratorio di emodinamica e quelli con insufficienza ventricolare destra.

I pazienti potevano essere randomizzati in sala di emodinamica (prima o dopo la procedura di rivascolarizzazione) oppure fino a 12 ore dopo a seconda di quando veniva diagnosticato lo shock cardiogeno. In ciascun gruppo veniva eseguita la procedura di rivascolarizzazione e, se indicato, si iniziava un supporto pressorio di tipo farmacologico. Nel gruppo Impella, il dispositivo doveva essere posizionato immediatamente dopo la randomizzazione e funzionare al massimo livello di prestazione per almeno 48 ore, salvo complicanze. In caso di instabilità emodinamica, il trattamento poteva essere intensificato con il ricorso ad un ulteriore sistema di supporto meccanico al circolo in entrambi i gruppi. Nel braccio impella, il trattamento poteva essere upgradato con l’impianto di un dispositivo Impella 5.0 Impella RP o con l’impianto dell’ECMO. Nel gruppo terapia standard, si raccomandava soprattutto l’impiego dell’ECMO, sebbene fosse consentito l’impianto dell’Impella 5.0. Al contrario, il ricorso all’Impella CP in questo gruppo veniva considerato come un cross-over e quindi una violazione del protocollo [3-4].

Come endpoint primario dello studio si è considerato la mortalità per qualsiasi causa a 180 giorni. Il primo endpoint secondario è stato l’upgrade ad un supporto circolatorio meccanico aggiuntivo (a breve o lungo termine), il trapianto di cuore o la morte per qualsiasi causa. Il secondo endpoint secondario è stato il numero di giorni trascorsi vivi e fuori dall’ospedale, calcolato come il numero di giorni trascorsi tra la dimissione e la morte o la chiusura dei dati a 180 giorni meno il numero di giorni di ricovero in caso di riammissione dopo la dimissione. Gli eventi avversi hanno contemplato i sanguinamenti moderati o severi secondo la classificazione GUSTO [5], l’ischemia degli arti inferiori, l’ictus, la necessità di terapia renale sostitutiva, la sepsi con emocolture positive. Un endpoint composito di sicurezza ha incluso il sanguinamento grave, l’ischemia degli arti, l’emolisi, il malfunzionamento del dispositivo ed il peggioramento dell’insufficienza aortica.

Dal gennaio 2013 al luglio 2023, un totale di 1211 pazienti è stato sottoposto a screening e 360 pazienti sono stati arruolati in 14 centri: 4 centri in Danimarca (215 pazienti), 9 in Germania (135 pazienti) e 1 nel Regno Unito (10 pazienti). Cinque pazienti sono stati esclusi dopo la randomizzazione, pertanto la popolazione definitiva dello studio ha coinvolto 355 pazienti: 179 randomizzati ad Impella e 176 randomizzati a terapia standard. La randomizzazione è stata effettuata prima della rivascolarizzazione in 201 pazienti (56,6%); nel laboratorio di emodinamica ma dopo la rivascolarizzazione in 96 pazienti (27,0%) e dopo la dimissione dalla sala di emodinamica in 58 pazienti (16,3%). Le caratteristiche dei pazienti sono risultate ben bilanciate tra i gruppi dello studio: l’età media è stata di 67 anni con il 79,2% di uomini. Il livello medio di lattati è risultato 4,5 mmol/litro, la pressione sistolica media è stata di 82 mmHg e la frazione di eiezione del ventricolo sinistro media era del 25%.

L’angioplastica coronarica del vaso “culprit” è stata eseguita in 343 pazienti (96,6%), mentre la rivascolarizzazione chirurgica d’emergenza è stata effettuata in 5 soggetti. Tra i 179 pazienti assegnati al gruppo Impella, il dispositivo è stato posizionato con successo nella maggior parte dei casi (170, 95%); in 6 pazienti, invece, il posizionamento è stato tentato ma senza successo; per tre pazienti si è deciso di continuare con la sola terapia standard. In questo gruppo, inoltre, il trattamento è stato potenziato con il ricorso ad un altro sistema di supporto in 28 pazienti (15,6%). Nel gruppo terapia standard, 3 pazienti hanno fatto il cross-over
ed il trattamento è stato potenziato con l’impianto di un altro sistema di supporto in 37 pazienti (21,0%).

In merito ai risultati, l’endpoint primario morte per qualsiasi causa a 180 giorni si è verificato in 82 pazienti (45,8%) del gruppo Impella ed in 103 (58,5%) del gruppo terapia standard (HR 0,74; 95% CI 0,55 -0,99; P= 0,04) con un “number needed to treat pari ad otto”. L’analisi dei sottogruppi ha mostrato un beneficio maggiore nel sottogruppo di pazienti con malattia coronarica multivasale ed in quelli con ipotensione più marcata al momento della randomizzazione. Un evento contemplato negli endpoint secondari si è verificato, invece, in 94 pazienti (52,5%) del braccio Impella ed in 112 pazienti (63,6%) del braccio terapia standard (HR 0,72). Il numero medio di giorni di vita fuori dall’ospedale è stato di 82 nel gruppo Impella e di 73 nel gruppo terapia standard.

Un evento relativo alla sicurezza si è registrato in 43 pazienti (24,0%) del gruppo Impella e in 11 pazienti (6,2%) del gruppo standard (HR 4,74) con un” number needed to harm” pari a sei. Il rischio relativo (gruppo Impella vs. gruppo terapia standard) di sanguinamento moderato/grave è stato di 2.06; di ischemia agli arti di 5.15; di terapia renale sostitutiva di 1.98 e di sepsi con emocoltura positiva di 2.79.

Gli autori del trial hanno quindi concluso che l’impiego precoce di Impella in pazienti con STEMI complicato da shock cardiogeno riduce in maniera significativa la mortalità a 30 giorni, a fronte, tuttavia, di un incremento delle complicanze legate all’impianto del device. La pubblicazione di questo studio porta a fare alcune considerazioni: lo shock cardiogeno rimane una condizione gravata da una mortalità elevatissima e l’ideazione e la conduzione di un trial clinico in questo setting rappresenta, ancora, una grande sfida della cardiologia moderna, basti solo pensare che l’arruolamento ha richiesto dieci anni, un periodo di tempo lunghissimo ma in cui, fondamentalmente, la gestione dello shock non è cambiata. Il trial presenta alcuni limiti, ma secondo me va sottolineato come, dopo una serie di risultati deludenti, il DanGer ha il grosso merito di essere stato il primo studio ad avere dimostrato nello shock cardiogeno un beneficio dell’impiego dei sistemi di supporto al circolo nonostante l’inclusione di una popolazione abbastanza compromessa. Rimangono, a mio avviso, alcuni punti fondamentali: la diagnosi di shock cardiogeno deve essere fatta il più precocemente possibile e la gestione deve essere affidata ad un team multidisciplinare che sia in grado di prevenire e di gestire anche le complicanze non solo legate alla patologia ma anche all’impiego dei device di supporto al circolo.

Bibliografia di riferimento:

  1. J E. Møller, T Engstrøm, Li O. Jensen , et al,. Microaxial Flow Pump or Standard Care in Infarct-Related Cardiogenic Shock. New England Journal of Medicine DOI: 10.1056/NEJMoa2312572
  2. Salter BS, Gross CR, Weiner MM, et al. Temporary mechanical circulatory support devices: practical considerations for all stakeholders. Nat Rev Cardiol 2023; 20: 263-77.
  3. Udesen NJ, Moller JE, Lindholm MG, et al. Rationale and design of DanGer Shock: Danish-German cardiogenic shock trial. Am Heart J 2019; 214: 60-8.
  4. Moller JE, Gerke O, DanGer Shock Investigators. Danish-German cardiogenic shock trial — DanGer shock: trial design update. Am Heart J 2023; 255: 90-3.
  5. The GUSTO Investigators. An international randomized trial comparing four thrombolytic strategies for acute myocardial infarction. N Engl J Med 1993; 329: 673-82