Impiego dei diuretici nello  scompenso cardiaco acuto. Il concetto di “golden hour” non funziona nello studio  FAST-FURO.
di Laura Gatto
15 Febbraio 2021

La ritenzione di liquidi gioca sicuramente un ruolo chiave nella fisiopatologia dello scompenso cardiaco acuto e la riduzione del sovraccarico di volume rappresenta uno dei cardini del trattamento. Nella pratica clinica i diuretici, ed in modo particolare quelli che agiscono sull’ansa come la furosemide, sono i farmaci più comunemente impiegati per raggiungere tale obiettivo anche grazie alle raccomandazioni delle linee guida della Società Europea di Cardiologia che li pongono in classe 1B [1]. Tuttavia, nonostante sia stato ampiamente dimostrato che il trattamento con furosemide sia in grado di promuovere la diuresi, la natriuresi e la riduzione del peso con conseguente miglioramento dei sintomi legati allo scompenso cardiaco, non ci sono in letteratura chiare dimostrazioni che tale terapia sia in grado di ridurre la mortalità.

Sull’ultimo numero dell’European Heart Journal of Acute Cardiovascular Care sono stati pubblicati i risultati del FAST-FURO trial [2], una sottoanalisi dell’EAHFE registry (Epidemiology of Acute Heart Failure in Emergency Departments). Si tratta di un registro iniziato nel 2007 e caratterizzato da brevi periodi di reclutamento di 1-2 mesi,  che venivano effettuati ad intervalli di 2-3 anni. I pazienti reclutati presentavano un ricovero per scompenso cardiaco presso Dipartimenti di Emergenza di ospedali spagnoli. Ad oggi tale registro ha visto sei diverse fasi di arruolamento (2007, 2009, 2011, 2014, 2016 e 2018) con un totale di 18370 pazienti. Il criterio principale di inclusione è stata la diagnosi clinica di scompenso cardiaco basata sui criteri di Framingham e se possibile confermata dalla misurazione plasmatica dei livelli di BNP e da reperti ecocardiografici. Il principale criterio di esclusione dal registro è stata invece la disfunzione acuta del ventricolo sinistro come complicanza dell’infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST [3].

La sottoanalisi del FAST-FURO escludeva i pazienti che non avevano ricevuto durante il ricovero terapia diuretica. Infatti il disegno dello studio prevedeva la suddivisione in due gruppi a seconda della tempistica di somministrazione della prima dose di diuretico. Il gruppo FAST-FURO ha coinvolto i soggetti che hanno ricevuto la prima somministrazione di furosemide ev, precocemente (entro 60 minuti), in un setting preospedaliero; al contrario, nel gruppo CONTROLLO sono stati inseriti tutti i pazienti diuretizzati dopo l’arrivo in Pronto Soccorso. La severità degli episodi di scompenso cardiaco è stata valutata utilizzando il MEESSI-AHF score, che include 13 variabili, considerate predittori di alto rischio e valutate durante l’iniziale osservazione in Pronto Soccorso: età, sindrome coronarica acuta come fattore precipitante l’episodio di scompenso, pressione arteriosa sistolica, saturazione di ossigeno, segni e sintomi di bassa gittata, valori ematici di creatinina, potassio, troponina, NT-pro BNP, presenza di criteri elettrocardiografici di ipertrofia ventricolare, indice di Barthel e classe NYHA. Il MEESSI-AHF score si è rivelato utile nella stratificazione dei pazienti in quattro differenti classi di rischio di mortalità a 30 giorni (rischio basso, intermedio, alto e molto alto) ed è stato precedentemente validato in studi internazionali [4].

Il trial ha preso in considerazione tre outcome principali: mortalità per tutte le cause intraospedaliera,  mortalità per tutte le cause a 30 giorni e necessità di ospedalizzazione prolungata (definita come una durata del ricovero > 10 giorni).

Tra i pazienti arruolati nel registro EAHFE, 12595 hanno soddisfatto i criteri per essere inclusi nell’analisi dello studio FAST-FURO: 683 pazienti (5.4%) sono stati trattati con furosemide in un setting preospedaliero, al contrario i rimanenti 11912 (94.6%) hanno ricevuto il diuretico nel Dipartimento di Emergenza. Per quanto riguarda le principali caratteristiche cliniche: l’età media è stata di 83 anni ed il 42,8% dei soggetti erano di sesso maschile. In generale si tratta di una popolazione con un alto tasso di comorbidità: un indice di Barthel ≤ 90 era presente in circa il 60% dei casi, una classe NYHA III o IV veniva riportata in circa un quarto dei pazienti e lo scompenso cardiaco a frazione d’eiezione preservata era la forma predominante (circa 2/3 dei casi). Il trattamento cronico con beta-bloccanti, inibitori del sistema renina-angiotensina ed antagonisti dell’aldosterone era effettuato rispettivamente nel 45%, 56% e 16% dei pazienti. Inoltre il  75% dei pazienti era in terapia domiciliare con diuretici. Tra i due gruppi erano presenti delle differenze: i pazienti del gruppo trattato con furosemide in un setting preospedaliero presentavano una più alta incidenza di diabete mellito, cardiopatia ischemica e vascolopatia periferica ed una più bassa incidenza di fibrillazione atriale; inoltre presentavano più frequentemente una disfunzione diastolica ed una migliore classe NYHA al basale. Per quanto riguarda invece la gravità dello scompenso cardiaco: circa il 30% dei soggetti trattati precocemente con diuretici sono stati classificati con un MESSI-AHF score alto o molto alto, rispetto al solo 20% dei pazienti del gruppo controllo.

Per quanto riguarda i risultati iniziali: la mortalità intraospedaliera è stata in generale del 7.7% (968 pazienti), più frequente nel gruppo trattato precocemente in ambito pre-ospedaliero (70 pazienti, 10.3%) rispetto al gruppo controllo (898 pazienti, 7.5%) [OR (Odds ratio)= 1.403, 95% CI (Intervallo di Confidenza)= 1.085–1.81; 3 P= 0.009]. La mortalità a 30 giorni è stata del 10.2% (1269 pazienti), anche in questo caso più frequente nel gruppo furosemide in un setting preospedaliero (91 pazienti, 13.4%) rispetto al gruppo controllo (1178 pazienti, 10%) [OR= 1.403, 95% CI=1.146–1.764; P= 0.004]. Le ospedalizzazioni prolungate (> 10 giorni) hanno riguardato 2844 pazienti (22.8%), ancora una volta con una più alta incidenza nel gruppo trattato precocemente in ambito pre-ospedaliero (175 pazienti, 25.8%) rispetto ai pazienti trattati più tardivamente in pronto soccorso (2669 pazienti, 22.7%) [OR= 1.189, 95% CI = 0.995–1.419; P= 0.056].

Anche dopo la revisione statistica con aggiustamento delle principali differenze tra i due gruppi, il trattamento precoce con furosemide ev non si è dimostrato in grado di impattare positivamente sugli outcome a breve termine: OR= 1.080 (95% CI = 0.817–1.427) per la mortalità intraospedaliera, OR= 1.086 (95% CI = 0.845–1.396) per la mortalità a 30 giorni e OR= 1.095 (95% CI = 0.915–1.312) per le ospedalizzazioni prolungate. Un’ulteriore analisi che ha coinvolto 599 coppie di pazienti confrontati con il propensity score matching ha confermato l’assenza di differenza tra le due diverse strategie di trattamento: nel gruppo furosemide in un setting preospedaliero e nel gruppo controllo la mortalità ospedaliera è stata rispettivamente del 9% e del 7.8% [OR = 1.166, 95% CI= 0.775–1.754; P= 0.462], la mortalità a 30 giorni è stata rispettivamente del 12% e del 10% (OR = 1.217, 95% CI= 0.846–1.752; P= 0.290) e le ospedalizzazioni prolungate si sono registrate rispettivamente nel 25.8% e del 23% (OR = 1.161, 95% CI = 0.890–1.514; P=0.271).

Mirò e coll. hanno quindi concluso che il risultato principale del FAST-FURO trial è che nei pazienti con scompenso cardiaco il trattamento precoce con furosemide somministrata in un setting preospedaliero non impatta favorevolmente sugli outcome a breve termine rispetto al trattamento più tardivo in Pronto Soccorso. Questo risultato è stato confermato nelle diverse analisi effettuate da cui non sono neanche emersi specifici sottogruppi di pazienti che potrebbero beneficiare del trattamento precoce.

Recentemente due diversi studi hanno indagato l’impatto della somministrazione precoce di furosemide ev nei pazienti con scompenso cardiaco giungendo a conclusioni decisamente contrastanti. Mentre Matsue e coll. hanno dimostrato una mortalità intraospedaliera significativamente ridotta nei pazienti trattati molto tempestivamente [5], Park e coll. non hanno invece trovato nessuna correlazione positiva tra una strategia di trattamento precoce e l’outcome [6]. Questi studi presentano tuttavia due profonde differenze con il FAST-FURO trial: hanno escluso pazienti trattati nel setting preospedaliero e soprattutto hanno considerato soltanto i soggetti effettivamente ospedalizzati, escludendo quindi coloro che dopo il trattamento diuretico nel dipartimento di emergenza vengono direttamente dimessi a domicilio e che in alcune casistiche arrivano a rappresentare circa 1/3 della popolazione che accede in Pronto Soccorso per scompenso cardiaco acuto.

I risultati del FAST-FURO trial ci porterebbero a concludere che per la terapia diuretica nei pazienti con scompenso cardiaco non valga il concetto della “golden hour” che invece è fondamentale per esempio per la rivascolarizzazione miocardica nei pazienti con STEMI, tuttavia l’interpretazione di questo studio risulta sicuramente molto difficile, non tanto per quanto riguarda l’assenza di impatto sulla mortalità, end-point difficile da raggiungere dal punto di vista fisiopatologico, quando soprattutto per la mancanza di un effetto positivo sul tempo di ospedalizzazione. Sicuramente si tratta di uno studio gravato da una serie di limiti come sottolineato anche dagli stessi autori. Si tratta di uno studio osservazionale in cui la diagnosi di scompenso cardiaco si è basata soltanto su criteri clinici. Poiché il protocollo no prevedeva la definizione della somministrazione extraospedealiera di furosemide, non sono stati specificati i dosaggi e le tempistiche di assunzione del diuretico. Inoltre il MEESSI-AHF score è stato valutato solo all’arrivo del paziente in Pronto Soccorso; pertanto alcuni parametri (pressione, ossigenazione, creatinina, potassio) potrebbero essere stati influenzati dalla somministrazione precoce del diuretico e lo score potrebbe non riflettere la reale gravità del paziente al momento dell’insorgenza dei sintomi. Infine bisogna considerare che alcuni soggetti con scompenso cardiaco necessitano di un trattamento precoce ancora più intensivo che oltre all’impiego dei diuretici. Il trattamento deve includere anche la somministrazione di nitrati, amine, ossigeno e di ventilazione non invasiva; probabilmente una terapia integrata che preveda l’impiego di più presidi potrebbe essere in grado di impattare positivamente sull’outcome a breve termine dei pazienti con riacutizzazione di scompenso cardiaco.

 

 

Bibliografia:

  1. Ponikowski P, Voors AA, Anker SD, et al. 2016 ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure:the Task Force for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure of the European Society of Cardiology (ESC) developed with the special contribution of the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. Eur Heart J 2016;37:2129–2200.
  2. Miró Ò, Harjola P, Rossello X, et al. The FAST-FURO study: effect of very early administration of intravenous furosemide in the prehospital setting to patients with acute heart failure attending the emergency department. Eur Heart J Acute Cardiovasc Care. 2021 doi: 10.1093/ehjacc/zuaa042. Online ahead of print.
  3. Llorens P, Javaloyes P, Martı´n-Sa´nchez FJ, et al. Time trends in characteristics, clinical course, and outcomes of 13,791 patients with acute heart failure. Clin Res Cardiol 2018;107:897–913.
  4. Miro´ O` , Rossello´ X, Gil V, et al. The usefulness of the MEESSI score for risk stratification of patients with acute heart failure at the emergency department. Rev Esp Cardiol 2019;72:198–207.
  5. Matsue Y, Damman K, Voors AA, et al. Time-to-furosemide treatment and mortality in patients hospitalized with acute heart failure. J Am Coll Cardiol 2017;69: 3042–3051.
  6. Park JJ, Kim SH, Oh IY, et al. The effect of door-to diuretic time on clinical outcomes in patients with acute heart failure. JACC Heart Fail 2018;6:286–294.