Il rischio di infarto nella malattia del microcircolo
di V. Rizzello intervista F. Prati
22 Ottobre 2022

Oggi, nella sua relazione a Conoscere e Curare il Cuore, il Prof . Francesco Prati ha parlato del rischio di infarto nella malattia del microcircolo.

Rizzello: Prof. Prati, negli ultimi anni stiamo assistendo a una crescente rilevanza clinica della malattia del microcircolo che si configura come un’entità clinica largamente diffusa nella popolazione generale, in particolare tra le donne.  Che cosa intendiamo esattamente per malattia del microcircolo?

Prati: Secondo una definizione recentemente accolta dalla comunità internazionale l’alterata funzionalità del microcircolo (coronary microvascular dysfunction, CMD) è definita dalla presenza di segni e/o sintomi di ischemia miocardica in assenza di malattia coronarica ostruttiva significativa. [1]. La CMD è pertanto responsabile di ischemia miocardica e talora di angina in assenza di stenosi significative del distretto epicardico. Tuttavia, bisogna riconoscere che la CMD può rappresentare una concausa di angina  anche in presenza di malattia coronarica, cardiomiopatie o scompenso cardiaco.

Rizzello: Prof. Prati, ci ricorda quali sono i meccanismi fisiopatologici della CMD?

Prati:  La CMD può essere causata da  alterazioni funzionali o strutturali.   La CMD di tipo funzionale è prevalentemente endotelio- dipendente ed è determinata dalla  ridotta produzione o  dall’ aumentata degradazione di NO che può causare un vasospasmo nel comparto più prossimale del microcircolo oppure  un’alterata vasodilatazione.  Esiste però anche una CMD non endotelio-dipendente anche se il meccanismo di quest’ultima non è chiaro [1].  Tra le cause strutturali di CMD trovano spazio i restringimenti luminali delle arteriole, la fibrosi peri-vascolare o la rarefazione dei capillari,  laddove vi sia un incremento della massa del ventricolo sinistro [1].

Rizzello: Come possiamo studiare lo stato funzionale del microcircolo coronarico?

Prati: In realtà abbiamo a disposizione diverse tecniche, invasive e non [2,3]. In pazienti con vasi epicardici indenni da lesioni significative, la riserva di flusso coronarico (coronary flow reserve, CFR) fornisce una stima della funzione del microcircolo. La CFR è definita dal rapporto tra flusso coronarico al basale e in condizioni di iperemia massimale ottenuta dopo infusione di adenosina (vasodilatazione endotelio-dipendente) o acetilcolina (vasodilatazione endotelio-indipendente). Il flusso può essere valutato in maniera invasiva tramite l’utilizzo di una guida Doppler posta distalmente in coronaria [4]. Una CFR <2 è indicativa di CMD significativa.  Un ulteriore metodo invasivo è l’indice di resistenza micro-vascolare (index of microvascular resistence, IMR) [5]  che sfrutta il principio di termo-diluizione ed è determinato attraverso una guida intra-coronarica di pressione e temperatura. L’IMR corrisponde al prodotto tra pressione coronarica distale e tempo medio di transito di un bolo di 3cc di soluzione salina ripetuto 3 volte a temperatura ambiente durante massima iperemia. Un IMR >25 è espressione di alterata perfusione micro-vascolare. [6]. Tra le tecniche non invasive, l’ecocolorDoppler transtoracico rappresenta la metodica di più immediato utilizzo e basso costo, benchè spesso ostacolata dall’inadeguatezza della finestra ecocardiografica. L’ecoDoppler permette il calcolo della CFR mediante la misurazione della velocità di flusso di picco diastolico durante infusione di adenosina e al basale. Un altro strumento è la risonanza magnetica cardiaca da stress con studio di perfusione che permette il calcolo del myocardial perfusion reserve index, surrogato della CFR [7]. Infine la PET, seppur limitata dal costo e dalla bassa disponibilità, rappresenta attualmente il gold standard per lo studio del microcircolo, per la sua capacità di quantificare il flusso sanguigno per grammo di miocardio . Il flusso ematico al basale e dopo iperemia indotta farmacologicamente, quantificato mediante l’utilizzo di traccianti radioattivi, permette una attendibile determinazione della CFR.

Rizzello: Prof. Prati, come si manifesta clinicamente la CMD?

Prati: In molti casi la CMD causa semplicemente ischemia da sforzo o a riposo, in assenza di angina. Tuttavia, i pazienti con CMD possono accusare angina pectoris tipica, così come sintomi atipici o dispnea da sforzo. Il sintomo anginoso viene osservato, secondo alcuni studi, in una percentuale di casi che può raggiungere il 40%  . L’angina nei soggetti con CMD può comparire anche a riposo, soprattutto in coloro che presentano un meccanismo vasospastico o di aumento del tono dei piccoli vasi. Inoltre, la CMD può modulare la soglia ischemica nei pazienti con malattia coronarica ostruttiva stabile. Pupita et al [8] hanno osservato in pazienti con evidenza angiografica di occlusione totale cronica di una coronaria e presenza di circoli collaterali, un’ampia variabilità della soglia ischemica in assenza di spasmo dei vasi epicardici, correlata a fenomeni di vasocostrizione del microcircolo.

Rizzello: Prof. Prati, possiamo considerare la CMD una malattia a prognosi sostanzialmente buona?

Prati: In realtà, potrebbe essere vero il contrario. In uno studio di Pepine e coll. [9] su 189 donne con sospetta ischemia studiate mediante CFR è stata riportata un’associazione significativa tra alterazione della CFR ed eventi cardiovascolari maggiori (morte, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale od ospedalizzazione per scompenso cardiaco). Una ridotta CFR si associava ad un HR di MACE pari a 1.16 (p= 0.009) e migliorava anche la capacità di predire i MACE nei soggetti con malattia coronarica. Inoltre, Gulati e coll [10] hanno studiato, nell’ambito del registro WISE, 540 donne con segni/sintomi di ischemia e CMD  e le hanno confrontate con 1000 donne del registro WTH, ossia pazienti asintomatiche e senza storia di malattia coronarica. Le donne con CMD, appartenenti al registro WISE, presentavano una prevalenza maggiore di obesità, storia familiare per cardiopatia ischemica, ipertensione e diabete mellito. L’incidenza annuale a 5 anni di eventi cardiovascolari è stata del 16% nelle donne con CMD  e malattia coronarica non significativa, del 7,9% nelle donne con CMD  ed albero coronarico indenne e solo del 2,4% nelle donne asintomatiche del registro WTH (p= 0.002). L’analisi è stata effettuata dopo aggiustamento per le variabili di rischio coronarico. Gli eventi cardiovascolari erano inoltre più frequenti nelle donne con almeno quattro fattori di rischio coronarico; il rischio di eventi cardiovascolari a 5 anni era del 25.3% nel gruppo WISE con malattia coronarica, del 13,9% nei soggetti WISE con albero coronarico completamente normale e del 6,5% nel gruppo di controllo delle donne asintomatiche. Infine, secondo un interessante lavoro di Johnson e coll [11], sembrerebbe che nelle pazienti con CMD la presenza di dolore anginoso rappresenti un predittore di eventi. Infatti, le donne con dolore precordiale presentavano un rischio di eventi cardiovascolari maggiore rispetto a quelle senza dolore (HR:1.89, p= 0.03). Tale valore predittivo non era confermato nelle pazienti che presentavano stenosi coronariche significative.

Rizzello: Prof. Prati a questo punto le chiedo quali sarebbero i meccanismi che spiegano l’associazione tra CMD ed eventi cardiovascolari ?

Prati: E’ difficile comprendere se la CMD vada considerata come distinta rispetto alla aterosclerosi del distretto epicardico oppure ne predica lo sviluppo successivo. A supporto di quest’ultima ipotesi, in uno studio di Bugiardini e coll.[12], su 22 donne con precordialgie, ischemia alla SPECT, assenza di malattia coronarica ed evidenza di  CMD al test all’acetilcolina,  più della metà a distanza di dieci anni continuava ad accusare dolore precordiale e sviluppava stenosi nel distretto epicardico. Esistono però due elementi confondenti in questo contesto: innanzitutto, la CMD può associarsi ad eventi cardiovascolari nel follow-up a causa di una prevenzione secondaria subottimale, rispetto ai pazienti con malattia aterosclerotica epicardica;  inoltre, la coronarografia non sempre rileva tutte le placche aterosclerotiche poiché permette di studiare solo il lume e non le lesioni coronariche iniziali, individuabili con la TAC o le metodiche di imaging coronarico; pertanto la presenza di malattia epicardica potrebbe essere spesso sottostimata.  E’ tuttavia  probabile che la disfunzione endoteliale alla base della CMD sia anche il disordine che precede e promuove alterazioni vascolari di tipo aterosclerotico. La disfunzione endoteliale può essere considerata in quest’ottica pro-aterosclerotica e pro-trombotica. La progressione della malattia dei  vasi epicardici sembra essere l’elemento che condiziona maggiormente la prognosi. E’ invece difficile ritenere che l’infarto del microcircolo abbia un impatto importante sulla prognosi. E’ possibile che in alcuni casi di infarto tipo NSTEMI, la causa possa essere microcircolatoria, con meccanismi di ischemia secondaria o primaria (spasmo del microcircolo). Per contro, non esistono dati in letteratura, ed allo stesso tempo osservazioni che nascono dall’esperienza clinica, che sostengano una genesi microcircolatoria dell’infarto tipo STEMI. Escludendo la sindrome di Tako-Tsubo, che non è inquadrabile in una CMD­, l’infarto a tipo STEMI è riconducibile a una malattia epicardica, anche se non sempre emodinamicamente significativa.

Bibliografia

1.  Camici P.G.,   Crea  F.  Coronary Microvascular Dysfunction. New Engl J Med 2007;356:830-840.

2.  Leung D.Y.,  Leung M.  Significance and assessment of coronary microvascular dysfunction. 2011. 97: 587-595.

3.  Ong P., Safdar B, Seitz A,et al. Diagnosis of coronary microvascular dysfunction in the clinic. Cardiovasc Res, 2020;116:841-855.

4.  Kern, M.J., Lerman A, Bech JW, et al. Physiological Assessment of Coronary Artery Disease in the Cardiac Catheterization Laboratory. Circulation 2006;114:1321-1341.

5.  Fearon, W.F.,Kobayashi Y.  Invasive Assessment of the Coronary Microvasculature: The Index of Microcirculatory Resistance. Circ Cardiovasc Interv, 2017 Dec.;10(12):e005361  

6.  Ng, M.K., A.C. Yeung, Fearon W.F. Invasive assessment of the coronary microcirculation: superior reproducibility and less hemodynamic dependence of index of microcirculatory resistance compared with coronary flow reserve. Circulation, 2006;113:2054-61.

7.  Thomson, L.E., Wei J, Agarwal M, et al. Cardiac magnetic resonance myocardial perfusion reserve index is reduced in women with coronary microvascular dysfunction. A National Heart, Lung, and Blood Institute-sponsored study from the Women’s Ischemia Syndrome Evaluation. Circ Cardiovasc Imaging, 2015 Apr. 8(4):10.1161

8.  Pupita, G., Maseri A, Kaski JC, et al. Myocardial ischemia caused by distal coronary-artery constriction in stable angina pectoris. N Engl J Med, 1990; 323:514-20.

9.  Pepine, C.J., Anderson RD, Sharaf BL, et al. Coronary microvascular reactivity to adenosine predicts adverse outcome in women evaluated for suspected ischemia results from the National Heart, Lung and Blood Institute WISE (Women’s Ischemia Syndrome Evaluation) study. J Am Coll Cardiol, 2010;55:2825-32.

10.  Gulati, M., Cooper-DeHoff RM, McClure C, et al., Adverse cardiovascular outcomes in women with nonobstructive coronary artery disease: a report from the Women’s Ischemia Syndrome Evaluation Study and the St James Women Take Heart Project. Arch Intern Med, 2009;169:843-50.

11.  Johnson B.D., Shaw LJ, Pepine CJ, et al. Persistent chest pain predicts cardiovascular events in women without obstructive coronary artery disease: results from the NIH-NHLBI-sponsored Women’s Ischaemia Syndrome Evaluation (WISE) study. Eur Heart J, 2006;27:1408-1415.

12.  Bugiardini, R., Manfrini O, Pizzi C, et al., Endothelial function predicts future development of coronary artery disease: a study of women with chest pain and normal coronary angiograms. Circulation, 2004;109:2518-23.