Nel Senatore Mario Monti, “l’uomo della provvidenza” in un momento critico della nostra politica, ognuno ammirò la fronte turricefalica immaginandovi all’interno un cervello multistrato, che nell’ontogenesi avrebbe forzato la teca cranica verso l’alto.
Tutti infatti sapevano che era stato un personaggio impegnato in un curriculum di grande rigore e prestigio professionali, sia in patria sia all’estero, ma più nei numeri e nelle statistiche che nei voli pindarici. Come quelli che caratterizzano il modo italiano di fare politica. E ognuno si domandò nel 2011 perché quella persona seria, pur sapendolo, avesse scelto di accettare un incarico proprio laddove il rigore decisionale o è “favorito” da un forzato consenso o deve lasciarsi incanalare in mille compromessi. Per quanto gli fu chiesto in quel frangente, secondo gli storici non condizionati dalle direttive di partito, riuscì alla meglio, ma quando pensò di doversi schierare per aiutare la nostra politica in difficoltà il popolo, già “schierato“, gli disse di no. Forse in quel programma lo tradì l’uzzolo di provarci, quello che il malizioso, psicanaliticamente s’intende, gli coglie nel sorriso tra l’ironico e il beffardo che talvolta non riesce a trattenere.
Come in un convegno di Lilli Gruber dove gli scappò di dire che in nessuna altra parte del mondo potrebbe succedere, né si riuscirebbe a capire, un fenomeno tanto singolare come il Palio di Siena. Dove effettivamente da quasi 400 anni, ma quale generica giostra cavalleresca addirittura dal 1200, si ripete una competizione tra le diverse contrade cittadine, con il loro labaro simboleggiante un animale, oca, lupa, tortuga … ma con una forte caratteristica però, quella che rilevò con acutezza il Monti, che durante tanti secoli non è mai venuto meno un genuino spirito di competizione, con sfumature anche di lotta senza quartiere, e non una riedizione da sagra paesana. Molto differente quindi da quello di certe manifestazioni in altre città, come la Regata Storica di Venezia, dove la forzatura turistica prevale nettamente sulla sincera partecipazione sia dei cittadini sia dei regatanti.
E’ per l’appunto questo spirito del popolo senese di sentirsi contradaiolo, di preparare durante un anno fantini e cavalli, di sbandierare i gonfaloni per la città, di appendere con orgoglio il palio vinto fra gli altri storici, e anche delle sane scazzottate che talvolta avvengono fra i competitori, a coinvolgere l’attenzione di molti e a fare di questa “guerra secolare di parte” una specie di evoluzione cromosomica del popolo e dei cavalli, che si sarebbe fissata e tramandata nel DNA durante generazioni. Come sottolineano, ad onta delle attuali fobie razzistiche nazionali, le scelte del fantino e del quadrupede attraverso una rigorosa selezione del loro pedigree. Al destriero poi viene data la dignità di vincere anche se scosso, senza il fantino all’arrivo. Spirito certamente nobile quello che coinvolge il Palio di Siena, rispettoso di sospenderlo negli anni delle due grandi guerre, insignito di Palio dell’Impero nel 1936 e di Palio della Pace nel 1945, e che a differenza di tante nobiltà non è mai decaduto, ma continua a rivelare quel “particulare” alla Guicciardini, tanto prolifico da noi, laddove germinano a ripetizione le passioni politiche, e che fa del nostro paese, come forse voleva rilevare il Senatore, terra di tante iniziative ad ortus conclusus, più spesso di conquiste affatto personali, ma decisamente allergica alle sintesi unificanti.
Anche i nostri migliori poeti hanno espresso amaramente quell’atavico difetto nostrano: il Sommo parlò di “serva” e di “nave senza nocchiero in gran tempesta”; il successore dopo cinquecento anni da Recanati ci dava accenti ancora più disperati nel suo giovanile “dammi, o ciel, che sia foco agl’italici petti il sangue mio”.
E pure dai seguenti, da Foscolo a Ungaretti, ci sono giunti versi di accorate delusioni, con riferimenti più o meno gloriosi del passato e con malinconiche attualità o prospettive. Per concludere con Quasimodo che “Ognuno sta solo nel cuor della terra”.
Fortunatamente, si dice per enfatizzare, ai primi di quest’anno è accaduto un fatto unificante, una specie di “palio nazionale”, che ci ha stretti l’un l’altro nel difenderci da un nemico comune, il Covid-19, contro il quale dall’alpe al lilibeo tutti hanno obbedito agli ordini centrali. Un incredibile tutti in riga, senza mugugni e quasi con la gioia di sentirsi utili. Perfino i contradaioli senesi hanno rinunciato agli appuntamenti della successiva estate, rimandati al 2021, come non accadeva da 80 anni sottolineano gli organizzatori di quella singolare tradizione. La paura del contagio è certo un fattore unificante, ma, alla luce di tante belle reazioni di altruismo durante questo pericolo pubblico, risultate la maggioranza assoluta, possiamo definire questa reazione collettiva un nuovo Palio da aggiungere a quelli nazionali più gloriosi.
Sempre che la memoria in futuro non ci venga meno, travolta dai soliti “particulari”, specie quelli che infiammano gli interessi personali o di casta. Diamoci insomma una rinfocolata di nazionalismo, quello sano che unisce gli interessi comuni, almeno nella sanità.
Eligio Piccolo
Cardiologo