La cardiopatia ischemica con le sue differenti manifestazioni, l’infarto, l’angina, lo scompenso cardiaco, rimane ancora oggi la prima causa di morte nei paesi del mondo occidentale, nonostante i clamorosi progressi compiuti nella cura e nella diagnosi.
Esistono evidenti differenze nelle modalità di comparsa ed espressione della malattia nell’universo femminile e gli studiosi dedicano sempre maggiore attenzione a questi particolari aspetti, nel tentativo di assicurare alle donne la miglior cura possibile. Le donne, infatti, sono state in passato spesso trascurate dal mondo dei grandi trials (gli studi controllati), dove magari comparivano in numero ridotto e con caratteristiche biologiche ovviamente differenti che raramente venivano analizzate.
Prima ed eclatante differenza nella storia naturale della malattia: essa si manifesta per la prima volta nelle donne più tardivamente, mediamente circa 10 anni dopo. La produzione ormonale infatti sembra conferire una protezione alle donne nei confronti degli uomini di pari età, protezione che perdono con la comparsa della menopausa. Gli estrogeni, infatti, sembrano avere un effetto favorevole sul “profilo lipidico” (livelli di colesterolo totale, “buono” e “cattivo”), sulla resistenza all’insulina (ossia sulla capacità dell’organismo di rispondere efficacemente alla liberazione di insulina e controllare il livello di glucosio nel sangue) ed anche sulla “funzione endoteliale” , ossia sulle complesse attività biologiche che è in grado di compiere la parete dei vasi sanguigni a protezione della circolazione del sangue.

Quando nelle donne, nel periodo della menopausa, la produzione degli estrogeni si riduce, sale il rischio di malattia cardiovascolare ed è per questo che nelle donne la malattia si manifesta più tardi. A tutte queste considerazioni ha fatto seguito il dibattito sulla terapia ormonale sostitutiva, che – si è per ora concluso – si può somministrare nelle fasi precoci della menopausa, per il trattamento dei sintomi della menopausa stessa e non a scopo protettivo visto che anch’essa non è esente da rischi (per un piccolo approfondimento vedi la news letter in archivio sulla menopausa).
Secondo: l’impatto del diabete sulla malattia cardiovascolare nelle donne è decisamente più sfavorevole. Ad esempio il diabete raddoppia il rischio di un secondo infarto nelle donne ma non negli uomini. Le donne diabetiche hanno livelli più elevati di trigliceridi, più bassi di colesterolo “buono”, sono più obese ed hanno valori pressori più elevati. Le donne con diabete gestazionale, che un tempo si credeva fosse un problema limitato al periodo della gravidanza, hanno un rischio 7 volte maggiore di ammalarsi di diabete di II tipo. Conseguenza di tutte queste osservazioni è che nelle donne ammalate di diabete debbono essere ancora più rigorosamente controllati tutti gli altri fattori di rischio.

Un’altra differenza riguarda lo scompenso cardiaco. Parliamo di scompenso, per dirla in termini semplici, quando il cuore non è più in grado di “accogliere” il sangue che gli proviene dal circolo e di “pomparlo” di nuovo, ricco di ossigeno, in tutto l’organismo. Questo ha come “prezzo” l’accumulo di liquidi in periferia (gambe gonfie, ad esempio, ed aumento del peso corporeo) o nei polmoni, con sintomi quali l’affanno e la stanchezza che compaiono precocemente e per sforzi anche lievi. Ebbene, nelle donne è molto più comune un tipo di scompenso (“a funzione sistolica conservata”termine che indica una misura della capacità di “pompare” del cuore) per il quale, ancora oggi non esiste un trattamento specifico di sicura efficacia. La prevenzione di tale condizione, pertanto, rappresenta un obbiettivo importante. E come si fa prevenzione? Sempre controllando i fattori di rischio – diabete, fumo, ipertensione, colesterolo etc – e modificando lo stile di vita.
Ancora, le donne presentano livelli più elevati in circolo di molecole dell’infiammazione. Gli estrogeni sembrano giocare un ruolo nella produzione della proteina C reattiva che è più elevata nelle donne. Anche il grasso , soprattutto quello depositato sul tronco – la cosiddetta “adiposità centrale”, partecipa alla produzione di molecole dell’infiammazione – le citochine – che risultano coinvolte nel processo dell’aterosclerosi, ossia di quella condizione che porta alla malattia delle pareti dei vasi con comparsa di ostruzioni al flusso del sangue. Una stima dell’adiposità centrale è data dalla semplice misurazione della “circonferenza vita”, che quando è aumentata è un indice importante della presenza di sindrome metabolica. Alcuni studi (Nurses Health Study : Waist Circumference and CHD Risk) hanno documentato che il rischio cardiovascolare aumenta con l’aumentare della circonferenza vita.

Nelle prossime news parleremo ancora molto di donne e rischio cardiovascolare.
Fonte . Sharonne N. Hayes, Paula A. Johnson, Ileana L. Piña, JoAnn E. Manson. All about Eve: Unique Aspects of CVD in Women
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma