IL DOPO
di Eligio Piccolo
01 Settembre 2020

E’ il titolo di un aureo libretto di Ilaria Capua, un best seller di 131 pagine che si leggono dolcemente, come liberare la gola sulla panna montata. Esperta di virus, di epidemie e pandemie a partenza dagli animali, è ora pensosa del dopo Covid-19, della paura residua, della salute pubblica e di quella del pianeta che stiamo trattando così male, con quel “viceversa”, lei dice, per i riflessi contro di noi se non ci diamo una regolata. Generosa di idee, termina con il capitolo “Nessuna tragedia è tutta nera”, un volo di ottimismo sulla natura che “c’è”, su una “globalizzazione sostenibile” e su “la scienza, l’ordito del nuovo”.  E al tempo stesso ci introduce indirettamente e con la stessa leggerezza nei problemi dei pazienti che sono stati infettati.
Anche per noi medici, più o meno impegnati sul campo, c’è da considerare un “dopo”, nonostante il vaccino alle porte ci stia rassicurando. Quel vaccino però di cui non solo, come dicono i virologi, non potremo sapere all’inizio la durata della efficacia immunitaria, né ci potrà proteggere contro nuove calamità e non potrà nemmeno cancellare i danni residui, quelli lasciati dal coronavirus aggressivo. Al medico curante e allo specialista incombe l’obbligo di valutare attentamente soprattutto le conseguenze polmonari e quelle cardiache, due residuati bellici, spesso subdoli perché possono non apparire negli ex-pazienti guariti e a riposo, ma possono farle riemergere durante una nuova malattia e per un semplice sforzo.
Non vorremmo fare la parte degli allarmisti invece di seguire la scia ottimistica della Capua. Ma, poiché gli eventi medici in chi è stato infettato ci vengono riferiti quali possibili complicanze future, ancorché rare e per l’appunto subdole, che ci colgono di sorpresa, non possiamo esimerci dall’indicarle e soprattutto dal suggerire il modo per prevenirle. Coloro che durante l’infezione Covid-19 vengono colpiti nell’apparato respiratorio, specie se hanno avuto bisogno della rianimazione, potrebbero aver subito la distruzione di una parte dei loro polmoni, che essendo organi con grande capacità di riserva possono non denunciare il deficit dopo la dimissione. A meno che il danno non si sommi a quello di croniche lesioni da fumo oppure non vengano loro richieste prestazioni sportive impegnative. Qui tuttavia il subdolo lo è meno poiché lo sforzo ci avvisa in tempo dell’insufficienza latente e quindi il paziente si adegua e non succede niente di irreparabile.
Differente invece è la compromissione cardiaca, che può di per sé colpire il cuore senza darci alcun segno dell’interessamento. Che è una specie di miocardite silenziosa, capace come quella sintomatica di dare aritmie pericolose. Le quali sia nella fase acuta, mentre il malato è ricoverato, sia a distanza di tempo, quando tutto sembra spento, arrivano imprevedibili con quella che può essere fatale. E’ una varietà di morte improvvisa che non guarda in faccia nessuno, colpisce a qualsiasi età. Come dicono i francesi “n’importe qui, n’importe qua”. Nell’anziano uno penserebbe alla coesistenza di patologie pregresse o sul punto di giungere a maturazione sommandosi a quella del virus, ma nel giovane, che sempre più spesso viene coinvolto, dove sta il maligno? Non hanno i cuori giovani maggiori difese? Inesorabilmente no! Ci sono fattori sia acuti sia cronici, di cui lascio agli elettrofisiologi più sofisticati l’esegesi, che non rispettano nessun tipo di cuore, giovane o vecchio, apparentemente sano o malandato.


Tanto che i cardiologi Baggish e Levine dell’Harvard Medical School di Boston (Circulation, agosto 2020) in un loro “on my mind” (promemoria) si sono preoccupati degli atleti, per definizione giovani, che già per altre malattie vengono ogni tanto segnalati dalla cronaca per lo stramazzare sul campo. Ricordiamo emblematicamente un famoso giocatore del Perugia deceduto mentre giocava e nel quale si dimostrò una miocardite che non aveva dato segni di sé prima della tragedia. Essi ricordano una recente pubblicazione italiana sul NEJM, che segnala durante il Covid-19 un aumento del 60% di arresti cardiaci extra ospedalieri, rispetto a un analogo periodo dell’anno precedente. I bostoniani poi si preoccupano giustamente del fatto che, passata la malattia, uno sforzo atletico in chi ha subito una infezione cardiaca più o meno evidente o più o meno nascosta possa scatenare un’aritmia imprevedibile. Essi non lo dicono, ma questa circostanza fa pensare alla nostra legge sull’idoneità sportiva, la quale obbliga chiunque, giovane o anziano, e per qualsiasi attività, maratona, atletica o golf fino a pochi anni fa, al certificato di medici esperti. Una legge contestata da molti paesi per l’eccessivo costo/beneficio, ma che ora è venuta utile per scovare il nemico silenzioso. Molto di più del complesso algoritmo che gli studiosi di Boston propongono “for competitive athlete and highly active people”.
E’ un dopo impegnativo e… durante? …quello che i medici stanno vivendo nel seguire chi sventuratamente è stato colpito dal coronavirus e ciò avviene nel mezzo dei più disparati commenti, dell’esposizione giornaliera dei ricoverati e dei decessi, delle direttive spesso contestate, dei comportamenti di giovani scalpitanti e di meno giovani vacanzieri; di dichiarazioni sui giornali e alla TV dei responsabili politici, a volte informati, a volte orientati dalla propria ideologia, alcuni magri e seri in giacca e cravatta, altri in sovrappeso che mascherano l’epa con la camicia di fuori, il cui lembo posteriore più lungo è detto in Toscana la merdaiola. Nessun epiteto in certi casi sembrò più azzeccato. Fortunatamente i medici sanno estrapolare da questo bailamme ciò che la clinica e gli esami dimostrano con maggiore certezza, e prevenire con gli accertamenti le insidie del post-Covid 19. E fortunatamente, aggiungerei avvalendomi di una considerazione che l’ex sindaco di Milano Albertini disse in TV, “noi abbiamo imparato a farci medico”, forse l’italiano cui la scuola e i media non hanno fornito le nozioni basilari di come siamo fatti e perché ammaliamo si sta informando per farsi autodidatta.

Eligio Piccolo
Cardiologo