IL CUORE DEL SUPERMAN E IL RICORDO DI CARNERA
di Eligio Piccolo
12 Agosto 2018

Il mito del più forte, del più bravo e del più bello sono certamente vecchi quanto il mondo del Sapiens, da Adamo in poi, ma lo sono anche in quello animale. Con la differenza che qui vige la legge darwiniana, basata solo sulle caratteristiche di ogni specie e sulla selezione delle prerogative istintive che  si sono venute generando durante l’evoluzione millenaria. Nell’uomo invece, senza dimenticare l’Eva, si sarebbero sviluppati secondo la teoria creazionale anche l’intelletto, la fantasia, l’ambizione e la cattiveria, ossia il libero arbitrio. Non senza però una lotta continua che l’essere umano ha ingaggiato per conseguire quei miti, utilizzando vari espedienti. Alcuni leciti come la cura del corpo, i cosmetici e la buona educazione; altri invece dannosi o inopportuni come le infibulazioni del naso e di altri organi, o la moderna chirurgia estetica, che spesso fa assumere al viso la stessa mimica delle natiche, e per ultimi i farmaci capaci di gonfiare i muscoli maschili a guisa di un Ercole redivivo.

Il mito del bello ha avuti molti vantaggi, ma anche qualche rischio. In campo maschile, l’Apollo della  mitologia ebbe molte avventure galanti e gratificanti, mentre Narciso si lasciò tragicamente ingoiare dallo specchio d’acqua che lo esaltava. Nella storia recente e già ben documentata, Rodolfo Valentino fu ucciso dalla gelosia, Tyrone Power da un  infarto  sul set cinematografico a soli 44 anni, Julio Iglesias continua a incantare le sognatrici nonostante il tempo inesorabile, mentre molti altri, da Amedeo Nazzari a Sean Connery, sono serenamente invecchiati. In quello femminile gli esempi si affollano fino all’innumerevole: la bellissima Elena di Troia ebbe una fine incerta, secondo alcuni miseranda, per altri fu  riconciliata consorte di Re Menelao, citato poi come emblema di cornuto; Didone, l’inconsolata amante di Enea, si suicidò e la stessa fine decise Cleopatra, abbandonata da Antonio; Francesca da Rimini subì l’uxoricidio, che Dante rese più “nobile” dei tanti squallidi episodi attuali. Le moderne dive, invece, da Greta Garbo a Sofia Loren, da Marlene Dietrich a Catherine Deneuve, volendo semplificare la lunga schiera, hanno subito solo la “condanna” degli anni, alcune con qualche sapiente ritocco, altre sfigurando il ricordo.

Il mito del forte e muscoloso è quello di maggiore attualità medica e riguarda solo il maschio, in parte sollecitato da una maggiore prestanza fisico-sportiva, ma anche dalla speranza di ottenere in qualche misura il vantaggio di Faust, senza però dover vendere l’anima al diavolo. Una volta lo si otteneva con il solo esercizio fisico, in palestra o sul campo, e non aveva controindicazioni mediche, se non quella di un esagerato sovraccarico del cuore in casi rari, il cosiddetto cuore d’atleta. Questa pratica, se troppo esibita, aveva anche un nome specifico, culturismo o cultura fisica, che gli anglosassoni coniavano con uno meno pretenzioso e più realistico, bodybuilding, costruzione del corpo, conseguita solo mediante l’esercizio fisico. Che oggi purtroppo è stato “incrementato” con gli anabolizzanti, gli ormoni noti da tempo, ma ora prodotti in scala  industriale.
Un vero e proprio doping, ad essere precisi, benché lo sport non sia spesso il fine di quel gonfiamento muscolare,  ottenuto quindi senza tanta fatica e con risultati apparentemente “miracolosi”.

Tutto ciò è successo a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, almeno come uso di quei farmaci in maniera incontrollata, addirittura nascosti nei cosiddetti integratori alimentari,  e con l’incredibile risultato che attualmente gli statunitensi dediti a tale illecito stanno raggiungendo la cifra di quattro milioni.
A questo punto non ci voleva certo un superman del cervello per capire che, se la stessa fisiologica ipertrofia del cuore in alcuni atleti non dopati può diventargli dannosa, tanto più lo farà quella prodotta artificialmente con gli anabolizzanti. Infatti, già da qualche anno alcuni medici hanno segnalato un aumento di morti improvvise e di ictus nei culturisti. E andando più a fondo con gli esami essi hanno portato alla luce anche i logici presupposti di quelle conseguenze cardiovascolari. L’uso degli anabolizzanti infatti provoca un aumento dei grassi nocivi, un’esagerata ipertrofia del muscolo cardiaco con relativa minore ossigenzione, precoci lesioni coronariche, maggiore rischio di aritmie pericolose e addirittura l’apoptosi, che è una specie di suicidio delle cellule muscolari del cuore. Insomma un disastro, una franca cardiotossicità, capace di sviluppare, chi più chi meno, insufficienza coronnarica e cardiomiopatia.

Per capire meglio la problematica che investe questi supermen artificiali vale la pena di leggere la ricerca del Massachusetts General Hospital, pubblicata in Circulation di maggio 2017, nella quale Aaron Baggish e il suo  gruppo  hanno valutato il cuore di 140 sollevatori di pesi, di età fra 34 e 54 anni, 86 dei quali utilizzantori degli anabolizzanti e 54 solo l’allenamento fisico. I primi rispetto ai secondi avevano una contrattilità dei ventricoli ridotta, così come la loro elasticità, una maggiore presenza di placche coronariche, inidicative di arteriosclerosi precoce e di patologie future. Segnalano inoltre che circa l’80% di tutti questi impegnati a costruirsi una scenografia muscolare non lo facevano per sport agonistico, ma solo per culturismo, una moderna espressione di narcisismo.

Quella droga, ossia gli anabolizzanti, che gli esegeti precisano come “steroidi metabolico-androgenici”, sono gli stessi ormoni che in misura adeguata vengono prodotti dalle nostre ghiandole endocrine per il normale accrescimento fino al compimento dell’adolescenza. E che ci fanno venire alla mente quello esagerato di un grande atleta italiano, Primo Carnera, il gigante buono di Sequals, che negli anni ’30 vinse il titolo di campione mondiale dei pesi massimi. Era alto e muscoloso, con mascella prominente e denti divaricati, tipici del gigantismo ipofisario, ossia della produzione esagerata di quegli ormoni dalla ghiandola cerebrale, che i culturisti di oggi usano per somigliargli, ma non sanno che lui stesso fu alla fine vittima del suo doping naturale.

Forse dovremmo trattare anche il terzo mito, quello dei più bravi, dei più capaci nella realizzazione delle loro “virtù”, ma rischieremmo di entrare in un ginepraio affollato di artisti, di scienziati, di politici, di imprenditori, di arrivisti e forse anche di santi, nei quali è difficile separare senza malizia quanto è dovuto alle loro doti naturali dal molto inconsciamente o programmaticamente generato dall’autoreferenzialità. Meglio quindi starvene alla larga.

Eligio Piccolo
Cardiologo