Gli egizi conoscevano bene il cuore: al momento dell’imbalsamazione era l’unico organo che veniva rimesso intatto al suo posto. Nel papiro Ebers è scritto: “l’orecchio ode ciò che sta al di sotto”. Questo papiro trovato nei pressi di Tebe, e che risale a circa 1500 a.C., viene considerato il più antico testo di medicina. Contiene soprattutto scongiuri e ricette, segno che la medicina per gli egizi rientrava nell’ambito della magia e dell’empirismo, ma anche nozioni. Dice che il polso può essere apprezzato in varie parti del corpo ed è sincrono al battito del cuore. Il cuore viene considerato organo d’importanza vitale: sapevano avvertirne la “stanchezza”, l’indebolimento e il rallentamento del battito. Di un medicamento è scritto: “benvenuto rimedio che scacci ciò che è in questo mio cuore”. In altra parte del papiro si dice: “se esaminate un ammalato che soffre di dolori al braccio e al petto, ciò significa che la morte si avvicina a lui”, quasi avessero intuito i segni del sopraggiungere dell’infarto miocardio. Nell’antico Egitto si è avuto il primo infarto miocardio durante lo sforzo. Ne fu vittima il cancelliere del faraone Menefath che morì durante una gara di corsa. La diagnosi è stata confermata dai rilievi di uno specialista in mummie che ha ritrovato nel cuore del cancelliere, uomo di mezza età, calcificazioni delle coronarie segno di arteriosclerosi. Anche un giovane faraone della XX dinastia, morto prematuramente, presentava calcificazioni coronariche. Nel papiro ritrovato da Ebers si parla di indurimento dei vasi sanguigni. E’ strano come gli egizi pur praticando l’imbalsamazione per oltre 4 mila anni (qualcuno vuole che le mummie siano più di 700 milioni), non abbiano mai dimostrato interesse per l’anatomia. Le autopsie delle mummie hanno fornito numerose informazioni sulla patologia del tempo: oltre a malattie ossee, calcolosi, gotta, tubercolosi, sono state ritrovate calcificazioni dell’aorta e delle arterie temporali, segno che l’arteriosclerosi esisteva già al tempo dei faraoni. Sulla valvola mitrale di una donna cinquantenne sono state ritrovate vegetazioni attribuibili ad endocardite. L’interesse degli egizi per il cuore è testimoniato anche dalle pitture e dalle incisioni tombali. Il cuore era considerato il centro della vita, dell’intelligenza, della volontà ed il responsabile delle colpe e delle violazioni alla parola di Dio. Subito dopo la morte, la salma veniva condotta in una grande sala del tribunale presieduto da Osiride per essere giudicata. Nel mezzo della sala c’era una bilancia: su un piatto veniva posto il cuore, sull’altro una statuetta della dea Maat, Se il cuore, per le sue colpe, appariva più pesante, la salma veniva divorata da un mostro con la testa di coccodrillo e il corpo di leonessa e moriva così una seconda volta. Se era più leggero entrava nell’aldilà. Nel petto di molti defunti, presso il cuore, è stato ritrovato uno scarabeo, coleottero considerato sacro. Scolpito in diaspro, malachite o lapislazzuli, era il talismano più diffuso. Sullo “scarabeo del cuore” è incisa l’invocazione rivolta dal morto al suo cuore. Napoleone Bonaparte portò sempre con sé uno scarabeo che gli era stato donato in Egitto.
Il cuore degli Egizi