Spostarsi in aereo oggi è divenuto molto comune e facile ma, esiste un rischio per i passeggeri che, affetti da disordini cardiovascolari, utilizzano voli di linea? Un gruppo di lavoro della British Cardiovascular Society si è preso la “briga” di produrre un documento che affrontasse il problema delle condizioni che si verificano in volo e fosse d’aiuto ai medici di medicina generale, ai passeggeri e alle compagnie aeree, uniformando le raccomandazioni che provengono dai diversi studi sinora effettuati.
L’atmosfera è composta da una miscela di gas, componenti maggiori l’azoto, l’ossigeno ed il vapore acqueo, la cui pressione esercitata a livello del mare è pari a 760 mmHg. Tale valore diminuisce con l’aumentare dell’altitudine rispetto al livello del mare. Poiché per la legge di Dalton la pressione esercitata da una miscela di gas è pari alla somma delle pressioni parziali dei singoli componenti, anche la pressione parziale di ossigeno (pO2) si riduce con l’altitudine e per questo le cabine aeree debbono essere pressurizzate. Tale valore di pressurizzazione è pari alla pressione esercitata a 2438 m s.l.m. e viene mantenuto in aereo anche quando si vola ad altitudini decisamente più elevate.
Il risultato della pressurizzazione della cabina è che durante il volo il cambiamento fisiopatologico più importante è una modesta ipossiemia che, pur esistendo, consente una buona saturazione di ossigeno nel sangue arterioso (saturazione O2 90-93%).
Metri | Pressione Atmosferica | O2 ambiente | Pressione arteriosa O2 | Sat O2 |
0 | 760 mmHg | 160 mmHg | 95-100 mmHg | 95-99% |
2438 | 564 mmHg | 118 mmHg | 62-67 mmHg | 90-93% |
I passeggeri, quindi, respirano un’aria con un minore contenuto di ossigeno che si traduce in una saturazione in ossigeno del sangue più bassa.
Gli studi sin qui condotti hanno però documentato che tale ridotta saturazione non esercita effetti circolatori avversi che possano rendere gli individui più suscettibili ad ischemia miocardica, insufficienza cardiaca ed aritmie. Vi sono evidenze invece, che in soggetti ad alto rischio, l’ipossiemia da sola possa aumentare il rischio di tromboembolia venosa.
Un aeroplano però, non rappresenta comunque l’ambiente ideale per gestire un problema acuto, a meno che non si sia organizzato un volo con personale esperto altamente qualificato e un velivolo adeguato in cui si può effettivamente offrire un’assistenza intensiva.
Poiché gli eventi cardiaci e le stesse procedure diagnostiche o terapeutiche possono essere responsabili di un rischio di complicanze a breve termine è importante che prima di accedere ad un volo si sia ripristinata una condizione di stabilità.
E’, infatti, la condizione di instabilità, piuttosto che la severità per sé della patologia, che rappresenta una fonte di rischio e pertanto, quello che va ben valutato, è l’intervallo di tempo che renda accettabile il viaggio aereo.
QUESTE LE PRINCIPALI RACCOMANDAZIONI:
•Infarto del miocardio sia STEMI sia NONSTEMI (cosiddetto infarto ad ST sopralivellato o ad ST non sopralivellato). I pazienti a basso rischio (età inferiore a 65 anni, primo evento, Frazione di eiezione >45% – la F.E. rappresenta una misura della funzione di pompa del ventricolo sinistro-, riperfusione efficace, assenza di complicanze e in assenza di programmazione di ulteriori procedure) possono volare a partire da 3 giorni dopo l’evento.
I pazienti a rischio intermedio (Frazione di eiezione >40%, assenza di sintomi, assenza di segni di ischemia o di aritmia inducibile, non programmazione di ulteriori procedure diagnostiche o di intervento) possono volare a partire da 10 giorni dopo l’evento.
Nei pazienti ad alto rischio in attesa di una procedura diagnostica o di rivascolarizzazione il volo va rimandato, come intuitivo, fino al raggiungimento di una condizione di stabilità.
•Scompenso cardiaco.
Dopo un episodio di insufficienza cardiaca acuta occorre attendere sei settimane di stabilità prima di affrontare un volo su un aereo di linea.
Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico in fase di stabilità (assenza di recenti variazioni dei sintomi o della terapia farmacologica) la moderata ipossia della cabina aerea sembra essere ben tollerata. Si può richiedere con anticipo alla compagnia aerea la possibilità di somministrazione di ossigeno terapia. E’ comunque fondamentale che assumano correttamente la terapia farmacologica quotidiana e che non compiano sforzi fisici ( valigie!!) prima del volo. Per pazienti in classe NYHA III che vogliano volare è opportuno richiedere l’assistenza in aeroporto e l’ossigeno in volo.
•Cateterismo cardiaco. In assenza di complicanze della procedura i pazienti che lo desiderino possono volare il giorno successivo all’intervento.
•Angioplastica in elezione. Dopo una procedura di angioplastica programmata eseguita in condizioni di stabilità è opportuno che il volo sia ritardato di almeno due giorni. I casi vanno comunque valutati singolarmente poiché ogni singola procedura può avere gradi diversi di complessità.
•Intervento di by pass aorto coronarico o sostituzione valvolare. Discorso molto complesso da affrontare, poiché questo tipo di interventi causano comunque disagio anche in assenza di qualsivoglia complicanza. La chirurgia e la terapia intensiva hanno fatto grandi progressi negli ultimi anni e pertanto accade che i pazienti possano essere “mobili” e a domicilio entro 10 giorni dall’intervento. Nel caso si voglia volare tra i 10 giorni e le sei settimane dall’intervento è necessario prendere in considerazione la possibilità di assistenza.
•Impianto di pace-maker o defibrillatore. In assenza di qualsiasi complicanza non vi sono assolute controindicazioni al volo dopo due giorni dalla procedura. Se la procedura di impianto è stata complicata dalla comparsa di pneumotorace (presenza di aria nella cavità pleurica che potrebbe andare incontro ad espansione gassosa in altitudine) bisogna attendere almeno due settimane dalla completa risoluzione radiologica.
Il documento è di supporto ed è decisamente interessante. La raccomandazione ancora più importante è che ciascuno chieda consiglio al proprio medico, assuma correttamente la terapia così come gli è stata prescritta, viaggi con una relazione clinica (possibilmente anche tradotta in lingua) che documenti il proprio stato di salute.
Fonte:
Smith D, Toff W, Joy M et al. Fitness to fly for passengers with cardiovascular disease Heart 2010; 96:ii1- ii16
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma