I vegetali “riciclandi”
di Eligio Piccolo
19 Settembre 2021

In quel tempo il primario, parlando del più e del meno con la suora di reparto mentre passavano da una corsia all’altra della divisione medica, le raccontava di quanto erano buone le rane impanate e fritte, che aveva mangiato la sera prima. La sorella, mettendosi la mano sulla bocca e ritraendosi per l’orrore, disse nel suo dialetto triestino, che si burla dei congiuntivi e rende il dialogo più accettabile: “cossa la disi, dotor, a mi me piasi anca la carne, ma che mi magnassi rane, mi magnassi erba, ma mi no magnassi rane”. L’erba per lei era pure l’eccesso di vegetali nella dieta, meglio piuttosto la zuppa jota a base di fagioli e crauti della tradizione austroungarica, e ogni tanto una buona braciola di vitello. Continuarono nelle preferenze ma ognuno rimase con le proprie convinzioni.
Il regno animale si divide grossolanamente in due categorie: 1- i carnivori, dai felini ai canidi e ai rapaci; 2- gli erbivori, dalla pecora ai bovini e agli equidi. L’uomo è considerato onnivoro, si nutre di ogni cosa gradevole e innocua. All’inizio, secondo la Bibbia, forse Adamo ed Eva erano solo vegetariani con la proscrizione al fatidico melo, poi l’uomo, divenuto cacciatore e raccoglitore, è quello di oggi anche dopo lo sviluppo dell’agricoltura. E secondo la medicina moderna camperebbe meglio e di più se preferisse l’erboristeria, mentre invece egli rischia l’ipertensione, la gotta e tante altre patologie se indulge con la cacciagione, la carne rossa e anche i formaggi, che dagli animali derivano. Una conclusione che fatica ad essere accettata dai buongustai, ma anche dagli abitudinari, che sorridono per compiacenza quando il medico, e pure i rotocalchi, raccontano dei longevi e sani tra le popolazioni sobrie, a dieta mediterranea, nel sud Europa. Essi ascoltano meravigliati, ma persistono nelle malsane abitudini, anche dopo che un ricercatore di rango proveniente dalle loro università ha dato la dimostrazione scientifica e lui stesso vi si è convertito: Ancel Benjiamin Keys. E continuano nell’errore nonostante la bilancia, le statistiche e le riprese della TV tra la folla avvisino che il 70% della popolazione dei “benestanti” occidentali sia sovrappeso od obesa.
Siamo così arrivati al 2020 per sentirci dire dalle riviste mediche più prestigiose (Lancet e British Medical Journal) che dobbiamo cambiare le nostre abitudini, come se il già detto, provato e sperimentato fosse solo un’antica intuizione di Ippocrate. Il povero Ancel Keys si rigirerà nel sarcofago leggendo le nuove direttive della Commissione Eat-Lancet, un nome che ricorda l’Eataly di Oscar Farinetti, secondo le quali ci dobbiamo premunire in vista del 2050 quando la popolazione mondiale sarà di 10 miliardi. Ossia: eliminare le carni rosse, incrementare frutta e verdura, ridurre i formaggi ricchi di grassi animali e preferire l’olio d’oliva, per diminuire il sovrappeso, l’obesità e le loro conseguenze. Il tutto, sottolineano questi nuovi studiosi, ridurrebbe anche la CO2 atmosferica, migliorando così il clima della Terra.


In particolare, le nuove direttive dell’Eat-Lancet, che ha coinvolto ben 85 paesi, riferisce che, se queste fossero applicate ridurrebbero del 34% la morte precoce e di tre volte il gas serra; precisando addirittura che dosando i livelli nel sangue di vitamina C e di carotenoidi, derivati dai vegetali ricchi di vitamina A, si scoprirebbe quanta frutta e verdura uno mangia nella giornata. Ma ci informano pure sul rischio di diabete, osservando che ogni 65 grammi in più di frutta e verdura diminuisce del 25% il rischio di questa malattia, arrivando al 29% in chi usa molto i cibi integrali. A questo punto si inserisce pure il buontempone di turno, il quale ha calcolato che per pareggiare l’emissione di CO2 causata, poniamo, da oltre 3 milioni di automobili, basterebbe sostituire negli hamburger la carne con i funghi.
Tuttavia, la maggiore ambizione di questo studio è di costruire e proporre quella che viene definita la “planetary health diet”, la dieta salutare per il pianeta, con la finalità di ridurre gli undici milioni di decessi che ogni anno si verificano a causa della cattiva alimentazione. Un’ambizione che a conti fatti si scontrerebbe, non solo con la reticenza di chi non ama le rinunce né cambiare le ataviche abitudini, ma soprattutto con la rivoluzione agro-alimentare che essa comporterebbe: nuovi pascoli e una maggiore attenzione alle aree coltivate, rivalutare pesticidi e fertilizzanti, i prodotti biologici e gli OGM, il ridimensionamento dei formaggi, che in Francia sono 370 e, come diceva De Gaulle, fanno opinione. In definitiva il cambiamento verrebbe a costare all’”utente”, che siamo noi e i nostri figli, di più che rimanere con lo status quo ante.
Le critiche già vengono dai contemporanei, che hanno molti dubbi sulla sua fattibilità e sul salvataggio del pianeta. Vandana Shiva, l’ambientalista del Navdanya International che ha presentato in Italia il Manifesto Food for Health ribadisce lo stretto legame tra produzione industriale alimentare e la salute umana, ma osserva che il rapporto Eat-Lancet presenta grossi limiti poiché non affronterebbe il cruciale problema degli attuali sistemi intensivi agroalimentari che danneggiano il pianeta e la salute umana. Una vera follia, lo definisce Renata Alleva dell’Università di Bologna, coautrice dello stesso manifesto, rilevando che le indicazioni dell’ Eat-Lancet sono spesso elaborate per proteggere le multinazionali del settore e propongono “un approccio generalista e poco approfondito”.
Analoghe critiche vengono dal Sustainable Food Trust, i cui particolari tralascio perché sono materia da esperti. Non trascurando però il rapporto Grain nel quale si sentenzia convintamente che ridurre il consumo di carne e latticini sia da considerare un imperativo, specie nei paesi ricchi come gli USA e l’Europa. Mentre nello stesso editoriale che commenta quella ricerca Lukas Schwingshackl dell’Università di Friburgo, Bernard Watzi e Joerg Meerphol di altri prestigiosi centri tedeschi concordano che quegli ipotetici risultati dovrebbero essere interpretati con cautela e che l’adozione delle raccomandazioni del Eat-Lancet non sarebbero possibili per molti paesi a reddito basso a causa della loro scarsa produzione e fornitura di cibo locali.
Se questa campagna per il giusto riciclo dei vegetali avrà un seguito, magari con le dovute correzioni raccomandate dei tecnici competenti, si dovrà predisporre una vasta informazione nelle scuole e nella stampa, e magari attuare in un primo momento quella “rivoluzione” in comunità circoscritte, tipo ballon d’essai. Penso che la maggiore resistenza verrà dagli anziani, mentre i giovani mi sembrano più orientati al nuovo e meno radicati alla “buona tavola” imbandita dai loro genitori con tanto amore ma con tanta incompetenza.


Eligio Piccolo
Cardiologo