La vittoria di Pericle sui Persiani, il Partendone con le sculture di Fidia, le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide, le commedie di Aristofane, le storie di Erodono, la filosofia di Socrate, Platone e Aristotele, segnarono il periodo di massimo splendore dell’antica Grecia. Anche la medicina, l’astronomia, la geografia e la matematica erano in auge. Medico sommo fu Ippocrate, considerato discendente di Esculapio e padre della medicina, che trascorse la sua lunghissima vita nell’isoletta di Cos. La sua clinica era all’aria aperta, la sua cattedra sotto un grande platano che la leggendo vuole vivo abcor oggi dopo 2500 anni. Poco si sa della sua vita e nessuno dei busti esistenti può essere considerato il suo vero ritratto. Gli scritti che portano il suo nome sono raccolti in 60 volumi. Molti sono opera di allievi, ma fedelmente ispirati al suo pensiero. Sono stati ristampati per molti secoli in varie lingue anche in epoche recenti: l’edizione latina circolò per 1600 anni; Aldo Manuzio ne fece un’edizione in greco a Venezia nel 1525: in francese vennero editi in dieci volumi nel 1939. La prima edizione in italiano è del 1839, quella in tedesco del 1927. Vi è oggi chi auspica che gli “Aforismi” di Ippocrate vengano adottati come libro di testo per gli studenti in medicina. In realtà Ippocrate ben poco sapeva di anatomia e di fisiologia, ma aveva uno spirito di osservazione acutissimo, e “scientifico” era il suo modo di ragionare. Moltissimi segni e sintomi di malattie da lui riconosciute sono ancor oggi validissimi. Formulò numerosi criteri di prognosi. “I dolori acuti che interessano per qualche tempo la clavicola e la schiena sono funesti”. Anche se non dava un nome ai morbi, è presumibile che in quegli intensi dolori localizzati al petto avesse individuato la grave malattia del cuore scoperta venticinque secoli più tardi: l’infarto del miocardio. “Non deplorate la mancanza, nella mia esposizione, del nome delle malattie, scriveva. Sarà infatti la ricorrenza degli stessi sintomi in casi differenti a farvi identificare la malattia, la quale giungerà alla sua crisi nel tempo che io vi ho detto. Per prima cosa, consigliava, si deve esaminare la faccia del malato. Classica rimane la descrizione della “facies ippocratica”, segno di morte imminente: “naso affilato, occhi incavati, tempie infossate, orecchie fredde e coi lobi rivolti all’infuori, pelle secca e tesa, colorito giallo o molto scuro”. Faceva scarso uso di medicine, dava grande importanza alla dieta, sorvegliava attentamente il decorso della malattia e interferiva il meno possibile con la natura. Aveva capito che la maggior parte delle malattie ha tendenza alla guarigione: “l’organismo è medico delle nostre malattie”, la “vis medicatrix naturae”, la forza guaritrice della natura deve essere dal medico favorita, mai ostacolata. Ippocrate affermò anche i principi della deontologia medica raccolti nel giuramento che porta il suo nome, preso a modello dai medici di tutti i tempi e di ogni paese. Col “giuramento di Ippocrate” il medico si impegnava a tramandare la sua arte ai figli e ai discepoli, a prodigarsi nei limiti delle sue possibilità per il bene dei malati, a non rivelare i segreti professionali, a non effettuare pratiche abortive, a non diffondere informazioni sull’uso dei veleni. Alcuni “Aforismi” di Ippocrate meritano di essere ricordati. – Non disturbare il malato durante o subito dopo una crisi e non fate su lui alcun esperimento a base di purghe o altre sostanze irritanti, ma lasciatelo in pace. – I vecchi generalmente si ammalano meno dei giovani, ma se le loro malattie diventano croniche, durano quasi sempre fino alla morte. – Coloro che hanno mancamenti frequenti e gravi senza causa manifesta muoiono improvvisamente. – Le persone grasse sono più esposte delle persone magre a morte improvvisa
I padri della medicina