I centenari della Venezia Giulia
di Eligio Piccolo
20 Agosto 2021

“Le ragazze, le ragazze di Trieste, cantan tutte con ardore”, e noi con loro ai tempi spensierati della goliardia universitaria, mentre la loro città era ancora sotto il dominio Alleato in attesa della Liberazione. Erano proprio attraenti quelle biondine dalla parlata aperta e piuttosto disinibite rispetto alle nostrane di paese, per lo più allieve degli educandati religiosi, e che ti costringevano, come nel Barbiere, alle “cento trappole prima di cedere”. Tempi trapassati, che oggi fanno sorridere, ma che ricordo volentieri alla luce dello studio che i cardiologi dell’Università di Trieste stanno attuando su quelle stesse ragazze che oggi sono in via di raggiungere il traguardo dei 100 anni. Anzi alcune lo hanno già raggiunto e costituiscono l’85% del gruppo totale dei centenari da loro studiati, dove i maschi con il misero 15% devono forse piangere il maggior fumo, la vita più sregolata, chissà la guerra e forse i cromosomi meno compiacenti rispetto a quelli delle loro concittadine.
In effetti, la problematica sollevata con particolare attenzione clinica dai colleghi triestini è di grande attualità poiché, in contrapposizione ai singoli casi delle cronache del passato, raccolti nelle regioni caucasiche, o della Huna Valley del Pakistan o di Vilcabamba in Ecuador, dagli anni ’70 del secolo scorso invece i casi non sono più una curiosità da esploratori, ma vere statistiche grazie al prolungamento della vita media. Per ora vengono riferiti qualche centinaio o migliaio di casi in vari paesi, secondo la loro popolazione e sanità, ma con proiezioni che gli esperti dell’European Union prevedono raggiungeranno il mezzo milione nel 2050, rispetto ai 106.000 del 2018. Negli USA, dove tutto si ingrandisce, alcuni stimano che per quella data i loro centenari saranno 834.000, ma altri pronosticano addirittura sui 4 milioni. 

Insomma, dall’osservazione isolata di pochi decenni addietro, circoscritta alle patetiche interviste giornalistiche, nella quali il protagonista, attorniato dai parenti già anziani e magari davanti a una torta con un’unica candelina, doveva riferire il “segreto” del suo traguardo, che girava attorno all’alimentazione e all’attività fisica, siamo giunti ora all’epidemiologia. Peccato che agli intervistati di allora, quasi violentati, mancasse l’ironia di dire che mangiavano tutti i giorni uova e carne di maiale, fumavano un pacchetto di sigarette, bevevano un litro di vino e preferivano stare seduti a guardare la TV. Non che i salutisti di maniera avessero torto a perseguire i loro principi, ci mancherebbe, ma spesso apparivano così stucchevoli e noiosi.
I triestini, che si portano dietro una lunga esperienza nello studio delle malattie che offendono il muscolo del cuore, tra le quali anche la vecchiaia, hanno cercato di capire perché alcuni, anzi alcune, raggiungessero i 100, altri no. Approfittando del fatto che nella loro provincia la percentuale dei vecchissimi è tra le più alte d’Italia, il doppio rispetto al resto del paese. Essi sottolineano un dato, segnalato anche in altri paesi: la scarsa incidenza di malattie coronariche (infarto e affini), che dovrebbero invece essere più frequenti nell’età che avanza; stranamente rari sono pure il diabete, l’ipertensione bisognosa di terapia energica, mentre i loro cassetti risultano poco forniti di farmaci, contrariamente a quanto si osserva con l’aumentare degli anni e degli acciacchi. I ricercatori triestini hanno giustamente puntato la loro attenzione su quel muscolo-motore, da tanti anni il loro oggetto di studio, e la cui intimità è quella che ci fa capire meglio perché sia l’ultimo a lasciarci. Hanno interrogato in particolare l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma, che per chi li sa leggere hanno rivelato alcune sorprese. Sintetizzabili nell’assenza di molte delle vistose alterazioni osservate nell’età avanzata: rara la fibrillazione atriale e la necrosi, la conduzione elettrica dagli atri ai ventricoli è solo lievemente allungata, un unico caso aveva il pacemaker; mentre l’eco mostrava una contrattilità tutto sommato buona, non c’erano  gravi alterazioni delle valvole e la rigidità muscolare, progressiva nella vecchiaia, era per lo più di grado lieve. Un cuore, verrebbe da dire, tendenzialmente normale per l’età, inspiegabile finché non si rivaluteranno più a fondo i fattori genetici e quelli “ambientali”, come sembrano concludere gli stessi ricercatori. Considerazioni che furono in parte sospettate da alcuni studiosi danesi che 25 anni fa nei loro 207 casi avevano rilevato una relativa scarsa cardiopatia coronarica, ma purtroppo la presenza di demenza e ipertensione nella metà dei casi; con un solo soggetto sano (!). Per cui concludevano che da loro la centenarietà si accompagna a molti dementi, a solo il 25% di ben cognitivi e attivi e a quasi nessuno sano del tutto. 
Più vicini a quelli dell’enclave giuliana sono invece i risultati che si rifanno agli studi compiuti nelle Hawaii, a Okinawa e a Baltimora dal gruppo di Villcox (Journal of Gerontology, 2008), dove anche le autopsie confermano la scarsità delle patologie senili, la combinazione in soggetti gemelli che conferma il fattore genetico. In questo studio, come in altri, si rileva inoltre che la centenarietà appare come un nuovo “modello di successo dell’invecchiamento”, ma si rimarca soprattutto che in essa continua a non vedersi il “fenotipo”, termine familiare tra genetisti, che tradotto in parole semplici vuol significare la mancanza di una fisionomia caratteristica del centenario, chessò, il colore degli occhi, la forma del cranio, i fianchi nella donna. A Lombroso che vi si era dedicato fecero fare un brutto pensionamento, quindi avanti con i reperti, tenendo la fantasia nel retropensiero. Qualcuno da Salerno sta indagando su una proteina genetica dal titolo speranzoso di “longevity associated variant”, ma siamo ancora agli effetti sugli animali. 
Il cammino per raggiungere certi traguardi appare quindi ancora piuttosto lungo, ma quello relativamente breve e incisivo che mi ha permesso di vedere personalmente, grazie al gruppo triestino di Cannatà e Sinagra, la serena evoluzione delle ragazze di Trieste, ricche di buonumore e di un miocardio pieno di speranza, appare come una gentile premessa a “le magnifiche sorti e progressive”.


Eligio Piccolo
Cardiologo