A partire dagli anni ’90 la disponibilità nei paesi del mondo occidentale di una efficace terapia antiretrovirale (combination anti retroviral therapy cART) ha reso l’infezione da HIV una patologia cronica: la più lunga aspettativa di vita in questa popolazione si è associata alla comparsa delle malattie cardiovascolari. In particolare un gran numero di osservazioni ha rilevato la comparsa sempre più frequente di sindromi coronariche acute: l’infarto del miocardio si verifica in soggetti di età inferiore ai 50 anni.
Un recente articolo pubblicato sul Journal of American College of Cardiology cerca di rispondere, per quanto è dato di conoscere allo stato attuale, ad una serie di domande:
- la cardiopatia ischemica ha una prevalenza maggiore nella popolazione degli infetti da HIV e si manifesta più precocemente rispetto alla popolazione generale?
- La terapia anti retro virale ha un impatto sul rischio cardiovascolare?
- Il meccanismo fisiopatologico alla base è lo stesso nella popolazione generale?
- La malattia ha una prognosi differente negli HIV infetti?
- Quali sono le caratteristiche cliniche e angiografiche della malattia coronarica negli HIV positivi?
- La malattia coronarica può essere prevenuta in questi pazienti?

Se in precedenza lo spettro delle malattie opportunistiche AIDS correlate era responsabile della morte precoce di questi soggetti, in recenti rilievi la morte per cause cardiovascolari è stata valutata intorno al 6.5% delle morti globali in una larga coorte di pazienti europei e nord-americani, pari all’8% in uno studio francese e al 15 % in un lavoro su pazienti ambulatoriali HIV infetti negli Stati Uniti. La malattia coronarica ha maggiore prevalenza e compare più precocemente (età media 48 anni) presumibilmente dovuta ad una accelerazione dell’aterosclerosi nella popolazione HIV.
La cART è comunemente definita come una combinazione di 3 farmaci antiretrovirali , in genere due inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa (NRTIs) e un inibitore della proteasi (PI) o un inibitore non nucleosidico della transcriptasi inversa (NNRTI) e un inibitore dell’integrasi.
L’assunzione di inibitori della proteasi è stata associata ad un incremento della colesterolemia, ma, in generale, indipendentemente dalle modificazioni del profilo lipidico, sembra avere un impatto diretto sull’infarto del miocardio (indinavir, opinavir, ritonavir). Va sottolineato però che il rapporto rischio beneficio rimane comunque a favore dell’assunzione delle PIs poiché l’incremento dell’aspettativa di vita supera di gran lunga il rischio di infarto.
Se paragonati a soggetti di pari età i sieropositivi sono in maggior numero fumatori, diabetici, dislipidemici, ipertesi e insulino-resistenti. Ma accanto a questi fattori tradizionali l’attivazione immunitaria, la funzione renale, l’infiammazione (oltre alla cART) sono stati associati in questa popolazione all’aumentato rischio di infarto, così pure la frequente assunzione di cocaina. Inoltre un rischio di cardiopatia è stato osservato nei bambini HIV infetti di madri sieropositive in trattamento antiretrovirale e non, così pure nei bambini non HIV infetti di madri sieropositive in cART.

L’HIV e la cART possono promuovere la comparsa di precoce aterosclerosi con vari meccanismi. Il danneggiamento della funzione epatica e l’accumulo di tessuto adiposo conducono a disturbi del metabolismo (insulino-resistenza, dislipidemia, diabete), la residua replicazione dell’HIV anche in presenza di potente terapia antiretrovirale e l’attivazione di altri virus (ad esempio citomegalovirus) promuovono un’attivazione permanente del sistema immunitario ed una senescenza dello stesso e infine lo stato infiammatorio cronico sono tutti processi in grado di favorire un danno precoce dell’endotelio vascolare e la comparsa di aterosclerosi e di sindromi coronariche acute.
Il “tipico” paziente è un giovane maschio (età <50 anni in più del 90% dei casi) con una lunga storia di malattia da HIV (>8 anni) in trattamento antiretrovirale che in genere include un inibitore delle proteasi, fumatore e dislipidemico. La malattia in genere riguarda un solo vaso (tra il 35 e il 56% dei pazienti). Il successo iniziale delle procedure di rivascolarizzazione percutanea sembra simile a quello della popolazione generale e le percentuali di trombosi acuta e tardiva degli stent sono basse (tra 1 e 4%) e anch’esse sovrapponibili a quelle riscontrate nella popolazione generale.
Il trattamento di questi soggetti è sovrapponibile a quello dei pazienti non HIV, farmaci di elezione nell’ipertensione sono gli inibitori del sistema renina angiotensina per la grande efficacia nella protezione dell’endotelio vasale. Particolare attenzione va posta nei confronti della dislipidemia e della disfunzione del tessuto adiposo. Il profilo lipidico va attentamente monitorizzato e controllato prima e a tre e sei mesi dall’avvio della terapia antiretrovirale e poi annualmente in assenza di anomalie. Alcuni tra i farmaci antiretrovirali appartenenti alle categorie PIs e NNRTs sono inibitori o induttori del sistema dei citocromi e pertanto possono favorire la tossicità delle statine o la diminuzione della loro efficacia e pertanto particolare cautela va utilizzata nella valutazione delle eventuali interazioni. Così pure per la stessa ragione non va prescritto il ticagrelor nei pazienti candidati ad angioplastica in trattamento con inibitori della proteasi.
Fonti:
Boccara F, Lang S, Meuleman C et al. HIV and Coronary Heart Disease. Time for Better Understanding J Am Coll Cardiol 2013; 61:511-523
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma