FIBRILLAZIONE ATRIALE E RISCHIO DI ICTUS
di Antonella Labellarte
30 Marzo 2012

Nelle news letter di gennaio e novembre 2011 abbiamo parlato di fibrillazione atriale, cosa è, perché o quando compare, quali i rapporti con la dieta, quali sono le possibilità di cura. Brevemente, si tratta di un’aritmia cardiaca molto comune, la stima in Europa è di 4.5 milioni di persone affette.
Oggi tentiamo di parlare in modo, per quanto possibile breve e chiaro, della sua complicanza più temibile: l’ictus cerebrale. Esso si verifica perché dal cuore, le cui camere atriali si contraggono in maniera incoordinata, possono partire degli emboli che raggiungono i vasi che irrorano il cervello.

Circa il 15% di tutti i pazienti con ictus sono affetti da fibrillazione atriale che può causare dei sintomi o essere presente in modo silente, cosicchè la si scopre per la prima volta effettuando un elettrocardiogramma casualmente o, appunto, al verificarsi di un ictus. La fibrillazione atriale è un fattore di rischio indipendente per la comparsa di ictus, in sua presenza, infatti, il rischio di ictus aumenta del 5%. Il rischio di ictus persiste anche se la frequenza cardiaca è ben controllata grazie all’ assunzione di farmaci. L’ictus è più frequente nelle donne, può riguardare territori cerebrali multipli, associarsi a demenza, può essere altamente invalidante o fatale.

Fin da quando questa temibile complicanza è stata documentata, si è cercato di prevenirla e i farmaci più efficaci, in caso di impossibilità di riportare il cuore ad un ritmo costantemente normale, sono risultati essere gli anticoagulanti orali (dicumarolici), che hanno dimostrato nel tempo la capacità di ridurre l’incidenza di eventi ischemici cerebrali. Ma questi farmaci non sono esenti da effetti: poiché intervengono nel meccanismo della coagulazione, rendendo il sangue molto “fluido”, possono facilitare la comparsa di emorragie.
A breve una nuova classe di farmaci potrà essere utilizzata per la prevenzione dell’ictus nella fibrillazione (rivaroxaban, dabigatran, apixaban), ma fino ad oggi la terapia anticoagulante orale con dicumarolici prevedeva un attento monitoraggio dei valori della coagulazione mediante frequenti prelievi di sangue. I pazienti che seguono questo trattamento sanno che bisogna controllare periodicamente l’INR (International Normalized Ratio), che deve essere mantenuto tra 2 e 3.
Se tutte le fibrillazioni atriali sono potenzialmente a rischio di ictus, gli studiosi hanno però cercato di identificare quali fossero i pazienti a rischio più basso e che quindi possano assumere solo aspirina e non terapia anticoagulante e quelli a rischio elevato.
Sono state messe a punto, per mezzo di studi clinici, delle tabelle per stratificare il rischio, con l’indicazione di punteggi che, sommati, consentono di identificare i pazienti a rischio basso, intermedio ed elevato.

L’ultima (2011) e più completa è quella basata sul CHA2DS2-VASc score, acronimo inglese le cui iniziali stanno ad indicare:

FATTORI DI RISCHIOSCORE (punteggio)
C Cardiac failure (insufficienza cardiaca)1
H Hypertension (ipertensione)1
A Age (età) ≥ 75 anni2
D Diabetes (diabete)1
S Stroke (ictus)2
V Vascular disease (malattia vascolare)1
A Age (età) 65-74 anni1
S c Sex category (sesso femminile)1

Un punteggio ≥2 individua pazienti ad alto rischio in cui è assolutamente indicata la terapia anticoagulante orale.
Un punteggio pari a 0 identifica i pazienti a rischio basso che possono assumere solo aspirina o nessuna terapia antitrombotica.
Il punteggio pari a 1 identifica la fascia intermedia dei pazienti per i quali rimane comunque ragionevolmente consigliata la terapia anticoagulante orale.

Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma