Fibrillazione Atriale e Prognosi: Oltre l’Aritmia.
di Rosa Maria Manfredi
14 Novembre 2023

Introduzione: La fibrillazione atriale (FA) è un’aritmia molto frequente e presenta un andamento in crescita nel tempo. Infatti si stima che la prevalenza sarà di 15,9 milioni di persone entro il 2050 negli Stati Uniti e di 17,9 milioni di persone entro il 2060 in Europa. La prognosi a lungo termine dei pazienti (pz) con FA è tuttora oggetto di studio, molti lavori riportano un aumento dell’ospedalizzazione, mentre sul tasso di mortalità non sempre vi è concordanza [1]. Dal Framinghan Heart Study vi sono due interessanti Lavori: uno Studio [2] ha focalizzato l’attenzione sulla percentuale di incidenza e dei fattori predisponenti della FA nelle varie decadi dello Studio (dal 1958 al 2007), evidenziando come i diabetici e gli obesi siano più esposti a tale aritmia, mentre per quanto riguarda la prognosi descriveva come nel tempo vi fosse una diminuzione della mortalità e dell’incidenza di stroke. Un altro Studio [3], che ha esaminato gli anni dal 1972 al 2015, ha mostrato un aumento della mortalità nei pz con FA rispetto a quelli senza, con un lieve trend di riduzione di mortalità nel corso del tempo (da −2.85 anni di vita dalla prima decade a – 1.99 anni di vita nella terza decade: dal 2001 al 2015).

Scopo dello Studio: è di valutare nel tempo il tasso di mortalità e di ospedalizzazione nei pz con FA, anche al fine di visualizzare l’effetto della terapia sulla prognosi [1].

Materiali e Metodi: E’ stato utilizzato un ampio database longitudinale delle cartelle cliniche elettroniche (EHR), della popolazione del Regno Unito, dal Gennaio 2001 al Novembre 2018, collegato con il registro nazionale dei decessi, restringendo l’analisi a un campione rappresentativo di circa il 7%. Sono stati inclusi i pz con una nuova diagnosi di FA di età ≥ ai 16 anni (aa) e sono stati analizzati gli eventi avversi (mortalità e ospedalizzazione causa-specifica) ad 1 aa di distanza dalla diagnosi. La popolazione è stata ulteriormente stratificata per sesso, età, status socio-economico e contesto diagnostico-assistenziale e per cause di eventi avversi raggruppate in: cause cardiovascolari, cause cerebrovascolari e non cardio/cerebrovascolari (non-CCV), al fine di analizzare l’impatto delle strategie terapeutiche sulla riduzione degli eventi cardiovascolari e dell’ictus; a tal fine sono stati poi comparati tra loro i primi 2 anni (2001/02) e gli ultimi 2 (2016/17) del lasso temporale dello Studio.

Risultati: Sono stati arruolati 72.412 pz con diagnosi di FA tra il 2001 e il 2017, l’età media dei pz era di 75,6 anni, il 43,2% aveva un’età ≥ a 80 anni, il 48,2% erano donne e il 61,8% presentava 3 o più comorbilità. Durante il periodo di osservazione dello Studio si è verificato un aumento del carico di comorbidità, in particolare del diabete, del cancro e della malattia renale cronica.

Mortalità: La mortalità totale a un anno dopo la diagnosi di FA è stata del 20,0% con un trend di riduzione nel 2016/17 verso il 2001/02 (RR aggiustato per 5 anni, 0,90, CI 95% 0,88-0,92; RR 2016/17 vs. 2001/02, 0,72, CI 95% 0,65–0,80). Per quanto riguarda le cause di mortalità vi è stata una riduzione per le cause di morte cardiovascolari e cerebrovascolari rispettivamente dal 7,3 e 2,6% negli anni 2001/02 al 3,0% e 1,1% nel 2016/17 (RR 2016/17 vs 2001/02, causa cardiovascolare RR 0,46, 95% CI 0,37–0,58; causa cerebrovascolare RR 0,41, CI 95% 0,29–0,60). Al contrario, i tassi di mortalità per cause non-CCV non sono significativamente mutati nel tempo.

Per quanto riguarda l’analisi dettagliata delle cause di morte vi è stato un aumento dei tassi di mortalità per disturbi mentali e neurologici, dal 2,5% nel 2001/02 al 10,1% nel 2016/17 (RR 2016/17 vs 2001/02, 2,95; CI 95% 1,86–4,67) e di questi decessi, l’87,2% è stato causato da malattie neurodegenerative (demenza, malattia di Parkinson e di Alzheimer). Inoltre tra i pazienti deceduti nel 2016/17 le causa di morte più frequenti sono state: il cancro (il 29,0% di tutti i decessi), le infezioni (10,4%), le malattie respiratorie croniche (10,2%) e i disturbi mentali e neurologici (10,1%) le quali, raggruppate, sono risultate più numerose dei decessi per malattie cerebrovascolari (7,0%; P < 0,001). Ulteriori analisi delle singole cause di morte hanno rivelato che nel 2016/17 sono morti per demenza più pazienti rispetto alla mortalità combinata dell’infarto miocardico acuto, insufficienza cardiaca e ictus (67 (8,0%) vs. 56 (6,7%), P < . 001).

La mortalità per tutte le cause, stratificata per età, è diminuita nel tempo, soprattutto la mortalità cardiovascolare. Tale effetto è più evidente nei pz più giovani, mentre nei pz con età ≥ a 80 anni si registra un uguale tasso di mortalità per cause non-CCV. Per quanto riguarda l’analisi del tasso di mortalità di altri sottogruppi si è visto come essa sia più alta tra gli uomini, tra i pz più indigenti e nei pz che ricevevano la prima diagnosi di FA durante un ricovero ospedaliero.

Ospedalizzazioni: Il numero di ricoveri ospedalieri entro il primo anno di diagnosi della FA è elevato (1,72 ricoveri per pz/anno) con andamento crescente durante il periodo di osservazione e sono per la maggior parte rappresentati da recidiva di FA, con percentuale stabile durante il periodo di studio, e da ricoveri per infezione, questi ultimi in aumento negli ultimi anni (2016/17 vs 2001/02). Al contrario i ricoveri per malattie cardiovascolari e cerebrovascolari sono meno di un quinto di tutti i ricoveri (18,6%) con un trend di riduzione negli ultimi anni. Parallelamente, per le categorie di malattie non-CCV, i ricoveri sono aumentati del 42% nel 2016/17 rispetto al 2001/02. Tra i sottogruppi analizzati, inoltre, la probabilità di nuovo ricovero ad 1 anno è aumentata nei pz con prima diagnosi di FA in Ospedale e tra i pz con età ≥ a 80 anni.

Discussione e Conclusioni: Dall’inizio del Millennio vi è una riduzione della mortalità cardiovascolare e cerebrovascolare e dei ricoveri ad essi correlati, alla quale si contrappone l’aumento del numero di decessi per malattie respiratorie croniche, demenza, infezioni e cancro. Infatti il rischio relativo di morte per cause cardio/cerebrovascolari (CCV) dopo la diagnosi di FA è diminuito di oltre il 50% in 16 anni, verosimilmente ciò è legato al maggiore utilizzo di anticoagulanti orali (in particolare anticoagulanti orali diretti). Per quanto riguarda la prevalenza, al momento della diagnosi di FA, della cardiopatia ischemica e dell’insufficienza cardiaca essa risulta inferiore nel 2017 rispetto al 2001, probabilmente a causa di una migliore prevenzione primaria e secondaria di tali malattie.

Considerazioni: Questo Studio [1] molto dettagliato, che rappresentante una fetta del mondo reale, mostra come la fibrillazione atriale sia una malattia in aumento, e sia associata con frequenza a malattie croniche (come le malattie neurodegenerative) la cui gestione impatta in modo sfavorevole sull’impiego di risorse umane ed economiche.

In tal contesto la FA a mio parere, si può incasellare essa stessa tra le malattie degenerative, sia per la sua prevalenza nell’anziano, sia per l’associazione con malattie non cardiovascolari come le infezioni e le demenze, inquadrandosi così quasi come parte di una “malattia sistemica”. Le alterazioni anatomopatologiche che si verificano all’interno dell’atrio, rappresentate dalla fibrosi progressiva delle sue pareti, contribuiscono al recidivare e al mantenersi dell’aritmia, e si associano a un aumento degli eventi avversi cerebrovascolari [4]. La FA, quindi, e soprattutto la fibrosi atriale, può essere una spia di qualcosa di più esteso a livello sistemico. Ulteriori Studi saranno necessari per comprendere tali meccanismi ed il loro significato clinico-prognostico.

Bibliografia: