EPIDEMIOLOGIA DI GREGGE
di Eligio Piccolo
01 Agosto 2020

E’ bastato un virus parainfluenzale, duro da domare tuttavia, per dare ancora una volta al mondo impaurito lo spettacolo impietoso degli egoismi più atavici. Che ci riportano al passato, ai tempi della prima sifilide o della spagnola, quando le potenze più accreditate si lanciavano l’accusa l’un l’altra sull’untore, sul primo uomo o comunità che per insipienza o trascuratezza avevano dato inizio alla grave infezione. Per la spirocheta pallida, importata dal nuovo mondo nel XVI secolo, gli accusati secondo i differenti “punti di vista” furono i francesi, i napoletani o gli spagnoli; mentre per la micidiale influenza postbellica del 1918-20, gli spagnoli non belligeranti si presero l’epiteto solo perché furono i primi ad annunciarla, ma la vera origine è rimasta controversa fra gli Stati Uniti nel Kansas, l’Asia, la Francia e l’Austria. I danni di questa “spagnola” furono enormi, si è calcolato dai 50 ai 100 milioni di decessi; mentre quelli del “morbo gallico” sono non quantificabili, a causa delle molte conseguenze trasmesse geneticamente. Ma anche le successive epidemie, l’“asiatica” degli anni ’50 del secolo scorso e la più recente “sars” hanno lasciato un segno preoccupante.


Epidemia, pandemia ed epidemiologia, termini derivati dal greco epi-pan, la diffusione, e demos, il popolo, sono usati in medicina per indicare gli studi su malattie o fattori di rischio, che gravano in una regione o nel mondo fino a provocarne complicazioni o decessi. Mediante i numerosi trial-studi moderni eseguiti sulle popolazioni e quelli in laboratorio abbiamo capito l’origine, la diffusione e gli effetti terapeutici dei rimedi in molte patologie: dal vaiolo alla poliomielite, dal morbillo alla cardiopatia reumatica, dall’ipertensione all’arteriosclerosi. Oggi è di attualità una nuova malattia infettiva causata da un virus che in alcuni casi toglie il respiro e la vita, il coronavirus, di cui non si conoscono né il pedigree né l’evoluzione precisa; che per certi aspetti fa pensare a quelli influenzali, ma contro il quale purtroppo non abbiamo né farmaci curativi né vaccini preventivi. Li stanno costruendo in varie parti del mondo, ma hanno tempi lunghi e nel frattempo le misure per arginarne la diffusione e intervenire sulle gravi complicazioni stanno mandando in crisi le sanità dei paesi più colpiti.
Sta tentando di dissociarsi in questa battaglia la pragmatica Inghilterra, la quale, sempre propensa agli exit dalle responsabilità onerose e coinvolgenti, per bocca dell’ineffabile e genialoide Boris Johnson aveva proposto l’immunità di gregge, anche al costo di “perdere i nostri cari”. Per gregge s’intende con Leopardi il popolo, come quando il poeta si lamentava di diventare “sprezzator degli uomini…per la greggia ch’ho appresso”, ma non ne chiedeva il sacrificio umano. Come invece si evince dalla proposta del premier britannico, preoccupato dei sacrifici economici che alcuni paesi europei stanno facendo e dai costi di una sanità che si dovrebbe far carico di costose rianimazioni. Ma poi anche lui, colpito personalmente, ha dovuto innestare la retromarcia.


Perfida Albione fu definita da alcuni scrittori francesi di fine ‘700, che sentivano l’Inghilterra una loro nemica invadente, ma poi un italiano da uno storico balcone rincarò la dose declamando che gli inglesi “sotto la scorza dei gentlemen racchiudono la rozza pelle dei barbari conquistati da Giulio Cesare!”. O addirittura l’irripetibile “bestemmia” propagandata dal giornalista aretino Mario Appelius. Sono fantasie retoriche certamente, che però fanno intravedere un pragmatismo quasi cinico, il quale passa sopra a certi valori etici che commuovono noi latini, fanno pensare alle “lacrime e sangue” di Churchill nell’ultima guerra e alla teoria del loro Charles Darwin. Estrapolando la quale i più deboli soccombono, mentre sopravvivono coloro che sono in grado di costruirsi un’immunità efficiente, i più forti. Nella storia però gli inglesi non sono soli, pensiamo ai greci del monte Ida, ai romani della rupe Tarpea e alle guerre stesse che provocano spesso una forma di selezione, specie quando intervengono fattori razziali o religiosi.
A proposito di gregge gli animali sono più genuini di noi. I maschi lottano in vario modo per alimentarsi e per conquistarsi le femmine migliori, senza pregiudizi, solo per far sopravvivere i più validi. In un certo senso sono come noi ai tempi dell’Eden, si fanno guidare dall’istinto naturale, non da certe comodità del libero arbitrio. Tuttavia noi, poveri uomini e povere donne, non possiamo né dobbiamo certo rinunciare alle meravigliose conquiste dell’evoluzione umana, anzi perseguire il loro aumento, perfezionarle. Che vita sarebbe la nostra senza i progressi del pensiero, della scienza, della poesia, della musica, del rapporto umano? Della ricerca dell’amore verso il prossimo? E’ una lotta continua e in un certo senso una condanna, di cui la filosofia cerca le ragioni, ma ogni volta che ci rivolgiamo al gregge con spirito comunitario, come i nostri eroici sanitari nel recente periodo di tempo del coronavirus, si cancella automaticamente il superfluo, gli orpelli inutili, e rimane la vita degna di essere vissuta.

Eligio Piccolo
Cardiologo