Empagliflozin nei pazienti con infarto miocardico acuto: lo studio EMMY. L’ultimo pezzo del puzzle?
di Alessandro Battagliese
08 Novembre 2022

L’impiego precoce delle gliflozine nei pazienti con infarto miocardico acuto è efficace e sicuro?

A questa domanda hanno cercato di rispondere von Lewinski e collaboratori nel trial EMMY pubblicato in fast track sull’ultimo numero dello European Heart Journal.

I colleghi austriaci hanno condotto un trial randomizzato, multicentrico, in doppio cieco in cui è stata testata l’efficacia di un inibitore dell’SGLT2, l’empagliflozin, al dosaggio di 10 mg contro placebo in una popolazione con infarto miocardico acuto esteso ad elevato rischio di sviluppare scompenso cardiaco.

Si tratta di circa un 15% di tutti gli infarti, a prescindere dal tempo precoronarico, dal door to balloon e dall’estensione dell’area infartuale.

L’identificazione di nuove terapie per ridurre il rischio di scompenso cardiaco di nuova insorgenza e morte nel post-infarto è quindi di fondamentale importanza.

Il sacubitril/valsartan non si è dimostrato efficace in sostituzione al ramipril nel ridurre morte e scompenso cardiaco tra i pazienti con infarto miocardico acuto.

Le gliflozine hanno un potente effetto antinfiammatorio e metabolico con effetti favorevoli nei trial di outcome cardiovascolare già nelle fasi precoci di trattamento indipendentemente dalla presenza o meno di diabete.

Questo il razionale su cui si poggia il trial.

È stata arruolata una popolazione di 476 pazienti con infarto miocardico acuto esteso, caratterizzato da un rialzo del valore di CPK superiore a 800 U/L e della troponina T o I di circa 10 volte il limite superiore di normalità, con un filtrato glomerulare superiore a 45 ml/min/1,73m2 ed età compresa tra 18 e 80 aa. Criteri di esclusione la presenza di diabete mellito tipo 1, instabilità emodinamica, concomitanti infezioni del tratto genito-urinario o trattamento con gliflozine nelle 4 settimane precedenti l’arruolamento.

Nella popolazione randomizzata a empagliflozin il trattamento veniva iniziato solitamente entro 72h dall’angioplastica a condizione che non vi fosse una condizione di instabilità di circolo e che la pressione arteriosa risultasse superiore o uguale a 110/70 mmHg.

Obiettivo primario la riduzione del NT-pro-BNP a 26 settimane. Obiettivi secondari le modifiche di parametri di funzione sistolica e diastolica e di geometria ventricolare sinistra tra cui frazione di eiezione, rapporto E/e’, volume telediastolico e telesistolico del ventricolo sinistro, le modifiche dell’emoglobina glicata e dell’indice di massa corporea.

Obiettivi di sicurezza l’incidenza di eventi avversi seri, di ipoglicemie, di infezioni del tratto genito-urinario, lo sviluppo di chetoacidosi o la comparsa di insufficienza epatica o renale.

Le due popolazioni sono risultate ben bilanciate con una età media di 57aa, in prevalenza di sesso maschile (82%), frazione di eiezione media del 50%, livelli di peptide natriuretico basali di circa 1300 pg/ml; solo il 13% era diabetico. Il Filtrato glomerulare medio era di 92ml/min/1,72 m2.

Al momento dell’arruolamento circa il 96% dei pazienti assumeva ACE-I/ARB e Beta bloccanti; il 40% circa era in trattamento con MRA, il 100% con antiaggreganti ed il 97% con statine.

Si trattava pertanto di una popolazione relativamente a basso rischio, ben trattata e con frazione di eiezione prevalentemente preservato lievemente depressa.

I pazienti con infarto miocardico acuto sottoposti a rivascolarizzazione miocardica percutanea mediante angioplastica e precocemente trattati con empagliflozin avevano valori di NT-pro-BNP a 26 settimane più bassi con una riduzione assoluta rispetto a placebo del 16%, indipendentemente dei valori di BNP di partenza, del sesso e della presenza o meno di diabete, con una riduzione che iniziava a divenire significativa precocemente dopo 6 settimane.

In entrami i sottogruppi si è osservato un incremento della frazione di eiezione del ventricolo sinistro già a 6 settimane risultata significativamente più marcata nel gruppo di trattamento. Anche il rapporto E/e’ è risultato significativamente migliore nei pazienti randomizzati a empagliflozin.

Il trattamento con gliflozina ha determinato un significativo rialzo delle concentrazioni di corpi chetonici in assenza di chetoacidosi.

Nessuna differenza significativa nei due gruppi relativamente agli eventi avversi, anche in termini di infezioni genito-urinarie. Non si sono verificati casi di amputazione, severa ipoglicemia o chetoacidosi.

Commenti:

Per la prima volta è stata testata l’efficacia e la sicurezza di una gliflozina nei pazienti con infarto miocardico acuto sottoposti ad angioplastica coronarica; ciò rende il trial molto interessante e meritevole di considerazione nonostante i limiti. L’impiego precoce di empagliflozin in questo setting ha determinato una significativa riduzione dei livelli dei peptidi atriali ed un significativo miglioramento della frazione di eiezione del ventricolo sinistro e degli indici di funzione diastolica in assenza di eventi avversi significativi.

Circa il 15% degli infarti si complica con scompenso cardiaco e va incontro ad almeno una ospedalizzazione nei dodici mesi successivi.

L’ NT-pro-BNP è un marker di attivazione neuro-ormonale, di stress emodinamico ed è predittivo di eventi cardiovascolari.

La riduzione dei livelli di questo ormone dopo infarto miocardico acuto e soprattutto l’entità del delta di concentrazione rispetto al basale a distanza di giorni, settimane o mesi dall’evento acuto è un robusto predittore di eventi cardiovascolari.

Anche il miglioramento della frazione di eiezione e dei parametri di rimodellamento ventricolare sinistro dopo infarto sono importanti predittori di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e morte cardiovascolare come documentato nel BEST trial.

Lo studio ha diversi limiti tra cui: 1) la numerosità limitata del campione e come diretta conseguenza la presenza di end-point surrogati; 2) il fatto che è stato condotto in un unico paese per cui non è noto se i benefici documentati siano estendibili a popolazioni diverse; 3) la scarsa rappresentanza di soggetti di sesso femminile nella popolazione di studio (18%); 4) la presenza di una popolazione a basso rischio e con filtrato glomerulare non particolarmente compromesso.

Nonostante i limiti dello studio, agli autori va il merito di aver generato una nuova ipotesi di cura, di aver dimostrato che l’utilizzo delle gliflozine nell’infarto miocardico acuto è fattibile, sicuro ed efficace; questo probabilmente rappresenta l’ultimo pezzo del puzzle terapeutico degli inibitori dell’SGT2, da considerare ormai a tutti gli effetti dei “cardiovascular risk modifiers”.

Gli studi in corso DAPA-MI ed EMPACT-MI rispettivamente con dapagliflozin ed empagliflozin effettuati su popolazioni più numerose e con elevato profilo di rischio valuteranno l’effetto di questa classe di farmaci dopo infarto miocardico acuto su outcome più robusti

Bibliografia consigliata:

  1. von Lewinski D, Kolesnik E, Tripolt N, Pferschy P, Benedict M, Wallner M, et al. Empagliflozin in acute myocardial infarction: the EMMY trial. Eur Heart J 2022;43: 4421–4432.
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