La risonanza magnetica (RM) è il test di scelta in molte condizioni in virtù del suo profilo di sicurezza, l’assenza di radiazioni, il non uso di mezzi di contrasto iodati e, non ultimo, l’elevata qualità dello studio dei tessuti molli.
Una delle controindicazioni storiche all’esecuzione di una RM è la presenza di un dispositivo cardiaco impiantabile: pacemaker (PM) o defibrillatore (ICD). Tali dispositivi, infatti, quando vengono esposti al campo magnetico di una RM possono andare incontro ad un eccessivo surriscaldamento che può indurre un danno miocardico termico, aritmie, alterazioni degli elettrocateteri, variazioni dei parametri di pacing e sensing. Tale limitazione è stata in gran parte superata dall’introduzione dei dispositivi MRI-conditional, che ha consentito, fatto salvo il rispetto di rigorosi protocolli operativi, l’uso di tale metodica di imaging nei portatori di questi dispositivi di ultima generazione. Un gran numero di pazienti è però portatore di device più obsoleti, per i quali, teoricamente, permane la controindicazione alla RM. Diversi studi come il MagnaSafe Registry (1) (1.500 pazienti con PM o ICD sottoposti a RM non toracica a 1.5 T) o quello di Nazarian (2) (1.509 pazienti sottoposti anche a RM toracica) hanno però mostrato la sicurezza della metodica anche nei portatori di dispositivi non MRI conditional e ciò ha portato alla pubblicazione del consensus statement dell’Heart Rhythm Society (3) che contempla il ricorso alla RM con tutti i dispositivi, purchè non vi siano elettrocateteri abbandonati.
La presenza di elettrocateteri abbandonati, ossia non più in continuità elettrica con un PM o un ICD, rappresenta, infatti, la condizione in cui è massimo il rischio di possibili eventi avversi in corso di RM, in quanto tali frammenti vanno incontro ad un surriscaldamento superiore a quello degli elettrocateteri collegati ad un generatore. Il surriscaldamento può essere tale da indurre un danno termico del miocardio o danneggiare gli adiacenti elettrocateteri in uso, anche se MRI conditional. L’elettrocatetere, infatti, può assorbire l’energia prodotta dal campo magnetico della RM e condurla fino all’interfaccia tra catetere e miocardio. La conseguente formazione di edema può transitoriamente alterare la funzione dell’elettrocatetere e tale variazione può divenire permanente in caso che l’edema evolvi in fibrosi. Per tale motivo in questo contesto la RM è preclusa e, se proprio indispensabile, deve essere preceduta dall’estrazione, non priva di rischi, dei cateteri abbandonati.
Un recente studio pubblicato su JAMA Cardiology (4) ha però valutato la sicurezza dell’esecuzione di una RM in 139 pazienti, età media 65 anni, portatori complessivamente di 243 elettrocateteri abbandonati (media 1,22 per paziente), sottoposti ad esami di vari distretti corporei tra cui, nel 25% dei casi, il cuore. La tipologia degli elettrocateteri abbandonati era molto eterogenea comprendendo cateteri da stimolazione (atriali, ventricolari destri e sinistri), da defibrillazione, epicardici, sottocutanei e frammenti di cateteri. Nel 3% dei soggetti era presente una combinazione di cateteri endocardici ed epicardici. Nell’1,5% dei casi i pazienti avevano solo i cateteri abbandonati, negli altri i dispositivi attivi spaziavano dai PM mono-, bi- e tricamerali, agli ICD bi- e tricamerali e sottocutanei, con (nel 3%) una combinazione di cateteri endocardici ed epicardici. 64 pazienti (46% del totale) erano PMK dipendenti.
In totale si sono osservati solo 6 eventi avversi: in 4 casi si è assistito ad una riduzione temporanea del 58% del sensing atriale destro, sempre gestita con riprogrammazione dei dispositivi, senza conseguenze cliniche e regredita al successivo controllo del dispositivo, eseguito a distanza di almeno 5 giorni. In un paziente si è invece verificata una riduzione del 48% del sensing del catetere ventricolare sinistro, anche questa regredita spontaneamente dopo 24 ore. Infine un paziente, con un elettrocatetere abbandonato di un ICD sottocutaneo, ha sperimentato calore sternale che ha portato all’interruzione precoce dell’esame (unico caso di RM non condotta a compimento) e che è cessato con il termine dell’esame. Durante l’esecuzione della RM non si sono verificati reset dei dispositivi, tachiaritmie sostenute o variazioni clinicamente significative di segni vitali, voltaggio della batteria del dispositivo e della frequenza di stimolazione. Nessuno degli 83 pazienti per cui era disponibile un follow up a distanza (media 14 mesi), infine, ha presentato eventi tardivi imputabili alla RM.
Alcuni piccoli studi precedenti avevano già suggerito la possibile sicurezza della RM anche in presenza di elettrocateteri abbandonati. Questo registro supporta tale ipotesi, anche in forza della sua maggiore casistica, dell’eterogeneità dei dispositivi e dei cateteri abbandonati, e dell’elevata percentuale di pazienti sottoposti ad esame della regione toracica. Non va però dimenticato che i dati derivano da un solo centro, che l’intensità studiata della RM era di 1,5 T e quindi tali risultati non possono essere estrapolati a campi magnetici di maggiore intensità, che i pazienti con solo cateteri abbandonati senza un dispositivo attivo erano un’esigua minoranza, solo l’1,5%, e che, infine, l’effetto della RM sui cateteri abbandonati, in termini di riscaldamento ed induzione di corrente, dipende dalla loro lunghezza e dal loro essere o meno incappucciati all’estremità.
In conclusione, sebbene la presenza di elettrocateteri abbandonati possa non costituire più una controindicazione assoluta ad eseguire una RM, l’indicazione a tale esame, in questo contesto clinico, deve essere ben ponderato, caso per caso, soppesando i possibili rischi e benefici, valutando la possibilità di ricorrere a metodiche diagnostiche alternative e rispettando rigorosamente i previsti protocolli d’esecuzione. Di sicuro non sembra però più ragionevole sottoporre il paziente al rischio di un’estrazione di eletrocateteri abbandonati col solo obiettivo di eseguire una RM.
Bibliografia
- Russo RJ. Determining the risks of clinically indicated nonthoracic magnetic resonance imaging at 1.5 T for patients with pacemakers and implantable cardioverter-defibrillators: rationale and design of the MagnaSafe Registry. Am Heart J 2013; 165: 266-272
- Nazarian S, Halperin HR. Magnetic resonance imaging and cardiac devices. N Engl J Med 2018; 378: 1652-1653
- Indik JH, Gimbel JR, Abe H et al. 2017 HRS expert consensus statement on magnetic resonance imaging and radiation exposure in patients with cardiovascular implantable electronic devices. Heart Rhythm 2017; 14: e97-e153
- Schaller RD, brunker T. Rliey MP et al. Magnetic resonance imaging in patients with cardiac implantable electronic devices with abandoned leads. JAMA Cardiol doi: 10.1001/jamacardio.2020.7572