E se le statine riducessero il rischio di ictus da fibrillazione atriale?
di Filippo Stazi
16 Maggio 2023

Tra i pazienti con fibrillazione atriale (FA) l’utilizzo delle statine potrebbe ridurre il rischio di ictus, embolia e TIA.

La FA è il disturbo del ritmo cardiaco più comune e determina un aumento di circa 5 volte del rischio di ictus. L’uso degli anticoagulanti riduce tale rischio ma non lo elimina completamente, pertanto l’individuazione di altre terapie in grado di contribuire alla prevenzione di tale evento è altamente auspicabile. La terapia con statine ha già dimostrato la capacità di ridurre gli eventi vascolari ma il suo beneficio nella prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA non è chiaro.

Un recente studio su più di 50.000 pazienti con FA, presentato al recente congresso annuale della European Heart Rhythm Association (1), ha invece documentato una riduzione dei rischi di ictus e attacco ischemico transitorio in coloro che hanno iniziato a prendere statine entro un anno dalla diagnosi dell’aritmia rispetto a quelli che non l’hanno fatto.

I ricercatori, utilizzando l’Hong Kong Clinical Data Analysis and Reporting System, hanno identificato una popolazione di pazienti con una nuova diagnosi di FA tra il 2010 e il 2018. I partecipanti sono stati poi divisi in due gruppi: utilizzatori di statine (n = 11.866), definiti come pazienti che avevano assunto statine per almeno 90 giorni consecutivi nel primo anno dopo la diagnosi di FA. e non utilizzatori di statine (n = 39.606).

L’end point primario era la comparsa di ictus ischemico o embolia sistemica, ictus emorragico e attacco ischemico transitorio.

L’età media dei partecipanti era di 75 anni e il 48% erano donne. Durante un follow-up mediano di cinque anni, gli utilizzatori di statine avevano presentato un rischio significativamente inferiore dell’end point primario rispetto ai non utilizzatori. L’uso di statine si è rilevato infatti associato a una riduzione del 17% del rischio di ictus ischemico o embolia sistemica (hazard ratio [HR] 0,83; 95% intervallo di confidenza [CI] 0,78-0,89), del 7% del rischio di ictus emorragico (HR 0,93; 95% CI 0,89-0,98) e del 15% di attacco ischemico transitorio (HR 0,85; IC 95% 0,80-0,90). Tale riduzione era indipendente dalla concomitante assunzione o meno di anticoagulanti e dal tipo degli stessi.

Lo studio ha inoltre indicato che l’assunzione di statine a lungo termine si associa a una maggiore protezione rispetto all’uso a breve termine. Rispetto a quelli che assumevano il farmaco da tre mesi a due anni, infatti, i pazienti che usavano statine da sei anni o più avevano un rischio inferiore del 43% di ictus ischemico o embolia sistemica (HR 0,57; 95% CI 0,54-0,61), del 44% di ictus emorragico (HR 0,56; 95% CI 0,53-0,60) e del 42% di attacco ischemico transitorio (HR 0,58; 95% CI 0,52-0,64). Anche in questo caso tale rilievo era indipendente dal fatto che i pazienti usassero o meno farmaci anticoagulanti e dal tipo di medicinale impiegato.

Rimane incerto il meccanismo attraverso il quale le statine producono gli effetti osservati nello studio. L’ipotesi più probabile è che il beneficio si esplichi mediante un azione sull’infiammazione, che è dimostrato essere associata a un rischio più elevato di effetti trombogenici, tra cui infarto del miocardio o ictus, o alternativamente mediante l’abbassamento del colesterolo e la conseguente stabilizzazione, ad esempio, di ateromi carotidei. Più arduo ancora giustificare la riduzione dell’incidenza di ictus emorragici, sebbene alcuni di questi potrebbero essere iniziati come ictus ischemico e poi avere presentato una conversione emorragica.

Ciò nonostante il messaggio che sembra emergere dallo studio è che in tutti i pazienti che hanno la fibrillazione atriale vi è una ragione in più per prendere in considerazione l’assunzione di statine.

Bibliografia:

  1. Huang J.  Statin use improves the outcomes in patients with atrial fibrillation: A population-based study. European Heart Rhythm Association (EHRA) 2023: presentato il 16 aprile 2023.