E ’possibile che l’angioplastica coronarica non migliori la qualità di vita nei pazienti con angina stabile? E’ questa la domanda a cui ha riposto il Prof. Paolo Golino, Professore Ordinario di Cardiologia dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, con il suo intervento tenutosi durante la prima giornata di lavori di Conoscere e Curare il Cuore 2022.
Gatto: Prof Golino, quale è il ruolo che viene attualmente riconosciuto all’angioplastica coronarica (PTCA) nel paziente con cardiopatia ischemica cronica (SCAD)?
Golino: Sicuramente le evidenze sono controverse. Ogni anno, in tutto il mondo, vengono eseguite oltre 500.000 PTCA per il trattamento della SCAD. Tuttavia, a differenza delle sindromi coronariche acute, le evidenze a sostegno di un miglioramento prognostico sono carenti, soprattutto nei pazienti con basso carico ischemico. Vi sono, tuttavia, evidenze che la rivascolarizzazione coronarica allevi i sintomi anginosi ed è su questa base che le attuali linee guida la consigliano (1). Per molti anni la comunità cardiologica ha creduto nel dogma che la PTCA nella cardiopatia ischemica cronica migliorasse i sintomi, soprattutto se associata ad una efficace terapia medica. Lo studio ORBITA (2) (Objective Randomised Blinded Investigation with optimal medical Therapy of Angioplasty in stable angina), un trial randomizzato e controllato, pubblicato sulla rivista the Lancet, ha completamente ribaltato questo dogma.
Gatto: Quale è stato il disegno dello studio ORBITA?
Golino: I pazienti inclusi nello studio dovevano presentare angina o sintomi equivalenti ed almeno una lesione significativa (≥70%) idonea alla PTCA. Sono stati esclusi soggetti con sindrome coronarica acuta, malattia del tronco comune o multivasale, o con altre condizioni che potevano oscurare i sintomi ed i risultati dello studio. Tutti i pazienti venivano sottoposti a test cardiopolmonare ed ecocardiografia da stress con dobutamina, per essere poi randomizzati a PTCA con DES + terapia medica ottimale o a PTCA “simulata” + terapia medica ottimale. In tutti i soggetti veniva valutata la fisiologia coronarica mediante “fractional flow reserve” (FFR) o “instantaneous wave-free ratio” (iFR). Il trial è stato condotto completamente in doppio cieco. In particolare, in sala di emodinamica i pazienti venivano sedati, indossavano auricolari durante la procedura per isolarli dall’ambiente circostante e quindi non erano a conoscenza se fossero stati sottoposti a PTCA oppure no. I cardiologi interventisti non erano coinvolti in alcun modo nello studio. Dopo 6 settimane, si effettuava una nuova valutazione clinica, con test cardiopolmonare ed ecostress. L’endpoint primario è stato la differenza tra i due gruppi nella variazione del tempo di esercizio sul tapis roulant (2).
Gatto: Quali sono stati i principali risultati del trial?
Golino: Lo studio ha arruolato circa duecento pazienti divisi nei due gruppi risultati omogenei per le principali caratteristiche demografiche e cliniche. Al follow-up non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa tra i gruppi nell’aumento del tempo di esercizio, nel tempo per sviluppare 1 mm di depressione del tratto ST, nel VO2 max o nella gravità dell’angina. In particolare, il tempo di esercizio aumentava di 28.4 secondi nel gruppo PTCA e 11.8 secondi nel gruppo placebo (confronto tra i gruppi, p=NS). Il wall motion score index all’ecostress invece migliorava significativamente nel gruppo PTCA rispetto al placebo (p<0.0001) (2).
Gatto: Quali sono stati, a suo giudizio, i principali punti di forza dello studio ORBITA?
Golino: L’ORBITA è stato un trial encomiabile sotto molti aspetti. I ricercatori hanno avuto la determinazione di eseguire un elegante studio randomizzato e controllato nei confronti di una terapia ampiamente accettata come efficace. Il disegno era esemplare, soprattutto in termini di ottimizzazione della terapia medica e di disegno in doppio cieco. L’inclusione di una PTCA “sham” è stata innovativa e rigorosa in quanto ha eliminato ogni possibile effetto placebo da ascrivere alla procedura interventistica.
Gatto: Quali sono stati, invece, i principali limiti di un trial come questo che ha suscitato tanto scalpore?
Golino: Ritengo, che si debba utilizzare molta cautela nell’interpretare i risultati dello studio ORBITA perché vi sono alcuni elementi che possono indebolire o addirittura non supportare le conclusioni raggiunte. Innanzitutto l’ottimizzazione terapeutica è stata così efficace che 48 su 200 pazienti (24%) erano sostanzialmente liberi da angina al momento della randomizzazione e quindi avrebbero dovuto essere esclusi dallo studio.
Una seconda perplessità riguarda il grado di stenosi e la dimensione del vaso trattato: revisionando le angiografie si evidenzia che in circa il 40% dei casi si trattava di stenosi intermedie (inferiori al 70%) o di stenosi severe in rami secondari. Quindi, anche questi casi andavano esclusi. Ma non basta: come conseguenza di ciò, quasi un terzo dei soggetti randomizzati non presentava stenosi coronariche con evidenza fisiologica di ischemia (FFR o iFR >0.80) su cui, secondo le linee guida, non si dovrebbe intervenire con la rivascoalrizzazione.
Un altro grande dubbio riguarda la numerosità del campione, probabilmente troppo piccola per essere in grado di rilevare l’endpoint primario di uno studio di “superiorità“. I ricercatori hanno riportato un aumento medio di 28.4 s del tempo esercizio dai valori basali a 6 settimane nel gruppo PTCA e un tempo di 11.8 s nel gruppo sham. È però interessante notare che la differenza nel tempo di esercizio tra il basale e quello osservato dopo 6 settimane risultava significativa nel gruppo PTCA e non in quello sham. Da qui il dubbio, legittimo, che se le numerosità campionarie fossero state calcolate adeguatamente, si sarebbe raggiunto l’endpoint primario dello studio.
Infine, ma non meno importante, sebbene la PTCA non abbia aumentato il tempo di esercizio, alcuni endpoint secondari, come la libertà dall’angina (gruppo PTCA 49.5%, gruppo sham 31.5%, p=0.006) o il wall motion index all’ecostress (gruppo PTCA -0.08, gruppo sham 0.02, p=0.0011) favorivano decisamente il trattamento invasivo.
Gatto: Quindi, quali sono, secondo Lei, i messaggi più importanti dello studio ORBITA?
Golino: In primo luogo, i pazienti che non hanno una indicazione appropriata per la PTCA elettiva in accordo alle attuali linee guida, cioè sintomi persistenti nonostante la titolazione ottimale dei farmaci antianginosi non dovrebbero essere sottoposti a rivascoalrizzazione per il controllo dei sintomi. L’ottimizzazione della terapia farmacologica dovrebbe essere implementata come strategia iniziale in quanto può alleviare i sintomi di molti pazienti.
Secondo, lo studio ORBITA era limitato a pazienti con malattia di un singolo vaso, durava solo 6 settimane dopo la randomizzazione, ed era ampiamente sottodimensionato per rilevare una differenza significativa nel tempo di esercizio. Quindi, il suggerimento che le linee guida dovrebbero essere riscritte sulla base dello studio ORBITA è completamente ingiustificato.
Terzo, lo studio ORBITA rappresenta un campanello d’allarme sulla difficoltà nel paragonare l’efficacia terapeutica di strategie diverse, tali studi sono difficili intrinsecamente e richiedono non solo un sofisticato e rigoroso protocollo ma anche una potenza statistica adeguata.
Bibliografia:
- Knuuti J, Wijns W, Saraste A, et al. 2019 ESC guidelines for the diagnosis and management of chronic coronary syndromes. Eur Heart J 2020; 41:407-477.
- Al-Lamee R, Thompson D, Dehbi HM, et al. Percutaneous coronary intervention in stable angina (ORBITA): a double-blind, randomized controlled trial. Lancet 2018; 391:31–40.