“E CADDI COME CORPO MORTO CADE”
di Eligio Piccolo
01 Febbraio 2021

L’endecasillabo di Dante, che voleva essere coinvolgente, si riferisce a uno svenimento banale, altrimenti non avrebbe potuto riferircelo. Il suo, come si intuisce, era un innocuo calo della pressione arteriosa, di natura emotiva. Oggi invece, quelli che la cronaca ci riferisce tutti i giorni e a tutte le ore, spesso anteponendoli addirittura alle dichiarazioni del politico televisivo di turno, sembrano rispecchiare una “gioia” del palinsesto per le notizie ferali. Anche perché questi non sono semplici deliqui, ma vere e proprie morti improvvise, per le quali scatta la bravura del cronista nel saper sondare e riferirci i contorni personali e famigliari della vittima. Che alla maggioranza dei lettori e ascoltatori, come dicono a Roma, non gliene potrebbe fregà de meno, però la carriera dell’apprendista di cronaca, mirabilmente ovunque raccattato, deve cominciare dalla gavetta, quella appunto del marmittone.
Avrete notato di certo una mia acredine e ironia, delle quali mi scuso, ma non tanto, perché è difficile rilevare in questa volgarizzazione delle disgrazie altrui un maldestro rispetto delle stesse. Non tanto per la privacy, che non ho mai capito quanto c’entri, bensì per la sacralità della vita, della medicina e delle maggiori attenzioni che dovremmo avere per le cause che determinano quelle cadute fisiche e per l’impegno che si dovrebbe mettere nel prevenirle e nel soccorrerle. Si tratta, com’è stato ampiamente dimostrato in ogni parte del mondo, di aritmie maligne provocate da infarti acuti o di altre cardiopatie, o da blocchi elettrici del cuore, da ictus o altre emergenze, tutte non certo risolvibili con l’annusamento dei sali, quelli di romantica memoria.


 

Non v’è dubbio che rispetto ai tempi dei telefoni bianchi l’aumento successivo delle persone anziane, degli agglomerati urbani sempre più fitti e dei fattori di rischio in continua diffusione abbiano progressivamente incrementato l’incidenza di queste fatalità, che fortunatamente, nonostante i prevalenti necrologi, sono anche passibili di soccorso. In molti paesi a sanità avanzata si è cercato infatti di organizzare pronti interventi mediante persone addestrate alla rianimazione, o almeno vigili nell’allertare il pronto intervento dei sanitari provvisti di defibrillatore cardiaco. Gli USA sono all’avanguardia, ma anche l’Europa si è data molto da fare. In Italia la città con i migliori risultati è Piacenza. I momenti chiave di questa presenza sanitaria sono: 1- l’organizzazione di persone di buona volontà addestrati a seguire corsi di rianimazione, specie i vigili urbani, la polizia, i vigilanti, ma anche giovani e meno giovani animati dall’impegno per il prossimo; 2- l’approvvigionamento di defibrillatori laddove si radunano moltitudini, nei parlamenti e in punti strategici delle città; 3- brevi corsi informativi nelle scuole, con dimostrazioni pratiche.
Alla luce di circa trent’anni di questa esperienza del soccorso  pubblico in varie città nel mondo si  possono dare le seguenti conclusioni: 1- nei casi di arresto cardiaco  accaduti per strada o in qualsiasi altro luogo, trattati solo con il trasferimento nei centri di pronto intervento, in genere ospedalieri, solo l’8% è vivo dopo un mese dalla perdita di coscienza che non si era risolta spontaneamente; 2- ogni minuto che intercorre tra la perdita di conoscenza e il soccorso del rianimatore riduce la sopravvivenza dopo 30 giorni del 7-10%; 3- la defibrillazione immediata, prima del ricovero, che potremmo definire il gold standard del soccorso, consente una sopravvivenza a 30 giorni del 53%; mentre la stessa attuata solo dopo l’arrivo del primo personale sanitario è del 28.6%. Dagli USA, come ho detto, abbiamo gli studi più impegnati, ma anche la constatazione che tra gli immigrati di etnia ispanica (Circulation, gennaio 2020), meno organizzati in un paese dove la sanità è più volontaria che dirigista, il soccorso di quei caduti è minore, così come la loro sopravvivenza.
In conclusione, in coloro che perdono conoscenza improvvisamente, oggi impersonati più da patologie serie in entrambi i sessi che dalla “donnetta svenevole”, quanto più precoce è l’intervento di rianimazione e soprattutto di ripresa della regolare attività elettrica del cuore tanto più alta è la percentuale di sopravvivenza dopo la dimissione dall’ospedale.
“E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE”

Eligio Piccolo
Cardiologo