La duplice terapia antiaggregante rappresenta una strategia terapeutica ormai consolidata nella cura dei pazienti con sindrome coronarica acuta.
Le linee guida attuali raccomandano l’associazione di aspirina e di un potente farmaco inibitore del P2Y12 (preferibilmente ticagrelor o prasugrel vs clopidogrel) per circa 12 mesi dall’evento acuto a meno della presenza di un rischio emorragico elevato o molto elevato.
Trial clinici hanno documentato una maggiore efficacia di ticagrelor e prasugrel rispetto a clopidogrel (tutti in associazione ad aspirina) relativamente a end point di efficacia tra cui infarto, stroke, morte cardiovascolare o totale e trombosi di stent; tutto questo al prezzo di un aumento dei sanguinamenti.
È stato documentato come nella fase precoce dopo sindrome coronarica acuta (di solito 30 gg) prevalga il rischio trombotico e quindi una maggiore probabilità di recidiva infartuale, morte, trombosi di stent e ictus; nella fase tardiva, contrariamente, prevale il rischio emorragico con un incremento di frequenza dei sanguinamenti minori o maggiori non fatali in corso di duplice terapia antiaggregante in generale, più accentuata nella popolazione trattata con i più potenti inibitori del P2Y12 (ticagrelor/prasugrel).
Numerose evidenze in letteratura documentano una correlazione diretta tra sanguinamenti e mortalità.
Nei pazienti con fibrillazione atriale e sindrome coronarica acuta, in considerazione della necessità di concomitante terapia anticoagulante orale e dell’aumentato rischio emorragico, la duplice terapia antiaggregante è raccomandata per soli 7 gg fino ad un massimo di 30 gg nella maggior parte dei pazienti.
Lo sviluppo di stent di ultima generazione sempre più performanti associato al perfezionamento delle tecniche di impianto hanno ridotto in maniera considerevole il rischio di trombosi acuta o subacuta di stent rendendo meno accettabile l’aumento del rischio emorragico nel medio-lungo termine in corso duplice terapia antiaggregante piastrinica (DAPT).
Per questo motivo sono state testate in trial clinici strategie di mitigazione della terapia antiaggregante, generalmente dopo il primo mese dall’evento coronarico acuto, allo scopo di ridurre le complicanze emorragiche nel medio-lungo termine.
Sostanzialmente sono state studiate 4 strategie di intervento: 1) sospensione della terapia con aspirina e prosecuzione di un solo potente antiaggregante tra gli inibitori del P2Y12 (ticagrelor o prasugrel); 2) continuazione della duplice terapia antiaggregante sostituendo il ticagrelor o il prasugrel con clopidogrel; 3) riduzione del dosaggio di prasugrel da 10 mg a 5 mg o addirittura 3,75 mg (nei paesi asiatici); 4) sospensione dell’inibitore del P2Y12 e continuando l’aspirina in monoterapia.
Sull’ultimo numero di JACC, Shoji et al, presentano una meticolosa meta-analisi di rete di studi randomizzati che valutano specificamente diverse strategie di riduzione precoce e non guidata della duplice terapia antiaggregante piastrinica (in particolare dosaggio o potenza dell’inibitore del P2Y12) a 1 mese da una sindrome coronarica acuta.
Questo approccio è stato confrontato con l’attuale gold standard di trattamento suggerito dalle più recenti linee guida.
Nello specifico Sono stati selezionati 15 trial, per un totale di circa 56000 pazienti, tra cui lo studio PLATO, il TRITON TIMI 38, il TRILOGY ACS, l’ISAR-REACTS, il TOPIC e altri studi condotti in classi di popolazioni ad alto rischio emorragico come anziani sopra 75aa e popolazioni asiatiche.
La metanalisi ha confrontato il regime di terapia antiaggregante standard con aspirina e alternativamente clopidogrel, prasugrel a dosaggio standard o ridotto (5 mg) e ticagrelor per 12 mesi con due strategie di riduzione precoce di terapia dopo 30 gg dalla sindrome coronarica acuta tra cui lo shift da ticagrelor/prasugrel a clopidogrel e la riduzione del dosaggio di prasugrel a 5 mg (in assenza di condizioni che lo raccomandassero) o addirittura a 3,75 mg.
Obiettivo primario di efficacia un composito di morte cardiovascolare, infarto e stroke o morte per tutte le cause, infarto e stroke o tutte le precedenti più trombosi di stent. Obiettivo secondario di efficacia morte cardiovascolare e per tutte le cause, trombosi di stent, infarto miovcardico e stroke.
Obiettivo primario di sicurezza la combinazione di emorragie minori e maggiori secondo la classificazione BARC, PLATO e TIMI; obiettivo secondario le sole complicanze emorragiche maggiori.
Follow up medio di 12 mesi.
Rispetto agli approcci raccomandati di duplice terapia antiaggregante piastrinica (DAPT) condotti per 12 mesi, la strategia di riduzione precoce della terapia antiaggregante piastrinica determinava una riduzione statisticamente significativa e di considerevole entità dei sanguinamenti maggiori e minori (obiettivo di sicurezza primario); in particolare si assisteva a riduzioni relative di rischio del 40% rispetto alla DAPT con clopidogrel, del 70% circa rispetto alla DAPT con ticagrelor e del 65% circa rispetto alla DAPT standard con prasugrel; il tutto senza influire negativamente sugli esiti di efficacia. In particolare, non c’era alcuna differenza nel rischio di mortalità per tutte le cause tra le 5 strategie, mentre, cosa interessante, c’era un rischio sostanzialmente ridotto di morte cardiovascolare nel braccio a regime terapeutico ridotto. Le analisi di sensibilità hanno mostrato risultati concordanti. Anche l’analisi separata delle due diverse strategie di riduzione della terapia piastrinica hanno fornito dati contrastanti.
In conclusione nei pazienti con sindrome coronarica acuta una strategia di combinazione tra aspirina e un potente inibitore del P2Y 12 a dose standard (ticagrelor o prasugrel) con successivo passaggio a clopidogrel a dosaggio standard o prasugrel a basso dosaggio, 1 mese dopo l’angioplastica sembrerebbe essere il trattamento con migliore beneficio clinico netto poiché associato a un minor numero di eventi di sanguinamento rispetto ad altre strategie attualmente raccomandate, senza aumento degli eventi ischemici.
Considerazioni
Oltre alle limitazioni statistiche intrinseche al tipo di studio, la presente metanalisi necessita di alcune considerazioni.
Dei 15 studi selezionati per un totale di 55.798 pazienti, solo 2 (TOPIC e HOST-REDUCE-POLYTECH-ACS) con un totale di 4.074 pazienti hanno valutato lo shift precoce da un inibitore P2Y 12 ad alta potenza a clopidogrel o dosaggio ridotto di prasugrel. Inoltre, uno di questi era uno studio europeo monocentrico e l’altro era uno studio multicentrico condotto esclusivamente in Corea del Sud. Inoltre, il sottogruppo in terapia ridotta comprendeva 2 approcci farmacologici separati con uno shift a clopidogrel in TOPIC e il passaggio a prasugrel a basso dosaggio (5 mg) in HOST-REDUCE-POLYTECH-ACS. L’equivalenza di entrambi questi protocolli terapeutici è discutibile, ma rassicurante, un’analisi di sensibilità che ha separato le strategie di riduzione di terapia ha dimostrato risultati coerenti.
La maggior parte delle strategie di duplice terapia antiaggregante piastrinica nei pazienti con sindrome coronarica acuta sono state studiate in popolazioni di pazienti sottoposti ad angioplastica. Tuttavia, la metanalisi di Shoji et al include anche ampi studi su pazienti trattati esclusivamente con terapia medica (TRILOGY-ACS) e uno studio che aveva pazienti trattati sia con terapia conservativa, sia con angioplastica che con bypass aorto-coronarico (POPular AGE). Il tipo di rivascolarizzazione coronarica potrebbe condizionare gli effetti della riduzione della DAPT. Inoltre, diversi studi più datati non prevedevano l’uso di stent medicati, molto diffusi al giorno d’oggi, che potrebbe avere un impatto significativo sulle complicanze ischemiche secondarie a riduzione della DAPT.
Più del 40% dei pazienti nello studio TRITON-TIMI 38 e nello studio PLATO sono stati trattati con stent non medicati.
La maggior parte dei dati sulla riduzione della terapia antiaggregante, è stata ottenuta esclusivamente in popolazioni dell’Asia orientale notoriamente a maggior rischio di sanguinamento e a più basso ischemico.
Inoltre l’uso della versione da 3,75 mg di prasugrel è stato studiato e convalidato esclusivamente in una popolazione principalmente giapponese dell’Asia orientale e chiaramente potrebbe non essere generalizzabile ad altre popolazioni.
Sicuramente i risultati di questo studio sono molto interessanti e probabilmente indicano in quale direzione andare per il futuro, ponendo sempre maggiore attenzione alla sicurezza del paziente.
Occorreranno altri sudi costruiti ad hoc ed in differenti sottogruppi di pazienti (non solo per etnia ma anche per diversa strategia di rivascolarizzazione adottata e tipo di materiali usati) per poter generalizzare ed estendere i dati a popolazioni più ampie ed eventualmente modificare gli attuali protocolli terapeutici.
Bibliografia consigliata
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