Da circa 30 anni gli sforzi dei cardiologi si sono rivolti soprattutto a sviluppare i mezzi per assicurare la sopravvivenza degli individui colpiti da infarto del miocardio e per diminuire la mortalità provocata dall’ “attacco cardiaco”. Come si presenta la situazione all’indomani dell’infarto?
La prognosi di sopravvivenza dopo l’infarto dipende da più fattori: età, condizioni generali della pompa cardiaca, persistenza o meno dell’angina pectoris, disturbi del ritmo, ipertensione arteriosa… ma soprattutto si constata che non sempre l’infarto è un evento drammatico: l’essenziale è che il ventricolo sinistro – che è quello che ricopre il ruolo più importante nella funzione di pompa – sia in buono stato. In questo caso si può dire che il cardiopatico ha le stesse probabilità di vita, se ben curato, del resto della popolazione.
La convalescenza dopo un infarto può svolgersi in maniera più o meno rapida, a seconda del decorso della fase acuta. La guarigione, cioè la cicatrizzazione della lesione, richiede un periodo di almeno tre settimane; questa è la ragione per cui la riabilitazione fisica completa non deve essere troppo rapida, anche se il paziente si sente bene. Sarebbe egualmente errato differire troppo questo momento, dato che il paziente viene avviato alla riabilitazione solo dopo che sono stati effettuati tutti i controlli necessari.
È dimostrato che il 70-80% delle persone, dopo un infarto possono riprendere, una vita quasi normale; il 20-30% presenta ancora qualche disturbo e dovrà riprendere la vita normale più gradualmente.
Il cardiologo oggi si avvale dell’uso di diversi farmaci che aiutano il cuore: i beta bloccanti proteggerebbero contro il rischio di recidiva d’infarto, gli anti-aritmici correggono i disturbi del ritmo che di solito seguono la crisi cardiaca e costituiscono sempre un rischio, i calcio-antagonisti, gli Ace-inibitori migliorano la circolazione delle arterie periferiche e delle coronarie, e riducono il lavoro del cuore. Inoltre l’aspirina in basse dosi (100 mg.) è un presidio fondamentale per ridurre l’aggregazione piastrinica e quindi prevenire la trombosi all’interno delle arterie coronarie. Il controllo del colesterolo nel sangue è inoltre fondamentale per una adeguata prevenzione e quasi sempre richiede l’uso dei farmaci conosciuti come statine.
La Riabilitazione
La riabilitazione viene intesa come un mezzo per riacquistare la migliore condizione fisica, mentale e sociale compatibile con la menomazione presente. La riabilitazione all’esercizio fisico non cancella la “cicatrice” dell’infarto, ma permette al cuore di dare migliori prestazioni.
Oggi non si ritiene più come una volta che una lunga immobilità dopo l’episodio infartuale acuto apporti dei vantaggi; al contrario da alcuni anni si vanno sottolineando gli svantaggi di tale prassi e la necessità che gli individui colpiti da infarto, o almeno la grande maggioranza di essi, tornino ad un’attività fisica e lavorativa che, oltre che a giovare a livello fisico, possa essere soddisfacente anche a livello psicologico.
Dato che la riabilitazione si occupa per definizione di tutti gli aspetti del periodo post-infartuale, vediamone qualcuno dei più importanti.
Come alimentarsi: importante è soprattutto non aumentare di peso e se si è in sovrappeso o addiritura obesi, riguadagnare il peso normale; si potrà ottenere questo obiettivo, con una alimentazione rispondente ai reali bisogni dell’organismo. È necessario utilizzare cibi ricchi di proteine (carni magre, pollo, pesce), limitare i carboitrati (zucchero, dolci, riso, pasta, pane), evitando per quanto possibile i grassi saturi (burro, formaggi, carni grasse) ed utilizzando per condire i grassi vegetali (olio di oliva, di mais, di girasole). Queste norme sono ancora più importanti da seguire per chi presenti livelli elevati di grassi nel sangue.
Sono inoltre da evitare le bevande ghiacciate e bisogna limitare il consumo di caffè.
L’attività fìsica potrà essere ripresa gradualmente. L’entità dell’attività fisica da svolgere quotidianamente sarà decisa sulla base dei dati offerti da una prova da sforzo effettuata in presenza di personale specializzato e sotto controllo elettrocardiografico. La risposta dell’apparato cardiocircolatorio allo sforzo permetterà di definire i limiti dell’attività fisica da non superare. Ricordiamo che la prova da sforzo potrà essere ripetuta ad intervalli di tempo, anche per misurare i progressi raggiunti dal paziente.
Per mantenere i vantaggi del periodo di mobilizzazione è necessario che il paziente continui ad esercitarsi secondo le norme che gli saranno prescritte.
I rapporti coniugali, da evitare durante il primo periodo della convalescenza, potranno successivamente essere ripresi normalmente tenendo conto che, in linea di massima, il costo cardiaco di un rapporto coniugale equivale a salire un paio di piani di scale. È importante per questo aspetto la piena ed intelligente collaborazione del coniuge, che non deve assumere atteggiamenti iperprotettivi o, peggio, di rifiuto.
Il lavoro sarà ripreso gradualmente. Nella grande maggioranza dei casi il paziente potrà riprendere l’attività che svolgeva precedentemente: altre volte i postumi dell’infarto consentono solo un’attività leggera; sono pochissimi gli infartuati che restano invalidi.
È importante osservare, specie per le attività lavorative che implicano un impegno muscolare, opportune pause che interrompano per alcuni minuti l’attività e consentano al lavoratore di recuperare. Specialmente nel caso di un lavoro che esiga impegno muscolare, il periodo di riabilitazione si dimostrerà estremamente utile per la ripresa.
Gli stati d’ansia devono essere corretti; spesso il paziente non ha realmente bisogno di un aiuto psicologico; ma in presenza di tale necessità potrà, su consiglio del suo medico, rivolgersi ad uno psicologo per affrontare meglio i suoi problemi. Durante il corso di riabilitazione, il malato potrà trovare presso il centro anche un aiuto di questo genere.
Il fumo dovrà essere abolito. Non è necessario spendere molte parole sui danni non soltanto cardiaci del fumo. Non bisogna mai a questo riguardo essere indulgenti con se stessi.
Seguendo questa impostazione di vita il malato potrà convivere con la propria malattia, riconoscerne gli eventuali nuovi sintomi e gioire della vita senza dimenticarne gli aspetti piacevoli.
In passato a chi era colpito dall’infarto veniva prescritta l’immobilità in letto per 4-5 settimane, il periodo considerato necessario per la cicatrizzazione della necrosi miocardica. Alla maggiore parte degli ammalati veniva anche consigliato di “mettersi in pensione”. Nella seconda metà del secolo scorso l’atteggiamento è molto cambiato, innanzitutto si è visto che la prolungata inattività non solo non è benefica per il cuore, ma che addirittura è nociva poiché provoca il “decondizionamento cardiovascolare”, cioè la perdita della capacità di adattamento all’esercizio fisico, e favorisce l’ipotensione ortostatica, cioè il brusco abbassamento della pressione arteriosa al momento del passaggio dalla posizione supina a quella eretta, che peggiora l’irrorazione del miocardio. Successivamente si sono potuti constatare gli effetti benefici mobilizzazione precoce e dell’attività fisica d l’infarto.
L’inattività inoltre nuoce all’equilibrio psicologico dell’ammalato rendendo più difficoltoso il suo reinserimento sociale.
Oggi, un ammalato con infarto non complicato può essere dimesso dall’ospedale al massimo dopo una settimana di degenza.
L’attività fisica regolare, adatta e controllata dopo l’infarto è benefica perché porta ad un miglioramento della funzione cardiaca attraverso molteplici meccanismi.
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Abbassamento della frequenza cardiaca a riposo e dopo sforzo. Mano a mano che l’allenamento progredisce si rileva una diminuzione delle pulsazioni per lo stesso numero di gradini saliti.
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Abbassamento della pressione arteriosa sopratutto dopo sforzo. Entrambi questi effetti comportano una minore necessità di ossigeno da parte del cuore a parità di lavoro e quindi una migliore tolleranza dello sforzo.
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migliore utilizzazione dell’ossigeno da parte dei muscoli
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sviluppo del circolo coronarico collaterale che supplisce al ridotto flusso attraverso i rami principali parzialmente o totalmente ostruiti.
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diminuzione del rischio di trombosi e aumento del colesterolo-HDL con riduzione del rischio di complicazioni e di ricadute (prevenzione secondaria).
Se l’evoluzione della malattia non ha presentato alcun problema, durante o dopo la riabilitazione è possibile il ritorno al lavoro.
Il tipo e il grado di impegno fisico e mentale opportuno per ogni paziente deve essere indicato dal cardiologo.
Spesso accade, che rispettando norme di vita più igieniche, un’alimentazione più corretta, e l’abolizione del fumo, l’infartuato “si senta meglio di prima”. Il paziente che ha superato l’infarto miocardico non deve sentirsi un escluso dalla società: nella grandissima maggioranza dei casi egli può ritornare in modo completo alla vita familiare, lavorativa, affettiva e alle relazioni sociali.
Purtroppo non sempre i buoni risultati conseguiti vengono mantenuti perché l’ammalato lentamente ritorna alle cattive abitudini del periodo precedente l’attacco: sedentarietà, fumo, errori dietetici, cioè ai suoi fattori di rischio, che già una volta sono stati responsabili dell’infarto.
La riabilitazione controllata non deve essere un obiettivo fine a sé stesso, ma un trampolino che permette al paziente il reinserimento nella vita attiva e un insegnamento per la sua vita futura.
L’attività sessuale dopo l’infarto
Circa il 50 per cento delle persone colpite da infarto ha una età inferiore ai 70 anni, per cui quello dell’’attività sessuale è un problema molto importante e va affrontato con serietà. La riduzione dell’attività sessuale dopo l’infarto è molto frequente ed il più delle volte è conseguente a paura del paziente o del coniuge: questo atteggiamento è quasi sempre ingiustificato. Nell’atto sessuale sono due gli elementi che aumentano il lavoro del cuore: lo sforzo fisico e l’emotività. Lo sforzo fisico che può essere paragonato a quello che si effettua per salire due rampe di scale: si ha aumento del numero di battiti cardiaci, della pressione arteriosa e del ritmo del respiro. L’entità di queste variazioni non è tale da procurare sofferenza del cuore nella maggior parte dei pazienti con infarto.
La componente emotiva ha una importanza molto variabile: modesta con il partner abituale, può assumere particolare rilevanza nei rapporti occasionali. Il comportamento più razionale è quello di riprendere l’attività sessuale interrotta dall’infarto dopo aver praticato un elettrocardiogramma dinamico secondo Holter ed un prova da sforzo intorno alla 4a settimana dall’inizio della malattia. In generale, si può affermare che l’attività sessuale può essere continuata da quasi tutti i soggetti colpiti da infarto dopo una valutazione della capacità funzionale.
È un problema da affrontare sempre con il medico senza falsi pudori.